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Valore ed elogio delle virtù virili: arriva in Italia “La Via degli Uomini” 
di Ninni Raimondi
 
Valore ed elogio delle virtù virili: arriva in Italia “La Via degli Uomini” 
 
Esce per i tipi di Passaggio al Bosco – lode al fiorentino Marco Scatarzi che è stato il più veloce – La Via degli Uomini di Jack Donovan. Ci sono voluti dieci anni perché arrivasse in Italia l’eco di questo pamphlet muscoloso, che offre un importante contributo al filone della riscoperta della virilità e della reazione alla femminilizzazione dell’uomo nuovo, già maschio, pater e vir, ora anche acquirente di creme viso emollienti e rinfrescanti. Anche se qualche millennio di storia ha il suo peso specifico e il suo Uomo maschio deve necessariamente rapportarsi al nostro Vir, le sue bande alle nostre Legioni, il suo Clan alla nostra Universitas, Donovan offre una prospettiva vitale nel dibattito, a volte un po’ sterile se a rapportarsi sono i pro e i contro di un’unica cultura dominante, insistentemente alla continua riscoperta del mito femminino. 
 
È vero, siamo nell’epoca dell’esaltazione della figura della Grande Madre benevola, riflessiva acquariana, gran bocciona rassicurante ed ecologica, che si contrappone alla demonizzazione, il termine non è affatto paradossale, del Grande Maschio (Bianco?) aggressivo e irrazionale, allegro stupratore guerrafondaio e bieco e feroce consumatore. 
 
Donovan, come altri invece in Europa anche se con radici altre e diverse basi, esce dalla contrapposizione dualistica per ricordarci il valore storico antropologico delle virtù virili e il loro ruolo nella storia umana, meglio, nella storia che a dispetto di ogni narrazione appare quella dell’Uomo. Certo, pochi possono dire di essere sfuggiti alla sirena del mito femminista femminile, che tende oggi ad essere rappresentato come straordinariamente moderno e benefico, anche in ordine alla sua perfetta organicità funzionale alla società mercantile e virtuale, che preferisce gli uomini vanitosi e irrisolti,  disperatamente alla ricerca di costosi e effimeri palliativi di quella che si fatica a definire come la ovvia virilità perduta. Maschi impegnatissimi nella costante dimostrazione di questa “nuova” virilità tutta femminiella, dettata e definita dalle donne, non sia mai il sopracciglio fuori posto o il peletto del naso indomito, che impone l’immagine fashion e la cura dell’ammennicolo, che celebra l’abilità nel procacciarsi beni lussuosi e inutili, assieme a una verve intellettuale sempre ipercritica e caustica e mai propositiva, che prevalga e annienti la naturale combattività e lo spirito di competizione per il prestigio sociale e la preda\femmina, propria dell’uomo antico. 
 
La Via degli Uomini, ovvero delle virtù virili 
Ne La Via degli Uomini Donovan racconta a suo modo le prime originarie aggregazioni di uomini, esempio è la banda di tal Romolo che fonda una piccola città nell’antico Lazio che finisce per diventare un impero, celebrando le bande, le gang, le squadre, piccoli gruppi che nella lotta verso il predominio diventano tribù, clan, nazioni, indicandole come vera realizzazione del mito e dell’equilibrio virile, anche in contrapposizione con lo svilimento moderno, che affonda le radici nella apatica quotidianità priva di pericoli, sacrifici, sofferenza e lotta. Un quotidianità terribilmente noiosa e frustrante per quella categoria di uomini, che lui definisce di frontiera riecheggiando il mito nordamericano del maschio virile, ma che in occidente sono ben rappresentati dall’archetipo dei nostri antenati, fondatori di città e imperi prima che di giochi di gladiatori e toga party. 
 
Al fine di arricchire questa sua panoramica, all’originario saggio si è voluto aggiungere in questa pubblicazione l’approfondimento Un mondo senza uomini, che distrugge alcuni falsi miti della cultura femminista, dimostrando la paradossale fragilità di certi studi di grandi sociologi del passato che, ancora molto spesso citati a fondamento del femminismo più radicalscemo, mentre da decadi lo stesso mondo scientifico li non solo sconfessati, ma ormai apertamente irrisi. Una su tutti, Margaret Mead e il suo famoso paradosso del paradiso samoano, che avrebbe dovuto dimostrare come il mito della virilità fosse solo infrastruttura sociale imposta ma non naturale. In realtà, i samoani pacifici e sottomessi alle loro donne ritratti dalla Mead erano frutto di una narrazione tutta femminile, menzognera e compiacente verso l’antropologa, al fine di esaudirne il desiderio pregiudiziale. 
 
L’uomo di Donovan è potente, primigenio, consapevole del suo destino biologico di guerriero, socio, padre e maestro: è quanto di più lontano può esistere dal palliativo maschile che vorrebbe il sentimento politicamente corretto attuale, che giustifica la nostra frustrazione di lavoratori operai, compulsivi ed ossessivi nella ripetizioni di rituali da insetti, indirizzati a possedere sempre più, beni materiali come chicchi di cereale, senza vivere un solo pericolo, una sola grande avventura, grandi scimmie bonobo che lasciano alla femmina le incombenze quotidiane, per dedicarsi all’ozio e all’apatia. 
Licenza Creative Commons  1 Giugno 2020
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