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Un po' di cultura non fa sicuramente male 
di Ninni Raimondi
 
 
         
 
Comprendere il novecento oltre l’onda materialista: Ernst Nolte 
 
Ernst Nolte è considerato dai progressisti uno storico revisionista, fu oggetto di violenze da parte dei marxisti e persino Angela Merkel, che come noto non è un esempio di tolleranza né di saggezza, rifiutò di partecipare a un simposio con lui. Fu allievo prediletto di Heidegger, si formò come filosofo e si consacrò come storico. Augusto Del Noce, cattolico antifascista, scrisse che senza la chiave filosofica di Nolte non si può comprendere il Novecento. 
 
Tra Sternhell, Schmitt e Nolte 
Zeev Sternhell – storico marxista ed ebreo israeliano, forse il più importante e filosoficamente profondo “revisionista” del ‘900 – sostiene paradossalmente che il fascismo è una necessità spirituale ed è per certi versi inevitabile come offensiva “eroica”, mitica e religiosa di fronte alla strabordante onda materialista e nichilista. Tentiamo comunque di vedere affinità e divergenze tra lo storico tedesco e l’israeliano. 
Nolte, come riconobbe egli medesimo nel corso di un convegno a Roma del novembre 2001, si è in parte ispirato al pensiero di Carl Schmitt nell’elaborare concetti quali guerra civile europea e amico/nemico. Come ha scritto Franco Volpi, condiviso dal filosofo Severino, il conflitto storico tra il cristianesimo e l’ebraismo è per Schmitt l’irriducibile discrimine nel divenire della storia. Il combattimento politico è dunque una lotta metafisica, ne siano più o meno consapevoli i politici che si fronteggiano sul piano dell’agone storico. 
Carl Schmitt rappresentava ai vertici della grande politica dell’estremo occidente un’elite ebraica progressista e anticristiana, con il suo messianismo rivoluzionario e la sua “arte segreta di trattare il Leviatano”. La combinazione di globalismo messianista ebraico e radicalismo comunista fu per lui decisiva. Il bolscevismo fu quindi il più grande attacco portato alla tradizione giuridica e morale dell’ordinamento cristiano europeo, continuando il sovversivismo di Cromwell, con lo sterminio dei cattolici irlandesi, e dei Giacobini, con lo sterminio vandeano, su un piano ora internazionale con la teoria dello sterminio globale di classe. 
 
