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Fondato e diretto, nel 2003, da Ninni Raimondi
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Il Punto
Vediamo un po' che succede in giro 
di Ninni Raimondi
 
Facciamoci una bella carrellata di opinioni! 
Dunque dicevamo ... 
 
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La denuncia di Zaia: “Stranieri infetti non rispettano isolamento, vanno fermati alla frontiera” 
 
Il governo giallofucsia blocca l’ingresso a chi viene dalla lista dei 16 Paesi a rischio coronavirus ma poi non fa abbastanza per controllare che effettivamente non ci siano contagi di importazione e che i positivi arrivati in Italia restino isolati. A lanciare l’allarme e a denunciare l’inefficienza del governo centrale è il presidente della Regione Veneto Luca Zaia: “Vanno fermati”, e se necessario vanno fatti “i fermi alla frontiera, per legge”. 
 
“Da stranieri focolaio più grande in Veneto dalla fine del lockdown” 
“Sta succedendo quello che si sperava non accadesse, ma che avevamo a più riprese paventato potesse essere un grave pericolo: cittadini stranieri rappresentano il focolaio più grande registrato in Veneto dalla fine del lockdown, con decine di positivi e numeri che possono ancora crescere. In questa situazione già preoccupante, si verificano poi vere e proprie gravissime illegalità, con positivi asintomatici che si rendono irreperibili ai controlli. Vanno assolutamente fermati”. Zaia denuncia il dilagare del fenomeno di stranieri infetti, che arrivano o si trovano in Veneto, che non rispettano le norme di sicurezza e, in alcune occasioni, arrivano a rifiutare le cure che vengono loro offerte o a violare l’isolamento. 
 
“Esiste Piano di sanità pubblica, va fatto rispettare a ogni costo” 
“Di qualsiasi nazionalità siano, quale che sia il mezzo di trasporto utilizzato, da qualsiasi area provengano – fa presente l’esponente leghista – mi chiedo come mai non si provveda immediatamente al controllo e, se necessario, al fermo alla frontiera di queste persone, utilizzando le leggi vigenti o, qualora indispensabile, approvando con assoluta urgenza norme specifiche. Esiste un Piano di sanità pubblica che va fatto rispettare ad ogni costo, nell’interesse delle stesse persone infette e dell’intera comunità civile, perché se c’è un modo per far tornare il Covid-19 è proprio quello di permettere ai positivi di girare indisturbati, mentre vanno fermati”. 
 
“Serve blocco totale degli immigrati dal nord Africa” 
“Mi chiedo ad esempio – aggiunge Zaia – quali test si facciano e come siano fatti all’arrivo degli immigrati provenienti dal nord Africa, sia allo sbarco che successivamente. In presenza di una situazione come questa si deve arrivare a pensare anche a un blocco totale, perché la solidarietà è sacra e inviolabile, ma la salute pubblica vale di più”. Nei giorni scorsi il governatore veneto aveva fatto presente che era stato isolato il ceppo serbo del virus, ritenuto “più aggressivo”, con cui si era contagiato un imprenditore vicentino poi rientrato in Italia. Ceppo peraltro diverso da quello diffuso nel nostro Paese, aveva precisato Zaia. Ragione in più per intensificare i controlli alle frontiere e chiudere i porti. 
 
 
 
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Benetton è la persona più onesta che abbia mai conosciuto  
 
"Siamo un Paese di vigliacchi”: Toscani ne spara un’altra 
 
Sul serio qualcuno potrebbe mai sperticarsi in difesa dei Benetton? Ma certo che sì. E chi altro se non Oliviero Toscani, storico fotografo che è si è occupato per anni delle campagne pubblicitarie del marchio di abbigliamento? “Conosco Luciano Benetton, lavoro con lui dal 1980 e fra tutte le persone con cui ho lavorato, tra lui e la sua famiglia non ho mai conosciuto persone più oneste. Ora non lavoro più per loro e sono libero di parlare, non ho vergogna e paura a dirlo. Non solo umanamente, ma professionalmente”. E’ quanto dichiarato da Toscani all’Adnkronos. 
 
