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Fondato e diretto, nel 2003, da Ninni Raimondi
Vediamo un po' ... 
di Ninni Raimondi
 
 
Vediamo cosa è successo nel frattempo 
 
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AstraZeneca, l’Ue verso l’uso preferenziale per gli over 60 
 
Il verdetto dell'Ema: "Nessuna restrizione. Benefici superiori a rischi". In Belgio si escludono gli over 55. Al via in Italia il vertice governo-Regioni 
Secondo quanto si apprende, si andrebbe verso la decisione, anche in Italia, di escludere dalle vaccinazioni con Astrazeneca gli under 60. L’argomento, dopo la conferenza stampa dell’Ema è stato al centro di un nuovo confronto tra governo e Cts.  Intanto, è iniziato l’incontro governo-regioni-Anci-Upi su AstraZeneca. Il ministro degli Affari regionali, Maria Stella Gelmini apre la riunione. A seguire, parlerà il presidente del Consiglio superiore Sanità, Franco Locatelli. 
 
Il verdetto dell’Ema 
L’Agenzia europea per i medicinali (Ema) ha stabilito «un possibile legame» tra il vaccino di AstraZeneca e le rare trombosi venosi cerebrali. Ma l’Agenzia non ha ritenuto di proporre restrizioni nell’uso del vaccino. Il comitato per la sicurezza dell’ Ema, Prac, ha concluso infatti «che i coaguli di sangue insoliti con piastrine basse dovranno essere elencati come effetti collaterali molto rari di Vaxzevria (nome attuale del vaccino di AstraZeneca)», si legge nella nota. 
 
«Voglio iniziare affermando che il nostro Comitato per la sicurezza, il Comitato per la farmacovigilanza e la valutazione del rischio dell’Agenzia europea per i medicinali, ha confermato che i benefici del vaccino AstraZeneca nella prevenzione del Covid-19 nel complesso superano i rischi degli effetti collaterali», ha subito chiarito Emer Cooke, direttrice esecutiva dell’Agenzia europea per i medicinali (Ema), nel corso della conferenza stampa sul vaccino AstraZeneca. «I casi segnalati di insolite coagulazioni del sangue a seguito della vaccinazione con il vaccino AstraZeneca devono essere elencati come possibili effetti collaterali del vaccino», ha spiegato. «Sulla base delle attuali evidenze disponibili non è stato possibile confermare specifici fattori di rischio, come l’età, il sesso o la precedente storia medica di disturbi della coagulazione, poiché gli eventi rari si osservano in tutte le età e in uomini e donne», ha aggiunto la direttrice.  «Finora, la maggior parte dei casi segnalati si è verificata in donne di età inferiore a 60 anni entro 2 settimane dalla vaccinazione. Sulla base delle prove attualmente disponibili, i fattori di rischio specifici non sono stati confermati», ha spiegato l’ Ema. 
 
«Non abbiamo ritenuto necessario raccomandare misure specifiche di restrizioni al vaccino per ridurre il rischio» di effetti collaterali di AstraZeneca, ha quindi annunciato la dottoressa Sabine Straus, a capo del comitato Prac dell’ Ema. «La vaccinazione deve continuare», ha confermato la direttrice esecutiva dell’ Ema, Emer Cooke.  «Il rischio di mortalità da Covid è molto più alto del rischio di mortalità di questi effetti collaterali», sottolinea Cooke. «La limitazione» del vaccino AstraZeneca «a una popolazione specifica è un tema che abbiamo esaminato in modo molto dettagliato attraverso il nostro gruppo di esperti ad hoc» ma «l’evidenza sull’incidenza» dei casi sospetti «disponibili al momento non permettono di tracciare alcun nesso causale per genere o gruppo di età», ha chiarito Cooke. «Non posso commentare sulla decisione presa nel Regno Unito», ha aggiunto la direttrice. L’esperta si è limitata a far notare che oltremanica il vaccino «è stato somministrato molto di più nei gruppi di età più giovane che nell’Ue e ne terremo sicuramente conto nelle nostre ulteriori valutazioni». «Questa sera – ha concluso Cooke – avremo ulteriori discussioni sui risultati della valutazione odierna e anche sul suo impatto sulle strategie di vaccinazione nell’Ue». 
 