Una “guerra civile europea” 
L’ideologia del “progresso”, che si delinea tramite la prassi della rivoluzione mondiale del partigiano o della “rivoluzione legale mondiale” – tale concetto schmittiano in epoca di coronavirus e di biosorveglianza totalitaria è più attuale che mai – ancor prima che economicismo è una filosofia della politica: “Le elite che pianificano e governano costituiscono se stesse e le masse da loro governate attraverso orientamenti di filosofia della storia” (Cfr. C. Schmitt, Tre possibilità di una immagine cristiana della storia). La stessa guerra fredda post-1945, nella visione di Schmitt, non è che parte della guerra rivoluzionaria “rossa” promossa dalle elite mondiali progressiste. Senza la teoria di Schmitt, il concetto noltiano della “guerra civile europea” non si potrebbe comprendere. 
Nolte scrive che Mussolini prima di ogni altro leader “nazionale”, con l’antibolscevismo integrale nel suo nesso tra teoria e prassi radicalizzò questa concezione di autodifesa conservativa dal terrore stato d’emergenza mondiale instaurato dai leninisti. Dice Nolte che per Mussolini, “la cooperazione tra i banchieri ebrei di Londra e di New York e i loro compagni di razza di Mosca che impediva la vittoria degli eserciti bianchi… rappresentava la vendetta contro il Cristianesimo”. 
Nolte escogita inoltre il concetto di “trascendenza teoretica e pratica” che andrebbe identificato con il leninismo e con il wilsonismo degli anni ’20 o genericamente con quello che definisce “messianismo ebraico”: il fascismo di Mussolini sarebbe sulla linea del prefascismo dell’Action Francaise di Maurras, un atto di disperata resistenza al livellamento globalista marxista avanzante. Sternhell afferma che per la prima volta dai tempi della Rivoluzione inglese una elite politica mostrò come il corso progressistico e illuministico della storia non fosse invincibile o deterministicamente irreversibile: per questo, nell’ottica dello storico ebreo-marxista, Benito Mussolini, ben più di Hitler o di Franco o di Petain, incarna sino alle sue massime conseguenze l’elemento tragico e eroico della grandezza politica. Inoltre, la “Destra rivoluzionaria” sternhelliana, antigiacobina e antinapoleonica, è l’autentica Rivoluzione conservatrice europea, il conservatorismo radicale della Ligues des Patriotes, de Les Jaunes de France o del boulangismo è realmente prefascista. Se, ancora, Nolte sostiene che la celebrazione mussoliniana degli eroi e dei santi, l’atto di maggior resistenza ideologica e pratica alla trascendenza livellatrice progressista, è in Mussolini frutto del suo giovanile socialismo rivoluzionario, Sternhell spiega, di contro, che è invece la particolare familiarità e vicinanza di Mussolini con il pensiero eroico e conservatore della Destra rivoluzionaria francese a produrre questa religiosità fascista. Sternhell considera infine il fascismo un atto di guerra contro la fanatica ideologia laicista e scientifica, un vero e proprio contro-illuminismo conservatore-rivoluzionario basato su una visione mitica e eroica della vita e della morte. 
 
L’aspetto fondamentale è che proprio Sternhell non giudica il fascismo in base alla persecuzione antiebraica (ha anzi parole molto clementi sulla presunta tolleranza di Mussolini statista), il comunismo in base ai gulag, le democrazie liberali in base al genocidio dei pellerossa, a Dresda o alle bombe atomiche, il cristianesimo in base all’inquisizione, l’islam in base all’11 settembre, l’ebraismo in base al genocidio dei palestinesi o al presunto “giudeo-marxismo”. Con Nolte si corre invece il rischio di cadere in questo estremismo giustificazionista, pur ispirato dal comprensibile intento di difendere la storia del conservatorismo tedesco. 
Sergio Romano, noto estimatore di Sternhell, ha scritto che le guerre del XX secolo hanno provocato circa 90 milioni di morti, molti genocidi, e gli storici dovrebbero essere capaci di non lasciarsi influenzare nell’analisi dalla propria storia personale. Cosa che Sternhell ha fatto più di ogni altro. Nolte finisce per legittimare il discorso sul “nazifascismo”, Sternhell lo rifiuta: in suo scritto molto importante e definitivo ma poco conosciuto, Dal Controilluminismo alla Rivoluzione nazionale (2005), lo storico marxista israeliano sostiene che esistono quattro prototipi di fascismo, italiano francese spagnolo e tedesco, ma ognuno con le proprie specificità e caratterizzazioni. Infine, a differenza di quanto sostenevano De Felice e Nolte, e questo è un motivo storiografico fondamentale e decisivo, per Sternhell il fascismo, quale movimento culturale conservativo rivoluzionario, viveva prima di Mussolini e vivrà dopo di lui. Il franchismo spagnolo fu una rivoluzione nazionale basata sul Mito, realmente controilluministica e antiscientista, il Caudillo fu uno statista fascista come Petain e Mussolini, il fascismo avrebbe perciò resistito, in antagonismo agli illuministi d’oriente e occidente, al comando sino agli anni ’80 circa e lo stesso Msi fu un movimento orientativamente fascista (Cfr. Intervista a Sternhell a cura di Franscesco Germinario). 
 
