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Furbetti dei 600 euro, il governo si giustifica: “C’era fretta, non abbiamo previsto limiti di reddito” 
di Ninni Raimondi
 
Furbetti dei 600 euro, il governo si giustifica: “C’era fretta, non abbiamo previsto limiti di reddito” 
 
I nomi non sono ancora usciti, ma ora si conoscono gli schieramenti politici – 3 in tutto – dei 5 parlamentari «furbetti»: di coloro, cioè, che avevano fatto domanda all’Inps per il bonus partite Iva da 600 euro mensili (poi elevato a 1000), previsto dai decreti Cura Italia e Rilancio e pensato per venire in aiuto ai lavoratori autonomi durante il lockdown. 
 
Ingordi 
La scoperta, portata alla luce da Repubbica nella giornata di ieri, proviene da una segnalazione diretta della direzione centrale Antifrode, Anticorruzione e Trasparenza dell’Inps, creata ad hoc dal presidente Pasquale Tridico con l’obiettivo di individuare i truffatori. A norma di legge, tutti i possessori di partita Iva, liberi professionisti co.co.co e alcune categorie di autonomi, avevano diritto di accedere all’indennità. Ma la mossa dei cinque parlamentari, che percependo ben 12.439 euro netti al mese, più una cospicua mole di benefit e agevolazioni di ogni ordine e grado (dai trasporti, tanto ferroviari quanto aerei, alla copertura delle spese sanitarie, e via dicendo) in un momento di grave crisi ed emergenza hanno pensato bene di approfittarsi di questo vuoto normativo per ricevere un sussidio di cui non avevano bisogno, ha sollevato un’onda compatta di idignazione. 
 
I partiti dei furbetti 
Ebbene, dalle prime indiscrezioni sarebbe emerso che i cinque «ingordi» di Montecitorio sarebbero tre deputati della Lega, uno del Movimento 5 Stelle e uno di Italia Viva. Non solo: nella vicenda sarebbero coinvolte altre duemila persone «tra assessori regionali, consiglieri regionali e comunali, governatori e sindaci». 
 
Le reazioni 
Immediate e univoche le reazioni del mondo politico. Il ministro degli Esteri Luigi Di Maio ha scritto su Facebook: «Questa pandemia ha fatto danni economici senza precedenti. Ci sono state persone che hanno perso il lavoro, aziende che hanno visto il proprio fatturato scendere in maniera drastica, attività che hanno chiuso senza più riaprire. E questi 5 personaggi invece di rispondere al popolo che li ha eletti hanno ben pensato di approfittarne – prosegue Di Maio –  i nomi di queste 5 persone sono coperti dalla legge sulla privacy. Bene, siano loro ad avere il coraggio di uscire allo scoperto. Chiedano scusa agli italiani, restituiscano i soldi e si dimettano, se in corpo gli è rimasto ancora un briciolo di pudore”. 
«Se non dovesse palesarsi spontaneamente chi ha richiesto il bonus, chiederò a tutti i nostri parlamentari di sottoscrivere una dichiarazione per autorizzare l’Inps a fornire i dati di chi ha usufruito del bonus. Un fatto così grave non può passare senza conseguenze. Spero che tutti i partiti si muovano nella stessa direzione, lo dobbiamo a chi sta soffrendo le dure conseguenze di questa pandemia». Così Vito Crimi, capo politico del M5S e viceministro dell’Interno. 
Il leader della Lega, Matteo Salvini, oltre a condannare la condotta deputati, punta il dito contro l’Inps. «Che un parlamentare chieda i 600 euro destinati alle partite Iva in difficoltà è una vergogna. Che un decreto del governo lo permetta è una vergogna – attacca Salvini – ma che l’Inps abbia dato quei soldi è una vergogna». E aggiunge: «Chiunque siano i deputati, procedere con l’immediata sospensione». 
Sulla vicenda è intervenuta duramente anche la presidente di Fratelli D’Italia, Giorgia Meloni, definendo l’episodio «uno squallore». Poi ha proseguito: «Una brutta storia di deputati avidi e governo incompetente sulla quale pretendiamo massima chiarezza. Intanto, visto che l’Inps non fa i nomi per questione di privacy, invito ogni parlamentare a dichiarare ‘Bonus Inps? io no!’.  
In modo che i nomi emergano lo stesso, per esclusione». 
 
Di chi è la responsabilità? 
Adesso, però, i riflettori sono puntati contro la maggioranza, che ha la responsabilità di aver varato un provvedimento in cui non erano previsti limiti di reddito. Antonio Misiani – viceministro dem al Ministero dell’Economia e delle Finanze – intervistato dal tempo, ha così messo le mani avanti: «C’è stata una discussione, e si è scelta la strada più rapida, evitando di chiedere una ulteriore documentazione ai contribuenti». Nel primo decreto, spiega, «non c’erano limiti, si è deciso di non tagliare fuori persone che ne avevano bisogno, affidandoci a un senso di responsabilità che dovrebbe coinvolgere tutti, mentre nel secondo decreto sono stati introdotti dei parametri». Gli fa eco il 5 Stelle Alessio Villarosa: «Non si potevano mettere paletti sennò avremmo dovuto fare doppi controlli e, come vede, la gente si è lamentata dei ritardi». 
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