Il Belgio esclude gli under 55 
Il ministero della Salute del Belgio ha deciso di non somministrare più il vaccino prodotto da AstraZeneca contro il Covid-19 alle persone che hanno un’età inferiore ai 55 anni. Lo ha annunciato il ministro della Salute Frank Vandenbroucke parlando di sospensione temporanea «per le prossime quattro settimane. Poi vedremo», nella «speranza di avere un’analisi migliore da parte dell’Unione Europea sul vaccino AstraZeneca per le diverse età». «Questo cambia molto poco nell’attuale campagna di vaccinazione, che continuerà senza sosta», ha detto Vandenbroucke a Vrt News. «Attualmente ci stiamo concentrando sugli over 65 e sulle persone che hanno determinate malattie. Anche queste sono prevalentemente persone anziane», ha aggiunto. 
 
 
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Erdogan lascia Von der Leyen senza sedia: è “sofagate” 
 
Il presidente turco riceve il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, e la presidente della Commissione europea ad Ankara. Ma per lei non c'è la sedia 
Un incidente o uno sgarbo ben studiato? L’episodio è già diventato un caso diplomatico. E a Bruxelles lo hanno soprannominato il «sofagate» con tanto di hashtag per i social. Parliamo del torto commesso dal presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, ma anche dal presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, nei confronti della presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, lasciata senza sedia al ricevimento nel Palazzo di Ankara. 
La presidente della Commissione europea era giunta in Turchia insieme al presidente del Consiglio europeo, Charles Michel e i tre sono entrati in una sala riccamente decorata. Ma c’erano solo due sedie predisposte: si sono seduti i due uomini e Von der Leyen è rimasta in piedi. Il filmato che ritrae la scena è già la parte più vista e discussa del vertice. «Ehm», è stata la reazione muta ma indignata di von der Leyen che con un cenno ha voluto chiedere spiegazioni e ricevere indicazioni su dove accomodarsi. Le è quindi stato assegnato un divanetto a tre metri di distanza, di fronte al ministro degli Esteri turco, Mevlut Cavusoglu, declassandola secondo il protocollo diplomatico e, soprattutto, come donna. 
 
La presidente è stata «chiaramente sorpresa, come si vede nel video», dal trattamento ricevuto, ma «ha scelto di concentrarsi sulla sostanza dei problemi e non sulla forma»,  ha chiarito il portavoce della Commissione europea, Eric Mamer. «La visita è stata preparata usando i canali con la nostra delegazione ad Ankara. L’ufficio di protocollo della Commissione non ha partecipato per limitare i contatti a causa del Covid», spiega Mamer. «L’episodio – sottolinea – non dovrebbe far passare in secondo pianole ragioni del viaggio». 
«Mettiamo le cose in chiaro. Qualcuno dovrebbe vergognarsi a causa della mancanza di un posto adeguato per Ursula von der Leyen nel palazzo di Erdogan. L’Ue ha segnalato l’apertura al dialogo, ma siamo fermi sui nostri valori. Le donne meritano lo stesso riconoscimento dei loro colleghi maschi», ha scritto il Ppe, principale formazione politica all’Europarlamento, in un tweet. «La presidente von der Leyen lasciata senza sedia da Erdogan se ne sarebbe dovuta andare, vendicando così anche le donne turche, i cui diritti sono oggi sotto attacco. Vergognoso l’atteggiamento di Charles Michel che non sembra aver mosso un dito», ha rincarato il capo delegazione del Pd al Parlamento europeo, Brando Benifei. 
 
Certo è che il simbolismo dell’ex ministra tedesca confinata in un divanetto laterale è potente: visi può leggere la scarsa coesione tra istituzioni Ue, il declino della Germania post Merkel, un residuo di maschilismo nelle relazioni internazionali o un semplice disastro dei responsabili del cerimoniale.  
La sedia, del resto, è sempre stata un’immagine evocativa: nell’arte può indicare una presenza ma anche un’assenza, una perdita o la speranza di un ritorno.  
Nella costruzione europea è passata alla storia la politica della «sedia vuota» adottata nel 1965 da Charles de Gaulle: la Francia boicottò tutte le riunioni della Cee per contestare la svolta federalista proposta dalla Commissione di istituire un bilancio comunitario autonomo e di rafforzare i poteri del Parlamento europeo.  
La crisi si concluse solo l’anno dopo con il «compromesso di Lussemburgo» che introdusse il diritto di veto: da allora basta una sedia per bloccare le decisioni in materia di sicurezza, affari esteri e imposizione fiscale. 
 
