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Il Punto
Niente museo del Ventennio, il fascismo non finisce sotto una teca. E meno male 
di Ninni Raimondi
 
Niente museo del Ventennio, il fascismo non finisce sotto una teca. E meno male 
 
Fortunatamente, l’idea di un museo del fascismo da allestire a Roma sembra tramontata ancor prima di prendere corpo. È stato comunque divertente vedere il brivido di terrore della Raggi e della sinistra al solo pensiero che un simile museo, del tutto a prescindere dagli intenti degli organizzatori, potesse diventare un polo d’attrazione per simpatizzanti di Mussolini. È sempre rinfrancante assistere a questo stato di allerta continua, questo proibizionismo incessante, quest’isteria moralistica su cui si regge l’antifascismo, nel costante timore che le difese immunitarie contro il male assoluto possano allentarsi. È bello vederli così, bigotti col fiatone, sbirri della memoria, puritani con la sindrome da accerchiamento, incapaci di qualsiasi autolegittimazione minimamente positiva… 
 
E’ un bene che questo museo sul fascismo non si faccia 
Ma, a parte questo, è un bene che questo museo non si faccia. Questa mia convinzione incontrerà magari lo scetticismo di quella destra che, in risposta all’iconoclastia di Black lives matter, ha di recente scoperto la propria vocazione museale, ma la verità è che da quell’idea sarebbero venuti fuori solo pasticci. Intanto perché l’Italia ha un rapporto non conciliato con il fascismo, e quindi il museo sarebbe stato posto sotto la vigilanza dell’Anpi e avrebbe raccolto solo un florilegio di errori e orrori. Certo, la forza dei simboli è talmente potente che, probabilmente, anche una simile esposizione splatter avrebbe finito per evocare suggestioni politicamente sgradite. Ci sarebbe stato, insomma, da divertirsi lo stesso. Ma il punto, a dirla tutta, non è neanche questo. 
 
Il fascismo non si può “normalizzare” (per fortuna) 
Il vero motivo per cui questo museo non s’ha dare è un altro, anche se ha comunque a che fare con il rapporto non conciliato che la nostra società ha con il Ventennio. Il punto è che questa mancata conciliazione è, in fin dei conti, un’eredità preziosa da tenersi stretti. Il fatto che il fascismo rappresenti qualcosa di incongruo, di non assimilabile, di non normalizzabile è la prova migliore della sua vitalità. Non del Regime, non delle sue forme esteriori, non delle sue strutture, ma del suo essere un fenomeno storico che ha toccato delle corde e ha segnato degli spartiacque che sono ancora carne viva e sanguinante. 
 
La storia ha un senso perché è divisiva 
Capisco che la cosa possa suonare strana alle orecchie della Brigata Montanelli, ma la storia ha un senso anche se divisiva, anzi, ce lo ha proprio perché è divisiva, perché scinde i campi, perché fa discutere, perché è terreno di scontro fra egemonie, perché suscita revisioni, riscritture, sovrascritture, cancellazioni, riscoperte. Il fascismo sotto una teca non riesce a starci. E questo è un bene. Sarebbe del resto assurdo che Mussolini finisse al museo ora che ne stanno uscendo anche Giulio Cesare e Napoleone. L’epoca presente, cioè, prevede una rimessa in discussione dello spirito conciliato con cui fino a qualche anno fa abbiamo guardato ad epoche maggiormente sedimentate nella nostra memoria. Si rimette in discussione tutto, si contesta un’intero passato in tutte le sue sfaccettature, si riscopre la portata prettamente politica di eredità un tempo considerate neutrali. Si riportano nell’arena dell’egemonia Dante e Leopardi. E proprio ora vorremmo trarne fuori Mussolini? Lui non ne sarebbe affatto contento. 
Licenza Creative Commons  6 Agosto  2020
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