“A Luciano (Benetton, ndr)” in tutti questi anni “ho visto fare delle scelte anche contro l’azienda ma sempre lungimiranti. Una di queste è stata quando lo Stato gli ha affibbiato le Autostrade, che non voleva nessuno. Nessuno si ricorda, ma nel ’99 le autostrade erano un disastro, nessuno le voleva. L’azienda andava bene, eppure lui e i suoi fratelli si addossarono Autostrade“. Oibò, messa così il fondatore del Gruppo Benetton, già senatore del Partito Repubblicano, sembrerebbe quasi un eroe, quasi un benefattore. E come mai nessuno se n’era accorto? 
“Linciaggio mediatico, siamo un Paese di vigliacchi” 
Ci mancava il radical chic Toscani a raccontarci brevemente la commovente biografia di “Luciano”. Ovvero “un signore nato povero, orfano povero, a 10 anni lavorava, non come la politica italiana di oggi fatta di nani e ballerine che decidono a chi addossare le gogne”. Maledetti lavativi che non siete altro, prendete esempio da Benetton no? “Siamo un paese di vigliacchi”, tuona ancora il fotografo noto per le sue sobrie esternazioni, parlando poi di “linciaggio mediatico ridicolo” nei confronti della famiglia per cui realizzava le campagne pubblicitarie. “E’ un’ingiustizia umana, Luciano Benetton 85 anni, ha un’integrità morale e una serietà indiscutibili”, insiste Toscani. 
 
Gli “italiani mediocri” che danno addosso ai Benetton 
E quindi la responsabilità della pessima gestione di Autostrade di chi è? “Purtroppo – sostiene Toscani- sfortunatamente succede, hanno assunto dei manager che ahimè hanno la stessa qualità dei nostri politici, poco seri. Purtroppo c’è in giro della gente disonesta, gli ingegneri e i responsabili non erano all’altezza, anche se naturalmente non tutti, e ci sono andati di mezzo tutti gli altri. Questi mediocri impreparati hanno demolito anche le cose sane, mentre in Autostrade c’è tanta gente che lavora splendidamente, hanno fatto cose incredibili”. Saremmo curiosi di scoprirle queste “cose incredibili”, magari Toscani ci farà avere un elenco. 
 
Intanto però il “raffinato” fotografo che posò con le Sardine a “casa” Benetton, giusto per non smentirsi mai, si scaglia contro “la gente” che adesso “gode a dare addosso”.  
Ma quale gente?  
“Gli italioti mediocri, che purtroppo sono il freno a mano di questo paese. Questo è un paese pieno di cattiveria, di frustrazione, di cattiveria sociale, invidia. Tutto ciò che va bene viene distrutto. Tenetevi i vari Di Battista e Di Maio, e andremo lontano”, conclude Toscani. Qualche inutile sparata offensiva ad alzo zero, non poteva mancare. 
 
 
 
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I meccanici Ferrari non si inginocchiano, Hamilton li attacca: “Dovete fare di più contro il razzismo” 
 
A Lewis Hamilton non basta umiliare le Ferrare in pista. Il sei volte campione del mondo, dopo aver vinto il Gp di Stiria (con le rosse che si sono autoeliminate al primo giro), si è scagliato contro meccanici e dirigenti ferraristi per non essersi inginocchiati durante l’inno a fine corsa, a differenza di quanto fatto invece dal team Red Bull. “Abbiamo visto i meccanici della Red Bull inginocchiarsi ed è stato bellissimo, ma guardate la Ferrari: ci lavorano migliaia di persone e da parte loro non ho sentito nessuna parola, nessuna assunzione di responsabilità sul tema“. Dunque Hamilton, paladino dell’antirazzismo nel circus della Formula Uno, bacchetta la Ferrari in quanto non starebbe facendo abbastanza contro il razzismo. 
 