 
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Se Draghi fa fiasco a pagare saranno i leader…tranne Conte e Meloni 
 
Per il presidente del Consiglio suonano i campanelli d’allarme in piazza. Ma una sconfitta del premier travolgerebbe i leader politici che lo sostengono a Palazzo Chigi 
I campanelli d’allarme hanno preso a suonare tutti insieme. Le manifestazioni di martedì scorso hanno senza dubbio registrato la presenza di gruppi politici che mirano a sfruttare il disagio sociale, ma è altrettanto fuor di dubbio che quel disagio esiste ed è reale, non frutto delle manovre di qualche gruppetto. Il dl Sostegni non è andato del tutto a segno e non poteva essere diversamente, dal momento che era stato pensato quando il governo allora in carica prevedeva l’avvio della ripresa in marzo o aprile. La dinamica di erogazione dei fondi, poi, ha sì allargato la platea ma ha lasciato a secco molti soprattutto nel settore della ristorazione e ha colpito soprattutto i tanti che avevano una parte di fatturato in nero. L’abolizione del credito d’imposta e il mancato supporto sulle spese fisse è stato probabilmente l’elemento più critico, perché aziende e soprattutto ristoratori si sono trovati senza utili ma con spese cospicue, soprattutto d’affitto, da pagare subito. 
Lo sforzo ulteriore sarebbe stato certamente sopportato meglio di fronte a una campagna vaccini già ben avviata, che permettesse cioè di vedere la luce alla fine del tunnel. Così non è. La possibilità che aprile sia il mese della svolta non è svanita, resta l’obiettivo del governo. Ma non è neppure una certezza. Al contrario, la campagna continua a inciampare e gli ostacoli, sia quelli dovuti agli errori europei nei contratti per i vaccini sia quelli connessi al caos istituzionale tra governo centrale e regioni, non sono superabili in tempi brevi. Come se non bastasse si aggiunge un problema in più, evidenziato dai dati Istat diffusi martedì scorso. Se, nonostante il blocco dei licenziamenti, il numero dei disoccupati è aumentato nei termini di quasi un milione di unità, significa che senza un’entrata in funzione rapidissima dei progetti operativi del Pnrr, il Recovery Plan italiano, nel giro di pochi mesi la tensione sociale diventerà insopportabile e a farne le spese sarà il governo. 
 
Con le dichiarazioni seguenti la visita in Libia, infine, Draghi è incappato nella prima vera gaffe della sua carriera di premier. È vero che di fronte alla necessità di contare sulla Guardia costiera libica per frenare le partenze e anche di fronte al miraggio di riconquistare sul fronte energetico la posizione di vantaggio persa con la sciagurata e autolesionista guerra contro Gheddafi nessun governo italiano si è mai preoccupato neanche un po’ dei decantato diritti umani. È vero che Conte, come premier del governo giallorosso, aveva trattato direttamente con il capo dei trafficanti, oltre che della Guardia costiera, di Tripoli a Roma. Ma i ringraziamenti rivolti a chi trascina i migranti in veri e propri lager ove i diritti umani sono del tutto ignorati è stato lo stesso un passo falso che potrebbe costare la prima vera divisione della maggioranza a sinistra quando si tratterà di discutere in Parlamento il rifinanziamento delle missioni all’estero. 
Draghi insomma rischia e tra i leader che lo sostengono nessuno, neppure Salvini, è minacciato da un eventuale crollo dei consensi nei confronti del governo più dei due ex premier che si sono incontrati martedì scorso, Renzi e Letta. Il primo perché questo governo è frutto della sua manovra, il secondo perché ha spostato un Pd inizialmente molto più tiepido a sostegno di Draghi, con l’obiettivo dichiarato di fare del suo partito la principale colonna del governo. 
 
La situazione, come spesso capita nella palude della politica italiana, ha un che di paradossale. Renzi, che come al solito gioca d’azzardo anche se stavolta i tempi sono più lunghi del solito, punta tutto su un fallimento di Letta, che nei suoi auspici dovrebbe derivare dalle prossime Amministrative, che in effetti costituiscono per il neo segretario del Pd un grosso rischio: se il Pd non arriverà neppure al ballottaggio a Roma e sarà sconfitto, nonostante l’alleanza con i 5S, a Torino il colpo sarà per Letta micidiale. Nulla indebolirebbe il leader del Pd più di un calo robusto dei consensi per il governo. Solo che in quel caso l’ex Rottamatore verrebbe travolto ancora prima della sua antica vittima. Entrambi insomma, quanto e più di Salvini, sono costretti a darsi da fare per sostenere il governo, sperare che riesca a uscire dal labirinto in cui si trova oggi e che tuttavia il successo del governo non rafforzi gli altri supporter. Perché dalla sconfitta di Draghi emergerebbero due soli vincitori, Meloni e Conte.  
 