La visione di Nolte 
Mussolini realizzò storicizzandolo, dice Sternhell, il fascismo quale moto metafisico di guerra sacra allo scientismo illuminista e alla pianificazione razionalizzatrice totalitaria che sembra essere la via senza uscita della catastrofica civilizzazione occidentale. Per questo fu il genio politico dell’epoca contemporanea e la sua invenzione, basata sulla lotta concreta di elite nazionali conservatrici ma storiciste e moderniste contro l’assoluto dogmatico progressistico di destra o di sinistra, “fu geniale” e avrebbe cambiato il corso della storia come nessuna altra da secoli a oggi. 
Se quindi De Felice ha mostrato che pur nella sua controversa militanza senza Mussolini l’Italia non avrebbe colto il treno della modernizzazione e della socializzazione politica “democratica” e se Nolte finisce per fare di Mussolini, pur con le sue incoerenze e incertezze, il gigante che avrebbe salvato l’Europa dalla sperimentazione dei gulag del presunto “giudeo-bolscevismo”, per Sternhell questi sono dettagli secondari, non colgono la sostanza: Mussolini rimarrà ben impresso nella storia del pensiero e della pratica della politica poiché è stato l’unico che ha sconfitto, ridicolizzato e messo all’angolo i fanatici illuministi, i razionalisti scientifici d’occidente e d’oriente, innalzando un Mito che ha resistito all’onda nichilista del secolo.  
 
Per questo sarà inevitabilmente destinato anche a rimanere l’uomo più odiato e ingiuriato della storia contemporanea. 
 
 
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Il virus della mediocrità: perché senza una cultura nazionale l’Italia non può rialzarsi 
 
Apparrebbe ridondante elencare opere e figure artistiche che hanno contribuito a far sì che l’Italia venga considerata culla di civilizzazione, storia e cultura sin dall’antichità. Risulta invece adeguato, e alquanto beffardo, elaborare e constatare la deriva che ha assunto la nostra società. 
Classe politica, giornalistica e scolastica ad esempio sono considerabili indicative di un declino dilagante negli anni: scranni parlamentari, talvolta anche i ministeri, sono occupati da esponenti di partito senza consono grado culturale o d’esperienza politica. Le redazioni e le colonne di giornali, come di canali d’informazione un tempo di spessore, non adoperano più dovuti filtri ed incamerano esponenti di preparazione indubbiamente rivedibile. Anche la scuola, base societaria di sviluppo per le future classi dirigenti, ha visto via via scemare il proprio stampo formativo, con alcuni lati di positività autoritaria, ereditando così lati di liberismo studentesco post ’68. 
 
Riscoprire una cultura nazionale 
L’aspetto culturale della persona in troppi casi in Italia è stato declassato, bollato come antico, superfluo, nostalgico dei tempi andati. Bramosia del materiale, dell’apparenza, sono oggi punto cardine: si preferisce osservare il proprio quartiere spoglio di biblioteche o librerie, con i loro spazi, fonte di sapere, sostituiti dall’ultimo negozio d’informatica, come dall’ennesimo fast-food. Ciò che per la nostra cultura nazionale abbiano significato l’opera letteraria o anche quella teatrale oggi è sostituito dal concerto dell’ultimo trapper di moda. 
Eppure anche i dati turistici quanto alle nostre città d’arte spingono a riflettere: luoghi-simbolo come Napoli, Roma, Firenze, come i più svariati musei e borghi della penisola sono annualmente presi d’assalto. Perché l’Italia trasuda storia, nelle proprie strade e sui muri che il mondo ci invidia: trasuda tradizioni ed identità che sono specchio dei nostri avi, come del sangue che nelle vene ci scorre. 
 
La vera onestà è la cultura 
Riportare la cultura al centro del dibattito nazionale significherebbe rispolverare il glorioso passato che ci appartiene, per renderlo base di strepitoso futuro. Tocca ai cittadini d’Italia tornare a propagandare, rappresentare ed esportare ciò che oggi in troppi hanno perso di vista.  
 