Hamilton chiede alla Ferrari di “fare di più” contro il razzismo 
Hamilton è convinto che Maranello non farà nulla “nemmeno in futuro. Invece serve che la Formula 1 e la FIA siano ancora più coinvolti, abbiamo bisogno delle squadre, occorre che tutti facciano squadra. Alcuni mi hanno chiesto ‘Per quanto tempo dobbiamo continuare a inginocchiarci?‘, insomma c’è molto lavoro da svolgere per la Formula 1, la FIA deve farne parte e penso che lo stesso valga per i piloti, anche perché abbiamo la voce e le piattaforme per farlo”. Insomma uno degli sportivi più ricchi del mondo sta conducendo questa battaglia cruciale per sensibilizzare il dorato mondo della Formula 1 contro il razzismo. Del resto la scuderia di Hamilton, la Mercedes, aveva dato un segnale fortissimo con la svolta “black” della propria livrea. 
 
Leclerc nel mirino di Hamilton? 
E’ probabile che Hamilton, nel criticare i meccanici della rossa, volesse in realtà mandare un messaggio a Charles Leclerc, pilota ferrarista che ha deciso, pur ribadendo di essere contro il razzismo, di non inginocchiarsi.  
Anche altri piloti, tra cui Max Verstappen, hanno deciso di non inginocchiarsi.  
Un comportamento che probabilmente non farà piacere al paladino milionario dell’antirazzismo, Lewis Hamilton.  
 
Ad ogni modo tutti i piloti hanno indossato la maglietta “End Racism”, compresi i ferraristi. Ma questo al sei volte campione del mondo probabilmente non basta. 
 
 
 
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Consiglio Ue, è subito scontro Italia-Olanda sul diritto di veto per erogare i soldi 
 
Oggi è il giorno del Consiglio europeo straordinario sul Recovery fund, che adesso si chiama Next Generation Eu. Il primo in presenza, di persona, dopo quelli in videoconferenza a causa della pandemia. A partire dalle 10 – si prosegue anche domani – i capi di Stato e di governo dell’Unione europea sono stati convocati dal presidente del Consiglio Ue Charles Michel per riprendere le trattative sul pacchetto da 750 miliardi per i Paesi più colpiti dalla crisi economica scatenata dall’emergenza coronavirus. Al centro del Consiglio anche il bilancio Ue 2021-2027, a cui il Next Generation Eu è strettamente connesso.  
Per l’Italia, rappresentata dal premier Giuseppe Conte, si prospetta un negoziato tutto in salita con i paletti ribaditi dai falchi del nord, i cosiddetti Paesi frugali secondo la stampa filo-Ue e morbida con il governo giallofucsia. A sentire il premier olandese Mark Rutte, il negoziato sarà lungo e difficile – nei giorni scorsi anche la cancelliera tedesca Angela Merkel ha ammesso, proprio in un incontro con Conte, che molto probabilmente in questa due giorni non si troverà la quadra e quindi serviranno altri vertici. Il premier dal canto suo in quell’occasione si è subito messo in ginocchio di fronte alla cancelliera (e alla Ue) pur di ottenere qualcosa, ribadendo con entusiasmo che “l’Italia esige che sia monitorato come vengano spesi i soldi e come vengano fatte le riforme”. 
 
Tanti i nodi da sciogliere e i paletti contro l’Italia 
Sulla carta, il proposito del Consiglio è arrivare a un accordo. In realtà in campo ci sono interessi contrapposti tali che per Conte, al di là dei proclami roboanti – “o vinciamo tutti o perdiamo tutti” -, sarà difficilissimo strappare qualche concessione. Nello specifico, oggi dopo l’intervento del presidente del Parlamento Ue David Sassoli, i 27 Paesi Ue dovranno affrontare il pacchetto, la sua struttura, e trattare su ogni dettaglio. Sono ancora molti i nodi da sciogliere, a partire dalla governance, ossia da come si utilizzeranno i soldi. Su questo fronte c’è già stato il primo scontro tra Italia e Olanda. 
 
