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Né destra né sinistra: La rivoluzione culturale di Mussolini nell’opera di Sternhell 
di Ninni Raimondi
 
Né destra né sinistra: la rivoluzione culturale di Mussolini nell’opera di Sternhell 
 
Non solo in Italia, ma anche a livello internazionale, si parla ormai quotidianamente di fascismo e Mussolini. Dal Brasile agli Usa, dalla Cina alle Filippine, la definizione di fascismo balza sempre più spesso agli onori della cronaca – quasi sempre a sproposito. Come a sproposito si parlò di Napoleone e della «vecchia guardia» bonapartista dopo il Congresso di Vienna, ovvero il Patto di Jalta dell’Ottocento, volendo azzardare un paragone forte. 
 
Sternhell filosofo della politica  
Il saggio di Zeev Sternhell Nascita dell’ideologia fascista rimane sicuramente quello più profondo e oggettivo per comprendere il fenomeno, con talune precisazioni che di seguito tenteremo di avanzare. Zeev Sternhell, israeliano di estrema sinistra, antifascista e materialista storico, oltre a quello appena citato ha dedicato molti saggi alla questione. L’autore è più un filosofo della politica come Del Noce che uno storico puro come De Felice, per questo talune sue intuizioni restano brillanti e non superate sulla questione fascismo. Sternhell ha profondamente influenzato non solo la Nuova destra francese negli anni Ottanta con il concetto di «metapolitica», ma anche tutto il dibattito politico della sinistra intellettuale parigina negli anni Ottanta, essendo stato capace di disgregare una dopo l’altra le certezze dell’intellettualità laica e globalista sul fenomeno fascista. 
 
Il fascino segreto del fascismo 
Per Sternhell, diversamente da De Felice e dallo stesso Nolte, la storia sociale conta veramente poco per quanto riguarda Mussolini e la marcia su Roma, e in generale è sopravvalutata. Come Benedetto Croce, egli afferma invece la centralità e la supremazia della storia delle idee. Con la metodologia della storia sociale non si comprende il fascismo italiano, ma si creano equivoci e falsa ideologia. Sternhell è perciò un vichiano puro. E come tale egli indaga sulla sostanzialità filosofico-politica del fascismo. Il Nostro sostiene con valide argomentazioni ermeneutiche due tesi forti, che secondo Belardinelli (si veda l’introduzione all’Intervista sul fascismo defeliciana) avrebbero finito per convincere lo stesso De Felice. Sternhell parla a più riprese di un «fascino segreto del fascismo di Mussolini», dovuto alla visione dell’universo anti-materialista e al volontarismo profondamente umanistico, soggettivista e immanentista rivoluzionario dell’élite in camicia nera, che con tali presupposti – caso raro nella storia contemporanea – riesce a conquistare il potere: inoltre, sostiene che il fascismo fu il movimento politico più originale e caratteristico del Novecento. 
 
Una rivoluzione culturale 
La prima tesi forte sternhelliana è che il fascismo italiano di Mussolini – non il nazionalsocialismo tedesco né il franchismo spagnolo, che sarebbero oggettivisti e deterministi come il marxismo e il liberal-capitalismo – sia un atto di guerra filosofico-politico contro l’illuminismo borghese e lo scientismo contemporaneo, il più grande atto di guerra ideologico che vi sia stato a tal riguardo dall’89 a oggi. La seconda tesi è che non sarebbe possibile storicizzare il fascismo italiano, in quanto non sarebbe stato un mero fenomeno contingente che va dal 1922 al 1945; laddove vi è l’impulso di uno Stato tradizionale e rivoluzionario, che smobilita l’apparato e l’edificio istituzionale dell’Occidente anglofilo materialista e borghese, lì vi sarebbe fascismo in atto. Durante un convegno parigino alla fine degli anni Ottanta, Sternhell disse che il fascismo non riviveva affatto nel Cile di Pinochet, che definì di contro «afascista», neo-franchista e liberista, ma ben più semmai nella Teheran degli ayatollah, sebbene per iscritto non abbia mai approfondito un simile paragone. Il fascismo non è nazionalismo ed etnarchia – altra differenza sostanziale dal franchismo e dal nazionalsocialismo – ma eventualmente usa l’idea di Stato-nazione come comunità morale e organica in funzione anti-individualista ed anti-collettivista. Attraverso l’uso totale dello Stato – produttore d’identità, organizzatore dell’economia, monopolista della socialità – Mussolini tenta di risolvere le irriducibili antinomie della modernità. 
 
I limiti dell’interpretazione di Sternhell 
Allo stesso tempo, tuttavia, Sternhell forse esagera in alcuni concetti. Se è vero che Mussolini fu sempre attento lettore di Sorel e se è vero che – come precisa del resto proprio il Duce ne La dottrina del fascismo – il fascismo sarà l’incarnazione politica e storica della frazione sindacalista e rivoluzionaria del socialismo italiano, è anche vero che la tattica politica usata dal capo fascista nella fase della conquista del potere e nella conduzione di Stato fu antitetica allo «spontaneismo» armato sociale soreliano. Mussolini fu un iperpoliticista e ha ragione la Sarfatti quando dice che «Machiavelli fu il suo unico maestro», con la scuola politica del Rinascimento italiano. L’elitismo mussoliniano fu tutto politicista ed incentrato poi nella ragion di Stato, non fu un avanguardismo proletario o produttivistico, come era viceversa nella teoria sindacalista e soreliana. In tal senso, Carl Schmitt ci aiuta. Quest’ultimo, definendo Mussolini il Machiavelli della sua epoca, precisa che la teoria volontaristica e immanentistica del mito di Sorel è una teoria autenticamente politica e conflittuale nel senso machiavellico; si torna così alla sostanza anti-illuminista, anti-determinista, anti-naturalistica del fascismo. Questa teoria, ben più che la prassi dello sciopero generale, potrebbe essere l’apporto soreliano al Mussolini fascista. 
 
Altro grande limite di Sternhell, il più evidente e veramente incomprensibile del peraltro prezioso suo saggio, è che egli identifica la difesa tattica della piccola proprietà e della piccola borghesia fatta dal fascismo-movimento durante la guerra civile come una difesa tout court del capitalismo. Così conclude il filosofo antifascista e marxista israeliano: «Il regime fascista degli anni Trenta è più vicino alla sintesi ideologica promossa dalla “Lupa” (sindacalista rivoluzionaria, 1911) di quanto lo sia lo stalinismo ai principi marxisti. L’evoluzione del fascismo avviene in funzione di quegli obiettivi primari che si erano prefissati i protagonisti di una rivoluzione antiliberale, antimaterialista e antimarxista che non ha precedenti nella storia. Fu una rivoluzione, quella fascista, per la nazione nella sua interezza, una rivoluzione politica ma anche morale e spirituale». 
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