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Elezioni Usa, le voci dalla Russia: “E’ la fine della superpotenza statunitense” 
di Ninni Raimondi
 
Multinazionali per Biden, l’America profonda per Trump: ecco chi ha finanziato chi 
 
Elezioni Usa, le voci dalla Russia: “E’ la fine della superpotenza statunitense” 
Avevo già scritto, prima delle elezioni Usa, che la stampa russa più vicina al Cremlino non auspicava affatto una vittoria schiacciante di Trump, considerava anzi con moderata benevolenza una nuova presidenza a trazione Dem e perché avrebbe di nuovo portato la Russia al centro (“la Russia è il primo nemico” hanno più volte ripetuto sia Biden sia Harris) e perché nella visione del conservatorismo russo la sinistra radicale post-moderna con la sua teoria del pensiero unico gender evolve velocemente in un nichilismo sociale e morale che sta portando l’intero Occidente all’irrilevanza politica e geopolitica. Come stanno peraltro dimostrando “le elezioni farsa” statunitensi, dicono i politologi russi. 
 
Un declino irreversibile? 
In un dibattito nella tv russa del 4 novembre, il politologo Vyacheslav Nikonov commentando a caldo la situazione di stallo successiva alle elezioni Usa ha parlato di declino irreversibile: “Lo spettacolo della fine storica della Superpotenza è ammaliante”. 
Sempre il 4 novembre, il presidente della Duma di Stato dichiara che gli Stati Uniti hanno rivelato di non essere un modello democratico, vedendo nel Gop e nei Dem due volti di una medesima medaglia. Il leader di Ldpr Vladimir Zhirinovsky ha invece sostenuto che il conservatorismo trumpiano proteggerebbe meglio lavoratori e maggioranza silenziosa, mentre la sinistra radicale post-moderna ha la missione di distruggere famiglia, tradizione, lavoro. Alexander Dughin considera Trump vincitore nel voto popolare e dice che la Russia dovrebbe riconoscerlo come legittimo presidente. Volovodin, presidente della Duma, ha sostenuto che la democrazia sovrana e presidenziale russa è più efficiente di quella occidentale, il ministero degli Esteri ha diramato una nota in cui afferma che i voti statunitensi dovrebbero essere contati correttamente, cosa che non starebbe avvenendo. Vladimir Putin, appena due settimane fa, riferendosi all’Occidente post-moderno in tutte le sue sfaccettature, aveva affermato che “la nostra unica preoccupazione è non prendere il raffreddore al vostro funerale”. 
 
La stampa russa tra Trump e Biden 
Il Commersant del 5 novembre sostiene che non vi è stata quell’onda blu prevista dai sondaggi: il trumpismo è ormai un fenomeno stabile nella scena, gli Stati Uniti sono divisi e polarizzati come mai era avvenuto e continueranno a esserlo nei prossimi anni. Il quotidiano si sofferma con un certo stupore nel caso controverso dei 180mila voti assegnati in fretta e furia, nel giro di pochi minuti, a Biden nel Michigan. 
Vari analisti tra cui Kostantin Kosachev, influente membro del putiniano Russia Unita, in Ria Novosti considerano inevitabile una lunga instabilità e rivolte popolari trumpiane, descrivendo un quadro politico molto polarizzato e mutevole, i militanti che sostengono Biden vanno sempre più verso l’anarchismo di estrema sinistra che sta seppellendo la stessa sinistra radicale alla Sanders, i trumpiani potrebbero esser scavalcati da un ultra-tradizionalismo neo-ruralista (e filorusso) del Sud che potrebbe puntare alla Secessione dalla metropoli centrale. Rossiyskaya Gazeta arriva a conclusioni similari, mettendo in forte dubbio la legittimità del voto postale. Nei programmi televisivi a carattere politologico del 4 e 5 novembre la nota dominante è che l’elite dello Stato profondo statunitense vicina a Biden punterà a un Nuovo ordine mondiale, dovrà essere di nuovo la Russia – come già avvenne con il neo-clintoniano Obama – a stoppare questo progetto di Grande Reset mondiale. 
Varie voci nei canali russi, in queste ore, difendono Trump come autentico conservatore, nemico, per quanto troppo moderato in tal senso, della russofobia egemone nella sinistra radicale postmoderna occidentale. Altre sostengono invece che con Biden alla Casa Bianca sarebbe più facile il grande summit globale delle 5 Potenze nucleari (G5), definitivo avvento del nuovo ordine multipolare e la fine storica degli Usa come prima superpotenza.  Vari analisti russi parlano in proposito di un G5+1 (India), altri addirittura di un G5+2 (India, Pakistan) ma ciò pare oggettivamente prematuro. 
 
