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La figura dell’eroe nella tradizione: potenza di un archetipo 
di Ninni Raimondi
 
 
La figura dell’eroe nella tradizione: potenza di un archetipo 
La storia antica viene scoperta dall’uomo attraverso i simboli e i miti, tradotti nel linguaggio moderno dai filologi e dagli studiosi delle religioni. Dal canto loro, gli antropologi dimostrano che queste leggende sono diffuse ancora oggi nei riti delle società tribali[1] 
 
Tra i vari miti, quello dell’eroe è il più importante, in quanto lo troviamo nella cultura umana (ebraica, greca, romana, celtica, norrena, orientale, africana, indiana) sin dalla notte dei tempi. In ogni angolo della Terra sono presenti leggende che parlano di individui dotati di forza, coraggio e arguzia portentosi, in grado di compiere imprese fuori dall’ordinario. Se osserviamo con attenzione il fenomeno in parola, è agevole desumere non pochi elementi di comunanza tra le varie culture, anche se tra esse non vi è mai stato alcun contatto[2] 
 
Chi è l’«eroe»? 
Prima di continuare il nostro studio, è bene domandarsi cosa si intenda per “eroe”. 
Una parte della dottrina ritiene che «generato da un dio – o da una dea – e da un essere umano, l’eroe è il simbolo dell’unione delle forze celesti e terrene e, pur non godendo dell’immortalità divina, conserva fino alla morte un potere sovrannaturale: è un dio decaduto o un uomo divinizzato. Gli eroi possono però acquisire l’immortalità, come Polluce ed Eracle, e possono anche levarsi dalla tomba per difendere la città sotto la loro protezione[3].» 
Muovendo dalla nozione dianzi esposta, possiamo collocare la figura dell’eroe nella mitologica età del bronzo (appena precedente all’età del ferro, o Kali Yuga), dove uomini audaci si distinsero per le loro imprese straordinarie tra l’assedio di Tebe, la spedizione degli Argonauti e la guerra di Troia[4]
L’eroe è una figura proteiforme e può manifestarsi sulla Terra in molteplici modi. Abbiamo infatti: 
 
il guerriero, il quale si presenta quando compaiono mostri che realizzano atti empi nei confronti degli uomini, ovvero quando vi sono tiranni che governano in maniera crudele e pertanto devono essere spodestati[5]
il redentore, nella circostanza in cui costituisce una incarnazione del padre e della sua legge diretta[6]
il santo o l’asceta, che rinuncia al mondo; 
l’amante; 
l’imperatore, colui che non rinnova il ciclo cosmico ma che consente all’umanità di acquisire una profonda saggezza, il cui simbolo è il libro della legge[7]
Da Ercole in avanti 
Se dovessimo prendere in esame tutti gli eroi, potremmo affermare a buon diritto che il più popolare sia Ercole, simbolo archetipico della vittoria dell’anima sulle debolezze umane[8]. Le sue avventure vengono narrate in numerose leggende, esaltando le sue fatiche, la sua morte per ustioni dovuta alla tunica di Nesso e la finale concessione dell’immortalità. Come non ricordare l’uccisione del leone Nemeo – invulnerabile a ferro, bronzo o pietra – e dell’Idra di Lerna[9]
Rimanendo sempre in ambito greco, vi sono però svariati eroi che hanno avuto accesso ai Campi Elisi come Bellerofonte, che è ricordato per le sue numerose imprese, tra cui vittoria sulla Chimera, e Perseo, figlio di Zeus e di Danae, a cui è tributata l’uccisione di Medusa, ottenuta grazie ai sandali alati, all’elmo di Ade (che rende invisibili) e alla sacca magica dove riporre la testa della gorgone[10]. 
Se volgiamo lo sguardo alla cultura egizia, è raro riscontrare eroi con la facilità con la quale sono presenti nel mondo classico, e anche quando compaiono generalmente hanno il titolo di sovrano e acquisiscono tale beneficio grazie alla loro discendenza, diretta o lontana, dal fondatore della città o del regno. È bene ricordare che vi sono comunque delle eccezioni: infatti a un importante architetto come Imhotep sono stati riservati onori divini e dedicate cappelle, dopo la sua morte. 
Sul versante celtico, balza alla luce Cùchulainn (figlio del dio Lug), al quale sono attribuite imprese straordinarie come quella di fermare da solo l’esercito della regina Medb, per mesi[11]. Durante la battaglia, il nostro è guidato dalla ferg, una furia che lo rende pericoloso per chiunque si trovi vicino a lui. Inoltre, Cùchulainn è dotato di un calore tipico dei guerrieri dell’Ulster che fa sciogliere la neve sino a trenta passi di distanza, fenomeno a cui possiamo attribuire l’usanza dei Celti di andare nudi in battaglia[12]
 
L’archetipo dell’eroe 
Se analizziamo con attenzione tutte le leggende che hanno come oggetto gli eroi, possiamo delineare con precisione uno schema tipico e reiterato di avventura, che viene diviso in tre differenti fasi: separazione dal mondo, iniziazione in qualche centro di potere e ritorno sulla Terra. 
Una parte rilevante della dottrina afferma che: «l’eroe abbandona il mondo normale per avventurarsi in un regno meraviglioso e soprannaturale; qui incontra forze favolose e riporta una decisiva vittoria; l’eroe fa ritorno dalla sua misteriosa avventura dotato del potere di diffondere la felicità fra gli uomini[13].» 
E infatti Prometeo è salito in cielo, ha rubato il fuoco degli dèi ed è ritornato sulla Terra. Giasone, dopo aver fatto rotta verso la Colchide, addormenta il drago, si impossessa del Vello d’Oro e viaggia verso la sua patria, scacciando l’usurpatore. Enea scende nell’Averno, getta un’offa a Cerbero e parla con l’ombra di suo padre. 
 
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Note: 
[1] Cfr. Carl Gustav Jung, L’uomo e i suoi simboli, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2016, p. 110. 
[2] Ibidem. 
[3] Jean Chevalier, Alain Gheerbrandt, Dizionario dei simboli. Miti, sogni, costumi, gesti, forme, figure, colori, numeri, BUR RIZZOLI, 2016, cit. p. 417. 
[4] Cfr. Robert Graves, I miti greci, Longanesi, Milano, p. 29. 
[5] Cfr. Joseph John Campbell, op. cit., p. 296. 
[6] Cfr. Joseph Campbell, op. cit., p. 307. 
[7] Cfr. Joseph Campbell, op. cit., p. 304. 
[8] Cfr. Jean Chevalier, Alain Gheerbrandt, op. cit., p. 414. 
[9] Per una dettagliata descrizione delle avventure di Ercole si consiglia la lettura di Robert Graves, op. cit., pp. 409 e ss. 
[10] Cfr. Robert Graves, op. cit., pp. 215. 
[11] Cfr. Jean Chevalier, Alain Gheerbrandt, op. cit., 418. 
[12] Ibidem. 
[13] Jean Chevalier, Alain Gheerbrandt, op. cit., cit. p. 419. 
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