Essere consci che il sapere, al pari di un lavoro o della stessa economia, è fondamenta su cui rialzarci anche questa volta.  
La cultura ci permetterà di tornare ad eleggere e pretendere classi politiche degne di questo nome: forbite e competenti, che è poi prima vera prova d’onestà.  
Torneremo, con la cultura, a scoprirci nuovamente quel “popolo di poeti di artisti di eroi di santi di pensatori di scienziati di navigatori di trasmigratori” che la nostra storia ci ha reso. 
 
 
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Nick Cave fuori dal coro: “Il politicamente corretto? E’ la religione più triste del mondo” 
 
Compositore, cantautore, scrittore, sceneggiatore, attore. Nick Cave è un’artista a tuttotondo, quasi mai banale, complesso e per questo apprezzato anche dalla critica con il nasino arricciato. Perché a volte non conta essere compresi, piuttosto essere inafferrabili. Una sorta di sintomatico mistero, per dirla con Battiato, che alla lunga paga. Noi però abbiamo una sintomatica percezione: da ora in poi Nick Cave sarà preso di mira. Come mai? Perché le sue recenti dichiarazioni non piaceranno ai gendarmi del moralismo imperante. Nella sua newsletter Red Hand Files, l’artista australiano ha infatti distrutto così il politicamente corretto: “E’ la religione più triste del mondo”. 
 
Cattiva religione senza controllo 
Cave però, come detto, difficilmente si lascia andare a riflessioni scontate ed evita le sforbiciate trancianti. Dunque, fuor di minimalismo social, argomenta: “Il suo tentativo (del politically correct, ndr), un tempo ammirevole, di reimmaginare la nostra società in un modo più equo, ora incarna tutti gli aspetti peggiori che la religione ha da offrire (e nessuno della bellezza): sicurezza morale e ipocrisia priva anche della capacità di redenzione. È diventato letteralmente, la cattiva religione senza controllo”. Il verbo unico d’altronde, in quanto tale, non accetta critiche e non si mette mai in discussione. A tal punto da trasformarsi in una sorta di monoteismo laicista. 
 
Il j’accuse alla cancel culture 
Ma Nick Cave va oltre e si scaglia anche contro la dilagante (e modaiola) cancel culture, ovvero la neo-iconoclastia che punta a boicottare le opinioni scomode, tendenza censoria volta a togliere di mezzo dai loro ambienti lavorativi anche i personaggi dello spettacolo accusati di comportamenti immorali. Un attacco continuo a persone, gruppi di individui, aziende o movimenti politici considerati arbitrariamente razzisti, omofobi e insomma, generatori di nefandezze varie. “Il rifiuto della cancel culture di impegnarsi con idee scomode ha un effetto asfissiante sull’anima creativa di una società”, riflette Cave. “Siamo una cultura in transizione, può darsi che stiamo andando verso una società più equa – non lo so – ma a quali valori rinunceremo lungo il processo?”, si chiede l’artista australiano. 
 
Senza misericordia 
Secondo Cave, di fatto, la cancel culture rimuove completamente il concetto di misericordia. Caposaldo biblico e pure coranico, l’artista lo cita consapevolmente per mettere all’angolo i nuovi moralisti. A suo avviso è un concetto imprescindibile perché “riconosce che siamo tutti imperfetti e così facendo ci dà ossigeno – ci fa sentire protetti all’interno di una società, attraverso la nostra reciproca fallibilità. Senza misericordia una società perde la sua anima e divora se stessa.  
La misericordia ci consente di impegnarci apertamente in una conversazione libera – un’espansione della scoperta collettiva verso un bene comune”.  
Così, privandosi della misericordia “la società diventa inflessibile, paurosa, vendicativa e priva di senso dell’umorismo”.  
Altro che angoscia esistenziale, quello di Cave è un raffinato j’accuse al pensiero unico. 
 
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      Grazie per aver letto 
 
         
           Ninni Raimondi 
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