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Irredentisti
Gli irredentisti fra i militari italiani durante la prima guerra mondiale 
di Ninni Raimondi
 
La convinzione del personale politico, civile e militare dell’Austria imperiale che gli italiani sudditi dell’imperatore fossero in prevalenza irredentisti si rintraccia senza soluzione di continuità dalla prima metà del secolo XIX fino alla caduta dell’impero. Sono numerose anche per il periodo della Grande Guerra le fonti austriache che attestano una presenza massiccia dell’irredentismo. 
Fin dall’inizio della guerra, all’atto dell’arruolamento e successivamente sul fronte della Galizia in cui gli italiani furono spediti, l’esercito imperiale agì nella convinzione che gli italiani fossero tutti o quasi irredentisti. Tale era l’idea fermamente radicata nelle forze armate asburgiche, dagli alti comandi sino ai sottufficiali. 
 
Sudditi italiani ostili all’Austria 
Sono state raccolte molte testimonianze di italiani arruolati che furono trattati malissimo dai loro superiori proprio per la loro appartenenza etnica, essendo ritenuti a priori quali ostili all’impero. Ma la diffidenza verso gli italiani, ossia la ferma idea che fossero in prevalenza irredentisti, arrivava sino ai vertici dell’esercito imperial-regio. 
Già nell’autunno 1914 il ministero della guerra imponeva con una specifica ordinanza di rifiutare licenze prolungate ad individui ritenuti politicamente sospetti, ciò che si tradusse di fatto nell’esclusione generale dalla concessione di licenze a tutti i mobilitati di etnia italiana provenienti dall’unità amministrativa detta del Tirolo, che nella terminologia asburgica includeva anche il Trentino. Si temeva difatti una diserzione di massa. 
Durante l’autunno del 1914 e nel Trentino i comandi imperiali procedettero ad arruolamenti illegali di uomini che erano già stati esonerati dal servizio militare e che riguardarono naturalmente italiani. Lo scopo delle autorità, che intrupparono individui che a norma di legge non avrebbero dovuto essere chiamati sotto le armi (come ad esempio i malati), era il timore nei confronti della popolazione trentina. Gli irredentisti erano considerati onnipresenti, se le autorità erano giunte a procedere a raccogliere un elenco di nomi di coloro che frequentavano i locali pubblici di Trento, chiamato (non si sa se ironicamente) Kaffeehausliste. Tutto questo accadde quando fra Roma e Vienna vi era ancora la pace. 
Ovviamente l’intervento italiano condusse ad un ulteriore giro di vite nel controllo verso i militari Volksitaliener, ossia “italiani di nazionalità” sebbene giuridicamente sudditi del Kaiser, secondo la definizione usata dall’amministrazione asburgica. 
 
I soldati italiani arruolati nelle armate imperiali furono collettivamente giudicati «politicamente inaffidabili» ed immediatamente allontanati dal fronte sud-occidentale, al fine di toglierli sia dal contatto con le popolazioni italiane dell’impero (che avrebbero potuto facilitare le loro diserzioni) sia dal combattimento con i connazionali del Regio esercito. 
 
Già il 6 agosto 1915 l’Armeeoberkommando diramò ai comandi subalterni le norme a cui avrebbero dovuto attenersi con gli italiani arruolati, «al fine di non compromettere il successo di interi corpi d’armata […] a causa dell’impiego di uomini inaffidabili sullo scacchiere di guerra sudoccidentale». Il famoso o famigerato ordine, tradotto in italiano, era il seguente: 
 
Comando Supremo Imperiale e Reale 
Dalla sede di campo 6 agosto 1915 n. 13725. 
Come risulta da un rapporto pervenuto dal Comando della fronte sud-ovest i soldati di nazionalità italiana non hanno corrisposto durante il combattimento alle nostre aspettative. 
[…] Per l’impiego alla fronte sud-ovest le compagnie di marcia dovranno pertanto essere costituite da elementi di pura razza tedesca. 
[…] Gli elementi di nazionalità italiana dovranno essere assegnati a quelle unità che combattono sul teatro di guerra della fronte nord-est [il fronte russo]. Spetterà al Comando Supremo di suddividere in tanti piccoli gruppi questi elementi fra molti reggimenti. La divisione netta dell’elemento di nazionalità italiana da quello di nazionalità tedesca deve avvenire subito ed oltre a ciò le unità di marcia formate da elementi italiani dovranno essere oggetto di una disciplina più severa e di una costante sorveglianza da parte dei superiori tutti». 
 