Rutte esige il voto all’unanimità in Consiglio per erogare i soldi 
Rutte esige un voto all’unanimità in Consiglio per l’approvazione dei piani nazionali di ripresa, in cui saranno inserite le riforme che i Paesi dovranno realizzare come conditio sine qua non per ottenere i soldi. Ma su questo i Paesi Bassi sono soli, tutti gli altri 26 sono contrari. Rutte, dal canto suo, non intende cedere di un millimetro (già questo rappresenta un’impasse, considerato che per procedere nelle trattative serve di volta in volta l’unanimità dei 27). Sul diritto di veto, ossia la possibilità di poter dire no all’erogazione dei fondi se un Paese non è convinto di come verranno spesi, o delle riforme messe in campo e o degli investimenti degli Stati membri, Conte dice che “è una richiesta non in linea con le regole europee”. 
 
Le ipotesi sul piatto su come ottenere l’accesso ai fondi 
Altra ipotesi sul piatto, una sorta di “freno di emergenza” che permetterebbe a un governo di chiedere una discussione in Consiglio nel caso in cui un Paese non rispettasse gli impegni assunti sul fronte delle riforme. Anche questa soluzione, a detta di Conte, è inaccettabile per l’Italia. Un altro paio di maniche invece è la proposta di Michel, che ha accolto quella della presidenza tedesca del semestre europeo, e che prevede che il Consiglio decida a maggioranza qualificata (almeno 15 Paesi su 27 e che rappresentino almeno il 65% della popolazione Ue) in due mesi su una proposta della Commissione, a cui seguiranno altre massimo quattro settimane per l’erogazione dei fondi. Altra questione in ballo, quella del legame tra aiuti e rispetto dello Stato di diritto. Su questo fronte, l’Ungheria chiede un alleggerimento della condizionalità. Anche qui lo scontro sarà duro perché in gioco ci sono i valori fondanti della Ue. 
 
Manca l’intesa anche sull’ammontare del prossimo bilancio Ue 
Ma ci sono anche questioni più tecniche su cui la possibilità di trovare un’intesa allo stato attuale appare remota. Come l‘ammontare del prossimo bilancio Ue 2021-2026. Secondo la proposta di Michel, da cui si parte per avviare le trattative, la cifra complessiva sarebbe di 1.074 miliardi di euro. Tuttavia per alcuni Stati membri si tratta ancora di troppi soldi. La Danimarca, per esempio, chiede di scendere a 1.050. Dal canto suo, l’Italia è contraria a un ridimensionamento. E almeno su questo fronte ha dalla sua anche il Parlamento Ue, che in merito decide insieme al Consiglio. 
 
Divisioni su quanti soldi mettere nel Recovery fund e in che misura saranno prestiti 
Altra questione fondamentale quanti soldi mettere nel Recovery fund. La proposta di Michel ha mantenuto inalterata quella della Commissione Ue che prevede un totale di 750 miliardi. I Paesi frugali, ossia Olanda, Austria, Svezia e Danimarca, a cui si è aggiunta anche la Finlandia, chiedono una riduzione dell’ammontare nonché il minimo possibile di sovvenzioni rispetto ai prestiti. L’Italia invece chiede che il pacchetto non si tocchi così com’è. 
 
La questione dei “rebates” vantati da Germania, Olanda e altri Paesi 
Altre ipotesi sul piatto, tagliare i trasferimenti da destinare ai programmi diversi dal programma che prevede aiuti agli Stati in cambio di riforme (Recovery and Resilience Facility), rendendo così più stringenti le condizioni per avere i soldi. Infine i cosiddetti “rebates”, il meccanismo di correzioni in favore di Germania, Olanda, Austria, Svezia, Danimarca e che vede contrari tutti gli altri Paesi (Conte sarebbe disposto a riconoscere questi “privilegi anacronistici” a patto che si proceda speditamente con la trattativa). 
 
Il nodo della distribuzione dei soldi 
Ma il negoziato incontrerà non poche difficoltà anche su come distribuire i soldi. Contro gli attuali criteri, oltre ai Paesi dell’est che contestano i vantaggi a favore dei Paesi del sud, ci sono anche Irlanda e Lussemburgo. La proposta di Michel prevede la distribuzione del 70% tra il 2021 e il 2022, il restante 30% nel 2023. Il tutto secondo una serie di criteri tra cui l’eventualità di un crollo del Pil nei due anni precedenti. 
 