Per tutti gli altri la sorte sarebbe quella dei polli di Renzo. 
 
 
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Decine di avvocati spiati con i loro assistiti: «Così si viola il diritto di difesa» 
 
Dal caso di Pier Giorgio Manca all'inchiesta sulle Ong della Procura di Trapani: così le intercettazioni violano il patto tra legale e assistito. E la ministra Cartabia invia gli ispettori in Sicilia 
Contro le intercettazioni selvagge la ministra della Giustizia Marta Cartabia “sguinzaglia” gli ispettori. A via Arenula è stato infatti formalmente aperto un fascicolo sull’inchiesta della Procura di Trapani sulle Ong, nell’ambito della quale diversi giornalisti e avvocati sono stati intercettati. All’ispettorato generale è stata dunque data disposizione di «svolgere con urgenza i necessari accertamenti preliminari, formulando all’esito valutazioni e proposte». Un vero e proprio faro acceso, dopo la denuncia dell’Ordine dei giornalisti e della Federazione nazionale della Stampa italiana, mentre tutto tace sulle intercettazioni che coinvolgono i penalisti. 
«Intercettiamone uno, intimidiamo tutti gli altri», aveva sintetizzato, poco più di un mese fa, la Camera penale di Roma. All’epoca il caso riguardava Pier Giorgio Manca, avvocato 75enne del foro capitolino, indagato dalla Procura di Roma con l’accusa di associazione finalizzata allo spaccio di stupefacenti. Il suo nome è finito in un’inchiesta relativa ad un traffico di droga proveniente dalla Colombia, gestito da un’organizzazione di tredici persone, ai cui vertici ci sarebbero tre militari e il penalista romano, accusato di aver consentito la circolazione d’informazioni tra i componenti dell’organizzazione criminale e di aver fornito assistenza morale e materiale ai detenuti del clan. Ciò sulla base di due anni di intercettazioni video e audio all’interno del suo studio legale e sul suo cellulare. 
 
Ma il suo non è un caso isolato.  
Poco prima era capitato a Roberta Boccadamo, anche lei del foro di Roma, che leggendo l’ordinanza del Gip di Genova con le motivazioni della misura cautelare nei confronti dei vertici di Atlantia, tra cui Giovanni Castellucci, e della controllata nell’ambito di un’indagine avviata sulla base della documentazione acquisita nell’inchiesta legata al crollo del Ponte Morandi, si è imbattuta nell’intercettazione di una conversazione tra lei e Antonino Galatà, ex Ad di Spea, incaricata da Aspi della sorveglianza e manutenzione della rete autostradale in concessione, suo assistito. Conversazione non solo registrata, dunque, ma anche trascritta e utilizzata dal gip. Una intromissione giustificata con una circostanza non veritiera: Boccadamo venne indicata come compagna del suo assistito. Nicola Canestrini, del foro di Rovereto, ha portato il suo caso davanti alla Cedu, denunciando una lesione del diritto di difesa. Canestrini, infatti, ha ritrovato nei brogliacci allegati alle informative contenute nei fascicoli di un’indagine alcune intercettazioni intrattenute con il proprio cliente, in quel momento detenuto a 200 chilometri dal suo ufficio. Prima di loro era toccato a Francesco Mazza, avvocato del foro di Roma, che nel 2019 si è ritrovato citato in un’informativa di cui era entrato in possesso dopo la notifica della chiusura delle indagini preliminari a carico di tre suoi assistiti, indagati nell’ambito della vasta operazione anti usura condotta dai carabinieri di Roma Eur e denominata “Under Pressure”. Per ben due volte la polizia giudiziaria ha appuntato dettagli di conversazioni tra lui e uno dei tre clienti, il cui telefono era sotto controllo da un po’. Ad Asti, sempre nel 2019, l’intera classe forense si era mobilitata quando Roberto Caranzano, avvocato astigiano, si ritrovò allegato al fascicolo di un processo per spaccio di droga il “foglio notizie” con le spese del procedimento penale, 27 pagine composte prevalentemente dal report delle intercettazioni con dentro i nomi di decine di colleghi di Asti, Torino e Cuneo, consulenti e giudici onorari. Un grosso malinteso, si affrettò a spiegare la procura di Asti, che parlò di «errore del sistema informatico». 
 
