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Il doping è ancora una piaga nel mondo del ciclismo? 
di Ninni Raimondi
 
Il doping è ancora una piaga nel mondo del ciclismo? 
La stagione ciclistica 2020 è appena iniziata e, in attesa delle prime competizioni di un certo spessore, bisogna fare i conti con l’ombra del doping che aleggia sempre sul mondo delle due ruote. Cerchiamo di fare chiarezza, onde evitare di scadere nei soliti slogan da bar “Ma tanto si dopano tutti”. 
 
Un’indagine riservata della CADF (Cycling AntiDoping Foundation) pare collegare Jakob Fuglsang ed Alexey Lutsenko – ciclisti di primo livello del Team Astana, il primo addirittura argento olimpico a Rio – al medico Michele Ferrari, radiato dal mondo del ciclismo, noto soprattutto per lo scandalo doping che ha avuto il protagonista principale in Lance Armstrong. La squadra, che sta collaborando con CADF e UCI (Unione Ciclistica Internazionale), smentisce però i rapporti ed anche il medico italiano sostiene che almeno da una decina di anni non coltiva rapporti con alcun ciclista, definendo queste notizie una bufala mediatica. Qualsiasi tipo di contatto con Ferrari costituisce un illecito ed è punito con una pena fino ai 2 anni di sospensione. La stessa CAFD nega addirittura di aver avviato un’indagine nei confronti dei due corridori, anche se fonti riportano di un’attesa per un supertestimone e altri ciclisti di primo piano coinvolti. Fatto sta che il corridore danese in questo momento sta partecipando alla Vuelta a Andalucia Ruta del Sol. 
 
Le nuove forme di doping 
Preoccupa poi l’utilizzo di nuove sostanze naturali: parliamo dei chetoni. In questo momento, i chetoni sono utilizzati come integratori nelle bevande che i corridori consumano durante le gare e non. Il numero uno dell’agenzia antidoping Herman Ram ha ammonito la Jumbo-Visma (team che conta, tra gli altri, ciclisti del calibro di Doumulin, Roglic e Kruijswijk) sull’utilizzo dei chetoni, non tanto in quanto sostanze dopanti (non sono inseriti nella lista nera dei prodotti proibiti), quanto perchè sono ancora sconosciuti gli effetti sulla salute. Il nutrizionista del team olandese rassicura e non mostra alcuna preoccupazione. 
A mettere pepe e scaldare gli animi dei più, ci pensa anche Rudy Pevenage – dirigente tra le altre della Bianchi e della T-Mobile, uomo di fiducia di Ullrich – con la sua biografia “Der Rudy”, nella quale spiega le pratiche di doping utilizzate negli anni novanta e duemila. Quegli anni furono di certo i più neri per il ciclismo internazionale e da quel momento i controlli sono diventati più stringenti. Tanto per fare un esempio, il nostro Davide Malacarne (ritirato nel 2018, probabilmente senza comunicazione ufficiale all’UCI, all’età di 31 anni), si è appena preso un anno di squalifica (fino a gennaio 2021) per violazione dell’obbligo di reperibilità. Questo obbligo consiste nel fatto che ogni corridore deve comunicare ogni suo spostamento in modo da consentire controlli antidoping a sorpresa. Regola stringente, a tratti soffocante. 
Andiamo ad analizzare quanto accaduto nella fine del 2019. Il ciclista britannico Chris Froome, infortunato da lungo tempo, si ritrova in bacheca la Vuelta del 2011, a causa della squalifica del corridore spagnolo Juan Josè Cobo Acebo, vincitore di quell’edizione. La squalifica è dovuta a due irregolarità nel passaporto biologico in due distinti anni. 
Il passaporto biologico è una tecnica antidoping introdotta dalla WADA (Agenzia Mondiale AntiDoping) che consiste nel tracciamento nel tempo dei parametri ematici dell’atleta. Nel momento in cui tali parametri in certi periodi discostano dall’andamento usuale dell’atleta senza alcuna giustificazione, si incorre nella squalifica. È una tecnica sofisticata che permette non tanto di scoprire le sostanze proibite utilizzate, tanto gli effetti che esse inducono sui parametri sanguinei. La pecca è che passano anche degli anni prima di poter confermare la squalifica dell’atleta. Lo stesso Froome invece è stato coinvolto nel caso del salbutamolo, assunto in misura doppia rispetto a quella consentita durante una giornata di gara. Il Team Ineos (ex Sky) con un’accurata dimostrazione scientifica ha dimostrato che lo sforamento non era del 100%, ma del 19% dovuto a uno spruzzo in più dell’antiasmatico da parte di Froome. Certo è che solo il Team Ineos poteva permettersi una spesa ingente per dimostrare la non positività. 
 
L’Operazione Aderlass 
Chiudiamo citando l’Operazione Aderlass, che sta scuotendo in maniera trasversale il mondo dello sport. Non se ne parla molto, ma ci sono indagini in corso e la richiesta di esami retroattivi per un gran numero di sportivi. Tra i ciclisti coinvolti vi sono alcuni nomi noti a chi segue con frequenza le corse: parliamo di Koren, Durasek, Preidler e Denifl. Qualcuno fa il nome di Alessandro Petacchi (ormai ritirato), che smentisce. Una delle figure centrali in questa operazione è il medico Mark Schmidt, ex Team Milram e Gerolsteiner. Denifl e i suoi avvocati sostengono che il 90% degli atleti sia dopato, Preidler dice di aver iniziato a doparsi per curiosità. Attendiamo ulteriori sviluppi. 
 
Certo è che il contrasto al doping ha fatto passi in avanti notevoli e che ormai è quasi impossibile passare inosservati.  
È vero anche che alcune sostanze e farmaci sono consentiti, alcuni in più su deroga.  
È stata eseguita una pulizia notevole nel corso degli anni e in questi ultimi tempi, visto l’aumento dei casi, WADA e UCI stanno comunque prendendo le adeguate contromisure.  
Sperando di non scoprire in futuro l’esistenza di nuove pratiche dopanti. 
Licenza Creative Commons   25 Febbraio 2020
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