L’ordine del Comando Supremo Imperiale e Reale imponeva quindi: 
- di non impiegare le unità italiane sul fronte sud-ovest, ossia su quello italo-austriaco, poiché avevano dato prova di scarsa combattività contro i connazionali del regno d’Italia; 
- di frammentare i reparti fra i diversi reggimenti, in modo da mescolare e sommergere numericamente gli italiani fra unità d’altra etnia; 
- di tenerli sotto severa disciplina e costante controllo; 
 
Era evidente che le autorità militari asburgiche avevano la certezza della scarsa adesione degli italiani irredenti allo Stato austriaco, dimostrata dal fatto che si erano battuti fiaccamente contro il Regio Esercito che cercava d’aprirsi la strada verso il Trentino e  la Venezia Giulia. Se fossero stati favorevoli all’impero, sarebbe dovuto avvenire l’opposto e si sarebbero dovuti battere con particolare accanimento per difendere le proprie terre da un “invasore”. 
È vero che, per pure ragioni militari, la precisa ordinanza del Comando Supremo Imperiale e Reale non poté essere applicata sempre nella sua interezza, per cui sporadicamente furono schierati alcuni, pochi soldati italiani anche sul fronte sud-occidentale. Il loro impiego, sebbene fosse sporadico, provocò dure reazioni e reprimende da parte dell’Armeeoberkommando, che contestava la collocazione di unità italiane e segnalava la frequenza delle diserzioni. 
Gli italiani furono quindi adoperati quasi tutti sul fronte orientale e solo di rado su quello sud-occidentale, in cui avrebbero trovato i loro connazionali di fronte. Inoltre la prassi fu quella di frammentarli e disperderli in gruppi e gruppetti minuscoli all’interno di reparti di altra nazionalità, nei quali erano emarginati ed osteggiati, abitualmente incapaci anche solo di comunicare per la barriera linguistica. 
Sono sintomatici i dati relativi alla presenza italiana nei quattro reggimenti dei Kaiserjäger arruolati nel cosiddetto Tirolo, che all’epoca comprendeva il Tirolo storico propriamente detto (a nord del Brennero), l’Alto Adige ed il Trentino. Nel 1914, quando Francesco Giuseppe aveva iniziato la guerra d’aggressione contro la Serbia, la percentuale d’italiani oscillava attorno al 40% del totale, mentre nel 1918 essa era quasi azzerata, scendendo al di sotto del 4%. Il 4° reggimento dei cacciatori poi non aveva ormai più italiani fra le sue fila. Anche nel 97% reggimento di fanteria imperiale, reclutato in Venezia Giulia e su cui certi nostalgici hanno scritto pagine cariche di retorica, la percentuale di militari Volksitalianer scese drasticamente, calando al 20% del totale. Il resto degli arruolati italiani era disperso in unità arruolate in altri Länder, in cui non si trovavano italiani. 
Buona parte dei soldati italiani finì con il ritrovarsi in formazioni chiamate Italienerbataillonen, che avevano avuto una classificazione emblematica. Esse erano denominate con la sigla PU, che stava per politische Unzuverlässigkeit, «inaffidabilità politica». 
 
In termini generali, con l’apertura del fronte meridionale della Duplice Monarchia, i germanofoni e slavofoni furono spediti a combattere contro il Regio esercito, mentre gli italiani sudditi dell’impero furono trattenuti sul fronte russo e preferibilmente dispersi in piccoli gruppi, in cui erano soggetti ad una disciplina ed ad un controllo maggiori che le altre unità. 
In Trentino, piani ispirati dalla consapevolezza di trovarsi davanti ad una comunità italiana in prevalenza irredentista erano sostenuti da una cerchia di militari, capeggiati dall’arciduca Eugenio e dai generali Alfred Krauss e Viktor Dankl, che si proponevano la snazionalizzazione della regione e la sua germanizzazione, ritenendo praticamente ogni italiano un individuo potenzialmente ostile all’impero ed internando o deportando chiunque fosse ritenuto politicamente inaffidabile. 
Anche se i volontari irredentisti nel Regio esercito furono in numero relativamente limitato, si può facilmente osservare che la possibilità materiale di arruolarsi nell’esercito italiano fu assai limitata, anzitutto dal fatto che il grosso degli uomini validi delle comunità italiane sotto lo scettro di Francesco Giuseppe era stato chiamato alle armi nel 1914, un anno prima dell’ingresso in guerra di Roma, e che, fra i rimanenti, pochi ebbero modo di varcare la frontiera e fuggire in Italia. 
 
Le fonti austriache descrivono però uno scenario in cui l’ostilità verso il regime imperiale ed un atteggiamento nazionale in senso italiano erano largamente diffusi fra i Volksitaliener arruolati. Il convincimento degli alti quadri militari dell’impero che il grosso degli italiani fosse irredentista fu dunque tanto radicato da condurli, durante ad una guerra durissima, a premunirsi contro di loro, sacrificando alle esigenze di sicurezza politica le considerazioni di natura strettamente bellica 
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