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Nuova crociata femminista: “La fila al bagno è sessista!”. Quote rosa anche per i cessi? 
di Ninni Raimondi
 
Le femministe inglesi chiamano, quelle italiane rispondono. Su che cosa? Sulle file ai cessi. Un articolo del The Guardian stigmatizza l’antico recesso del patriarcato che è la penuria di toilettes per le signore. E sul Sole 24 Ore prontamente ci si trova d’accordo e si parte dalla minzione per arrivare alla legittimità delle quote rosa. 
 
“La battaglia passa dalla toilette” 
“La battaglia per la parità delle donne passa anche dalla toilette. Una tesi da sposare subito” scrive Micaela Cappellini su Alley Oop, blog collegato al Sole 24 Ore che disquisisce di tematiche prettamente femministe. “E’ fisiologico che una donna impieghi 90 secondi, anziché 60, a svuotare la vescica. E già questo comporta che noi donne abbiamo bisogno di una quota di tempo in più prima di uscire dalla toilette. A questo va aggiunto che le donne, rispetto agli uomini, hanno almeno altri due motivi per entrare in un bagno. Uno è certo, ed è l’esigenza di cambiare l’assorbente durante le mestruazioni. E l’altro è altamente probabile, e riguarda il fatto che statisticamente sono ancora di più le donne degli uomini ad accompagnare i bambini a fare pipì, o quando sono più piccoli a cambiarsi il pannolino”: ora, amiche, io non mi sono mai cronometrata ma per la mia esperienza, soprattutto in caso di lunghe file ai bagni per i festival musicali e simili eventi accadono due cose. La prima è che le donne, se sono un po’ comprensive, tendono ad accelerare le pratiche. la seconda è che questi uomini brutti, sporchi e cattivi, preferiranno fare la pipì en plein air liberando così la “corsia” per noi femminucce. 
 
Penuria di wc in Inghilterra? 
Da qui si passa a dire quindi che le donne hanno “più ragioni di andare alla toilette rispetto agli uomini”. L’articolo originale del Guardian prende in considerazione la penuria di wc dedicate alle quote rosa, ma si prodiga anche a specificare che parla della media inglese. “Può darsi che in Italia le proporzioni siano diverse, certo. Ma gli orinatoi a parete, sono sicura, ci sono anche da noi”, scrive ancora la Cappellini. Dunque, nessuna di noi, dati alla mano, può stabilire con certezza se questo “sopruso” è esteso su scala globale oppure è un problema squisitamente “british”. Nel pezzo del Guardian si prende ad esempio quanto accaduto alla tenerissima Hillary Clinton, arrivata in ritardo dopo una pausa in un dibattito del Partito democratico perché la “toilette era occupata”. Il Boston Globe non ha mancato di notare che a lasciare la Clinton a farsela addosso è stata un’altra donna che, però, faceva parte dello staff di O’ Malley – uno dei suoi avversari, quindi forse lo ha fatto apposta. Rimane difficile pensare che vi fosse un solo bagno per signore, quando persino nel più scalcinato cinema di periferia italiano ci sono almeno due spazi per le signorine. Comunque, alla faccia della supposta solidarietà femminile! 
 
La questione femminile al bagno 
Ma se insomma la questione applicata alle donne italiane sembra bizzarra, non finisce qui la rivendicazione della minzione: “La questione femminile passa (anche) dalle toilette. (…) Quella della toilette è una metafora. Del vantaggio che altre volte andrebbe concesso alle donne per permettere loro di raggiungere la parità. Dentro i Cda, per esempio, grazie alle quote rosa. Oppure, chessò, rendendo obbligatorio quello stesso congedo di paternità che per le madri è invece facoltativo. Perché forse solo incentivando gli uomini a stare a casa si può ottenere una divisione più equa della cura dei figli”; insomma, la lotta per la parità passa dallo sciacquone alle quote rosa. Pure se i bagni sarebbero solo un mero tratteggio organizzativo e le seconde sono, invece, pura ingiustizia ai danni della meritocrazia.  
Licenza Creative Commons  30 Gennaio 2020
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