All’Italia rinfacciano di non aver utilizzato il Mes 
In conclusione, però, c’è da dire l’Italia parte da una posizione svantaggiata anche e soprattutto perché a detta dei Paesi frugali poteva chiedere i soldi del Mes, stanziati con urgenza e pronti subito (ma da restituire in tempi e modi molto stringenti) e invece non l’ha fatto. Per cui, è quello che si contesta al nostro governo, non c’è tutta questa fretta di attivare i soldi del Recovery fund. Ma la differenza tra i due pacchetti, come è noto, è sostanziale: il Mes è vincolato alle spese sanitarie legate alla pandemia e non si può usare per intervenire sulla crisi economica. 
 
Il problema quindi per l’Italia resta: se dovesse davvero accettare di chiedere il Mes come pre-condizione per presentare le riforme per avere i soldi del Next Generation Eu, Conte dovrà fare di tutto per far passare la richiesta al Fondo salva Stati in Parlamento. E se dovesse riuscirci per l’Italia scatterebbe la trappola Ue, con il rischio di ritrovarci la Troika in casa che ci dice cosa dobbiamo tagliare (o svendere) per restituire il prestito. 
 
 
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“Tamponi agli immigrati appena sbarcano o il virus si diffonderà”. L’allarme di Crisanti 
 
Gli immigrati “tutti, indistintamente, vanno testati subito con il tampone appena sbarcano o arrivano in Italia. Bisogna bloccare sul nascere le situazioni a rischio”. Altrimenti il pericolo è “la diffusione a macchia d’olio del virus, che non se n’è mai andato, non ce lo dimentichiamo”. A lanciare l’allarme è il virologo Andrea Crisanti, direttore della Microbiologia e Virologia dell’università di Padova. Secondo l’esperto, “sono gli asintomatici i più infettivi. Purtroppo, molto spesso, le infezioni circolano tra i giovani che trasmettono e infettano. Gli anziani invece si ammalano”. 
 
“Jesolo? Nei centri di accoglienza non si può accedere facilmente” 
In un’intervista al Giornale, Crisanti interviene anche sul caso del centro della Croce rossa di Jesolo, dove si è scoperto che il 30% degli ospiti (42 immigrati africani) era positivo: “Nei centri di accoglienza non si può accedere facilmente. Servono autorizzazioni dal ministero dell’Interno. Noi in passato avevamo fatto domanda di testare queste realtà – precisa l’esperto – ma da Roma non ci hanno mai autorizzato, o forse non ci hanno neppure risposto. E la cosa non ha avuto seguito. E quindi non siamo intervenuti. Era fine marzo”. Il virus, avverte il virologo, “non guarda in faccia nessuno e circola ovunque. Quindi dovevano essere testati pure i migranti. Non avevamo sospetti precisi, ma volevo monitorarli perché erano stati lasciati fuori dai controlli epidemiologici“. 
 
“Non stiamo facendo un campionamento della popolazione” 
Secondo l’esperto, “di certo il virus non è morto. Continua a circolare. E non si sa quanto sottotraccia. Non so se stiamo testando le persone giuste“, ammette Crisanti. “In Veneto, per esempio – sottolinea – i tamponi sono quasi tutti fatti al personale ospedaliero che è molto protetto. E non sono molto significativi. In questo momento non stiamo facendo un campionamento della popolazione. Non ci rendiamo conto che possono esserci tanti casi positivi asintomatici in circolazione, che si accumulano e che poi possono creare grossi problemi di diffusione del virus”, conclude il virologo. 
 