La rivoluzione conservatrice russa di fronte alle elezioni Usa 
Kostantin Malofeev scriveva il 4 novembre riguardo al quadro post elezioni Usa: “Quattro anni fa quando Trump vinse, noi dicemmo: meglio avere a che fare con un bullo che con un maniaco. Sì, incoerente in politica. Ora arrivano i maniaci? Solo i maniaci possono portare il mondo a conflitti terribili: gli strateghi statunitensi delle “rivoluzioni colorate” hanno già portato la dittatura nelle case con il Covid. Vediamo una tale rivoluzione negli Usa con Blm, gli strateghi del caos continueranno su questa strada, che nemmeno si può definire liberale ma satanica. Ci attende una affascinante osservazione del sistema funzionale della democrazia Usa. Trump ha di nuovo vinto con il voto popolare ma la democrazia Usa non ha accettato la sua vittoria. E questa è un’altra lezione per quelli che amano l’occidente. Esistono due occidenti, non uno, due Americhe non una. Gli schiavisti di ieri, quelli che sino al 1964 legittimarono lo schiavismo, oggi si inginocchiano e baciano i piedi di coloro che fanno vandalismo, distruzioni, teppismo. Noi non vorremo mai divenire come l’occidente, la Russia non è un occidente, non venite a farci la morale sull’occidente. Cristo salvi la Russia!”. 
Il quadro definitivo che emerge è che lo Stato-Civiltà di natura ideocratica è stato dato, dopo la fine della seconda guerra mondiale, troppo presto per seppellito nel divenire storico. La sua nuova centralità è evidente e sotto gli occhi di tutti. L’impasse strategica dell’Unione Europea è proprio questa, priva del resto di una sovranità tecnologica e militare e ancora immersa nel sogno economicistico scavalcato negli stessi Usa da una lotta di frazione, nel disperato tentativo di difendere un primato mondiale che pare comunque ormai sfuggito di mano. 
 
Joe Biden fa il suo discorso della vittoria a Wilmington, Delaware, sua città natale e quartier generale: “Mi impegno ad essere il presidente che non divide ma unisce, che non vede stati rossi o stati blu, vede solo gli Stati Uniti”. 
 
Biden: “Capisco la delusione di chi ha votato Trump” 
Con poche frasi il 46esimo presidente Usa scaccia l’ombra dei brogli evocati da Donald Trump: “Il popolo di questa nazione ha parlato, ci ha garantito una vittoria chiara, convincente, una vittoria per il popolo con il maggior numero di voti ottenuto da un ticket presidenziale: 74 milioni di voti”. “Capisco la delusione di chi ha votato per il presidente Trump, anche io ho perso un paio di volte. Ma ora diamoci una possibilità, è ora di mettere da parte la retorica dura, abbassiamo la temperatura. Torniamo a guardarci, torniamo ad ascoltarci. Per fare progressi dobbiamo smettere di trattare i nostri avversari come nemici. Non sono nemici, sono americani. Sono americani“. 
 
Biden: “Stasera il mondo guarda gli Usa” 
E scomoda anche le Sacre Scritture: “La Bibbia ci dice che c’è un tempo per ogni cosa. C’è un tempo per costruire, un tempo per raccogliere, un tempo per seminare e un tempo per guarire. Questo è il momento di guarire in America”, dice Biden. “Dobbiamo recuperare l’anima dell’America. La nostra nazione è plasmata dalla battaglia costante tra i nostri istinti migliori e i nostri impulsi più oscuri. E ciò che i presidenti dicono in questa battaglia è importante. È tempo che i nostri istinti migliori prevalgano“, afferma Biden, il quale, a proposito di istinti oscuri, non ha mai detto una parola contro le devastazioni dei manifestati Black Lives Matter. “Stasera il mondo intero sta guardando l’America, e credo che al nostro meglio, l’America sia un faro per il mondo. Guideremo non solo con l’esempio del nostro potere, ma con il potere del nostro esempio”, dice ancora. 
 
