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Legge per ricordare le Foibe: il Pd non vota e scatena una sceneggiata 
di Ninni Raimondi
 
Legge per ricordare le Foibe: il Pd non vota e scatena una sceneggiata 
Nella seduta del 19 febbraio 2020 del Consiglio Regionale del Friuli Venezia Giulia si sta discutendo la proposta di legge regionale presentata da Claudio Giacomelli, consigliere di Fratelli d’Italia. Oggetto della proposta di legge sono gli “Interventi volti alla conoscenza, alla diffusione e al ricordo del dramma delle foibe e dell’esodo istriano-fiumano-dalmata”. Una proposta sicuramente frutto di quanto abbiamo visto anche quest’anno col proliferare di conferenze dove ormai non ci si sofferma più solo sugli aspetti numerici delle Foibe, ma si ha l’ardire, o meglio l’indecenza, di “contestualizzare” il fenomeno che ha visto migliaia di italiani innocenti morire per mano dei partigiani jugoslavi di Tito. 
 
La sceneggiata del Pd 
Ed è qui che va in scena la pagliacciata del Partito Democratico che già nella relazione della minoranza scrive che “istituire una legge solamente su queste vicende senza tenere conto di un più ampio inquadramento e approfondimento sulle caratteristiche e i crimini della guerra imperialista condotta dall’Italia fascista nei Balcani e delle sue politiche totalitarie, nazionalistiche e razziste in questi territori, alimenta una lettura rancorosa, squilibrata e divisiva”. Al di là dell’ossessione per il fascismo che il partito di Nicola Zingaretti deve sempre dimostrare, quello che accade in aula risulta surreale in una Nazione che, nel 2020, fatica ancora a ricordare i propri morti civili ammazzati barbaramente dai partigiani jugoslavi. Il gruppo del Partito Democratico decide di non partecipare alla votazione uscendo, quindi, dall’aula consiliare. 
Resta a rimarcare la propria posizione invece il consigliere Igor Gabrovec, anche lui membro del Partito Democratico in quota Slovenska skupnost. Dopo aver manifestato il proprio orgoglio per “avere la tessera dell’ANPI”, cita, un po’ come gli comoda, il vademecum per il Giorno del Ricordo redatto dall’Istituto regionale per la storia della Resistenza e dell’Età contemporanea nel Friuli Venezia Giulia definendolo come “un buon strumento per capire quel periodo”. Peccato che, tra alcune verità si celano anche tante precisazioni che, tuttavia, paiono avere il sapore di giustificazionismo e revisionismo storico. Ma questo non dovrebbe stupire più di tanto se si va a guardare l’elenco delle persone che lo hanno redatto. 
Tra i tanti nomi, molti dei quali storici onesti e rispettabili accademici, figurano due personalità su cui è legittimo nutrire perplessità. Da Jože Pirjevec, a dire il vero non molto noto in Italia, a Sandi Volk. Il primo è stato un noto militante politico e parlamentare a Lubiana in un partito ex comunista sloveno erede ideologico dei “titini”. Sono facilmente reperibili anche diverse informazioni su Pirjevec che rendono evidente in quale misura egli usi la storia come strumento di affermazione ideologica. Un suo libro s’intitola “Trst je nas” (“Trieste è nostra”), usando il grido dei titini che occuparono l’Istria e la Venezia Giulia. In un altro suo libro (Vojna in mir na Primorskem), invece usa la definizione “na Primorskem”, cioè di “Litorale sloveno”, per indicare la Venezia Giulia. Ben più noto è, invece, il secondo Sandi Volk. 
 
Un vergognoso revisionismo 
Oltre alla sua partecipazione a illustri conferenze come quella intitolata “Confine orientale: ricordo e falsità” dove si fa esplicito riferimento al “revisionismo storico del fascismo” che porterebbe con se il Giorno del Ricordo, non possiamo ignorare quello che scrive la nota revisionista Claudia Cernigoi sul sito diecifebbraio.info: “Per la difesa dei partigiani accusati di essere degli “infoibatori” si costituì un gruppo di persone (tra cui cito Alessandra Kersevan e Sandi Volk […]), gruppo cui anni dopo Kersevan volle dare il nome di “Resistenza storica”, perché il nostro lavoro era, ed è tuttora, quello di fare ricerca storica resistendo alle manipolazioni ed agli stravolgimenti di coloro che usano la storia a scopi politici, per denigrare l’antifascismo e riabilitare la zona grigia se non addirittura il nazifascismo”. Non stupisce quindi che il “vademecum”, dopo aver dedicato ben 10 pagine sul fascismo, nelle 6 riguardanti le Foibe scrive cose come “Definire «pulizia etnica» fenomeni quali le foibe e l’esodo è quindi un grave errore, che denota incomprensione sia del termine che delle caratteristiche peculiari dell’italianità adriatica” e “va precisato che l’infoibamento non era una modalità di uccisione, ma di occultamento delle salme, legato in genere alla difficoltà nello scavo di fosse comuni. Risultano pochissimi casi in cui nell’abisso furono gettate persone ancora vive, specie per errori nella fucilazione”. 
 
Peccato che proprio su quest’ultimo punto uno degli autori dello stesso “vademecum”, il prof. Guido Rumici, scrive (altrove) “quando si parla di Foibe, si tende a generalizzare il fenomeno.  
Un fenomeno che può essere invece distinto in tre fasi.  
 
Ci furono i fucilati 
Ci furono i deportati in campi di concentramento, dove rimasero anche a lungo, morendo di stenti, sevizie, malattie.  
Infine ci furono gli infoibati.  
Questi ultimi in linea di massima venivano spintonati a calci e pugni fino all’orlo della cavità.  
 
Avevano i polsi legati col fil di ferro 
Spesso erano messi a due a due.  
Così si sparava al primo, che precipitava nella foiba, portandosi appresso quello vivo.  
La foiba era fonda decine, anche centinaia di metri. Potevano morire, i vivi, dopo lunga agonia.  
Testimonianze riferiscono di urla, di strazianti richieste di aiuto che arrivavano dal ventre della terra anche uno, due giorni dopo gli eccidi”. 
Licenza Creative Commons  21 Febbraio 2020
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