Locatelli (Css): “Dall’estero il 30% dei nuovi contagiati” 
In ogni caso, al di là del punto di vista di Crisanti sull’attuale diffusione del virus – altri esperti altrettanto autorevoli spiegano che nella popolazione italiana è quasi sparito, soprattutto in termini di ricoveri per Covid-19 – il dato preoccupante è il continuo arrivo di clandestini, spesso positivi, che potrebbe vanificare i sacrifici compiuti dai cittadini nei mesi della serrata generale. Franco Locatelli, presidente del Consiglio superiore di sanità (Css), spiega che il 30% dei nuovi contagiati proviene proprio dall’estero. Eravamo tutti tappati in casa per contenere i contagi e ora l’importiamo dall’estero perché il governo giallofucsia non chiude i porti. 
 
 
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“Mes? Il governo non ha mai escluso di utilizzarlo”. Così Gualtieri gela i 5 Stelle 
 
Mentre Giuseppe Conte va a Bruxelles per affrontare la difficile trattativa sul Recovery fund nella due giorni del Consiglio Ue straordinario, il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri prepara il campo a un’eventuale richiesta del Mes, il Meccanismo europeo di stabilità versione pandemia (soldi in prestito per le spese sanitarie). “Il governo – afferma l’esponente Pd – non ha mai escluso l’uso della nuova linea di credito del Mes“. Ecco fatto: il grillino Luigi Di Maio aveva appena ripetuto che il premier gli ha garantito che il Mes non verrà richiesto ed ecco che il titolare del Mef, in barba al “no” dei 5 Stelle al Fondo salva Stati, chiarisce che l’esecutivo non ha affatto chiuso alla possibilità di ricorrervi. Soprattutto in vista proprio della trattativa a Bruxelles, dove in tanti obiettano all’Italia – che vorrebbe che il Recovery fund partisse prima possibile – che intanto avrebbe potuto chiedere i soldi del Mes. 
 
“E’ decisivo chiudere il negoziato al più presto” 
In un’intervista al Corriere della Sera, Gualtieri in merito al vertice di Bruxelles afferma che “è decisivo chiudere il negoziato al più presto, se possibile già in questo Consiglio europeo. Io sono fiducioso“, aggiunge. Ma a detta del premier olandese Rutte o della cancelliera tedesca Merkel è altamente improbabile che entro domani si raggiunga una qualche intesa. In merito alle richieste dell’Italia e ai veti dei cosiddetti Paesi frugali, il titolare del Mef ripete la posizione ufficiale del premier: “Ci batteremo con forza”, “saremo molto determinati”. E conferma che sul fronte Recovery fund il governo giallofucsia è “da tempo al lavoro. Dopo il contributo della task force Colao e gli Stati generali, col Piano nazionale delle riforme abbiamo indicato le priorità del Recovery plan e lunedì verrà istituita la struttura incaricata di redigerlo – spiega -. L’Italia è tra i Paesi che sono partiti prima e il decreto Semplificazioni, che è legge dello Stato, è parte integrante del nostro progetto di rilancio”. 
 
Ma per Berlino “la madre di tutte le riforme” è robetta 
E proprio sul fronte delle riforme, al nostro Paese verranno richieste misure lacrime e sangue sulla falsa riga di quelle del governo Monti. Proprio in merito al dl Semplificazioni citato da Gualtieri, a sentire un consigliere della Merkel intervistato da Repubblica, la “madre di tutte le riforme” (come l’ha chiamata con i soliti toni roboanti Conte) è robetta. La Germania, i “frugali”, la Ue chiedono di più. 
 
 
 
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Autostrade: un regalo ai Benetton mascherato da nazionalizzazione 
 
Quanto incasseranno i Benetton dall’uscita dall’azionariato di Autostrade per l’Italia? Ancora non è chiaro – lo sapremo forse tra qualche mese – ma una cosa è certa: il fatto che il titolo della capogruppo Atlantia abbia nella giornata di ieri letteralmente preso il volo in borsa – con un clamoroso +26,65% alla chiusura di ieri – significa che la famiglia trevigiana non se ne andrà con un pugno di mosche in mano. “Chi muove i soldi ha capito che a vincere la partita ancora una volta sono stati i Benetton“, ha commentato causticamente il direttore de Il Tempo, Franco Bechis. 
 