“Eliminare il razzismo” 
Biden e la sua amministrazione hanno un intento chiaro: “Non possiamo riparare l’economia, ripristinare la nostra vitalità o assaporare i momenti più preziosi della vita – abbracciare un nipote, compleanni, matrimoni, lauree, tutti i momenti che contano di più per noi – finché non avremo riportato sotto controllo questo virus“, dice riferendosi alla pandemia di coronavirus. Biden “farà ogni sforzo” per contrastare l’emergenza sanitaria: “Bisogna riportare il Covid sotto controllo”, dice elencando le priorità della sua presidenza. “E’ venuto il momento di guarire gli Stati Uniti” fino alla “vera” emergenza: “E’ venuto il momento di eliminare il razzismo”. 
Che Joe Biden rappresenti in questo momento l’alfiere del progressismo americano ed internazionale è chiaro ed evidente. Ad avvalorare ciò ha pensato il colosso dell’informazione Bloomberg in un recente articolo in cui viene analizzato quali e in che percentuali il personale delle multinazionali ed enti vari americani hanno finanziato le campagne elettorali di Biden e Trump e quali categorie di lavoratori con percentuali annesse hanno fatto donazioni per i due sfidanti per la Casa Bianca. 
 
Interi centri di potere monopolizzati da Biden 
A destare subito stupore è la maggioranza schiacciante di enti e “big companies” pro Biden rispetto ai soli tre di Trump. 
Il primo dato che ci invita ad una riflessione è l’84% per Biden dei 12mila donatori appartenenti ai veri dipartimenti dell’attuale governo degli Stati Uniti, a riprova del fatto che Trump in questi anni ha avuto un braccio di ferro continuo con interi apparati governativi del così detto Deep State americano. 
Dai dati emerge inoltre l’egemonia culturale con percentuali bulgare del Partito Democratico statunitense all’interno degli atenei più famosi del mondo. Su 2800 donatori di Harvard, ad esempio, solo il 4% ha finanziato la campagna di Trump contro il 96% per Biden. Stesso discorso per l’altro grande ateneo della west coast, Stanford: il 95% dei 3000 donatori sono per Biden. 
 
Le multinazionali quinta colonna del globalismo 
Non potevano mancare varie multinazionali che rappresentano oggi il braccio armato del pensiero unico che inondano il mondo con i loro prodotti e contenuti politicamente corretti, tutte schierate per l’ex vice di Obama. 
Troviamo tutte le aziende della Silicon Valley: Google e Facebook (97%), Apple (92%), Amazon (80%) e Microsoft (90%). Il consenso per Biden è forte anche in altri settori, come Disney (84% su 4100 donatori) e Starbucks (87% su 2600 donatori). 
 
Un’America spaccata in due 
Come le ultime elezioni hanno manifestamente evidenziato – a differenza delle previsioni “mainstream” – la società americana è divisa in due parti. Da una parte abbiamo una classe dirigente e culturale democratica, dall’altra i cosiddetti “forgotten men” i vinti della globalizzazione che come 4 anni fa hanno votato in massa repubblicano. 
Nella prima categoria troviamo insegnanti, professori universitari, educatori, nei quali la percentuale di finanziatori per Biden supera il 90%, artisti, manager, avvocati e scienziati, in cui i donatori per Trump sono in media meno della metà. Nella seconda categoria invece le percentuali di donatori sono state favorevoli a Trump, rispecchiandone appunto l’elettorato. 
 
Piccoli e medi imprenditori, autisti, ufficiali di polizia, operatori vari e allevatori, in tutte queste categorie di lavoratori che rappresentano quell’America profonda le cui istanze sono da anni inascoltate dai dem, le percentuali di donatori per la campagna di Trump sono sopra il 60% con picchi dell’84%. 
 
Ninni Raimondi 
 
Grazie per aver letto. 
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