Il monopolio naturale per eccellenza 
Che finalmente le autostrade – non tutte, attenzione: Aspi controlla la metà, quasi 3 mila km sui 6 mila attualmente dati in concessione – tornino in mano allo Stato è una buona notizia. Parliamo d’altronde del monopolio naturale per eccellenza (insieme alle ferrovie) per il quale l’affidamento a qualsiasi soggetto al di fuori del pubblico si traduce immancabilmente nella creazione di una profittevolissima rendita di posizione, accompagnata da un’ipertrofia burocratica che rende difficile se non impossibile districarsi fra gli estremi degli accordi siglati. Posto quindi che la gestione statale – la quale non dovrebbe tradursi nel “semplice” affidamento ad una società creata ad hoc a partecipazione pubblica, lasciata poi al suo destino senza alcuna visione d’insieme – è l’unica desiderabile, la nazionalizzazione non poteva che essere il naturale esito di un percorso successivo all’emergere di palesi mancanze da parte del soggetto privato, quello per intenderci che mentre portava gli utili alle stelle dimezzava gli investimenti sulla rete. 
 
Perché la concessione non è stata revocata? 
Parliamo ovviamente di quanto è emerso dalla tragedia del Ponte Morandi in avanti, data-simbolo a partire dalla quale il Movimento 5 Stelle, azionista di maggioranza di ben due governi consecutivi, ha continuato a chiedere a gran voce la revoca della concessione di Autostrade per l’Italia. Strada irta di difficoltà finita persino in un passaggio del decreto milleproroghe, tramite il quale si posero le basi per decurtare la penale da corrispondere ad Atlantia in caso di scioglimento anticipato del contratto: da 23 a 7 miliardi. La domanda è: li avremmo veramente dovuti pagare? La risposta non l’abbiamo, ma sembra che nemmeno nelle sedi competenti – in primis il ministero delle Infrastrutture e dei trasporti – si siano mai seriamente posti il quesito. Il tema è scivoloso, ma il titolare del dicastero – Danilo Toninelli del M5S prima, Paola de Micheli in quota Pd dopo – avrebbe quantomeno dovuto attivarsi per avere un quadro completo della situazione. 
 
D’accordo che l’avvocatura dello Stato aveva evidenziato i profili di rischio della revoca, parere che però è arrivato (era febbraio di quest’anno) prima della sentenza con cui pochi giorni fa la Corte Costituzionale ha dato ragione al governo nella scelta di escludere Autostrade per l’Italia dalla ricostruzione del viadotto Polcevera, pur caricando sulle sue spalle i relativi costi: “La decisione del Legislatore di non affidare ad Autostrade la ricostruzione del Ponte – hanno scritto i giudici della Consulta – è stata determinata dalla eccezionale gravità della situazione che lo ha indotto, in via precauzionale, a non affidare i lavori alla società incaricata della manutenzione del Ponte stesso”. Non una certificazione delle (palesi, non siamo noi a dirlo) inadempienze, certo, comunque un precedente importante da spendere qualora si fosse tentata la via della revoca. 
 
Un regalo ai Benetton 
L’esecutivo ha invece giocato la carta dell’accordo transattivo. Stando ai dettagli circolati, la famiglia Benetton diluirà la propria partecipazione tramite un aumento di capitale cui parteciperà (a che prezzo? Qui vedremo quanto ci costerà la nazionalizzazione peggio gestita nella storia d’Italia) Cassa Depositi e Prestiti, traendo persino un profitto che si preannuncia discreto dalla cessione (a chi non è ancora dato saperlo: potrebbe anche essere un altro investitore pubblico o magari l’ennesimo investitore estero di cui non sentivamo il bisogno) di ulteriori quote che farebbero scendere Atlantia attorno al 10% del capitale, abbastanza per non esprimere più consiglieri d’amministrazione e non dover più farsi garante di qualche miliardo di debiti, ma parimenti sufficienti per continuare in futuro a partecipare alla spartizione dei dividendi. Senza più responsabilità dirette conseguenti agli ultimi vent’anni e oltre di malagestione. 
 
 
 
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Statemi bene 
 
Ninni Raimondi 
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