Gli ultimi casi riguardano quattro avvocati, finiti nelle quasi 30mila pagine di un’indagine avviata dalla procura di Trapani nel 2016, con lo scopo di fare luce sull’attività delle ong attive in mare per soccorrere i naufraghi che cercavano di raggiungere le coste europee. Si tratta di Alessandra Ballerini, legale della famiglia Regeni, intercettata al telefono con la giornalista d’inchiesta Nancy Porsia, Michele Calantropo, Fulvio Vassallo e Serena Romano. E quale fosse il loro ruolo era noto anche alla polizia giudiziaria, che nell’appuntare i loro nomi li ha definiti avvocati per i diritti umani. Una violazione dell’articolo 103 del codice di procedura penale, che al quinto comma stabilisce che «non è consentita l’intercettazione relativa a conversazioni o comunicazioni dei difensori, consulenti tecnici e loro ausiliari né quelle tra i medesimi e le persone da loro assistite». Il colloquio tra difensore e assistito, dunque, è inviolabile, principio sancito anche dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, secondo cui tale diritto rientra tra le «esigenze elementari del processo equo in una società democratica». Ma questa regola, troppo spesso, viene bypassata. 
 
 
 
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Minniti, il funzionario del Pci che ha sdoganato la guerra alle Ong 
L'ex ministro dell'Interno ha a lungo combattuto le attività di salvataggio delle Ong nel Mediterraneo 
 
«La parola “Spezziamo-le-braccia-ai-migranti” non possiamo lasciarla alla destra. Se noi non picchiamo i neri, vince la destra che vuole picchiare i neri». Così nel 2017 Maurizio Crozza presentava in Tv la parodia di Domenico (Marco) Minniti, ministro dell’Interno tutto rigore e sicurezza. Nulla di strano, se non fosse che l’allora inquilino del Viminale è un esponente di spicco del Partito democratico. Ma Minniti è convinto che per battere le destre si debba giocare sul loro campo, importando nel vocabolario della sinistra le parole d’ordine con cui Matteo Salvini fa il pieno di consensi in piazza e nelle urne. Così il controllo dell’immigrazione diventa una questione di vita o di morte per il dirigente dem. L’intero mandato di Minniti al Viminale è incentrato sull’argomento. Fin dal primo giorno, quando comincia a lavorare sul “Memorandum di intesa tra Italia e Libia” mentre Angelino Alfano non ha ancora portato le sue cose alla Farnesina, dove è stato spostato dal nuovo premier Paolo Gentiloni. 
L’esponente del Pd ha già tutto in mente e a due mesi dal suo insediamento è già pronto l’accordo con i libici per bloccare i migranti alla fonte. Poco importa come. L’importante è la firma di Fayez al Serraj, primo ministro del governo di unità nazionale di Tripoli, sul documento controfirmato dal presidente del Consiglio italiano. Obiettivo prioritario del Memorandum: «Arginare i flussi di migranti illegali e affrontare le conseguenze da essi derivanti». In cambio l’Italia avrebbe fornito «supporto tecnico e tecnologico agli organismi libici incaricati della lotta contro l’immigrazione clandestina». In altre parole: addestramento, mezzi e attrezzature alla forza di sicurezza comunemente definita Guardia costiera libica, formata da un ambiguo coacervo di milizie dismesse e trafficanti. Senza parlare dei campi dove i migranti vengono trattenuti, considerati da tutte le organizzazioni internazioni per i diritti umani come dei veri e propri centri di tortura, dove i “prigionieri” subiscono violenze di ogni tipo. Ma bisogna battere Salvini e non si può andare troppo a spaccare il capello. 
 
Del resto, Minniti è persona abituata a ragionare secondo la neutra logica dei costi/benefici. Perché per perseguire un obiettivo ci vuole disciplina e un certo pelo sullo stomaco. Una lezione che avrà imparato fin da bambino, a Reggio Calabria, in una famiglia piena di militari. Il padre e lo zio sono ufficiali dell’Aeronautica e il giovane Domenico detto Marco cresce in un contesto in cui difficilmente è possibile sgarrare. Gli studi in filosofia e la militanza nel Pci sono forse il massimo della “devianza” consentita. Ma sulla diciplina non si scappa. Ed è con questa ferrea forza di volontà che Minniti, poco dopo il Memorandum, interviene per bloccare chi ancora si ostina a salvare vite in mare e portare in Europa migranti vivi: le Ong. Ad agosto del 2017, il ministro dell’Interno prepara infatti un decalogo da sottoporre alle organizzazioni non governative per continuare a svolgere la loro attività in mare senza conseguenze. Il “codice” prevede tra le altre cose: disponibilità a ricevere a bordo ufficiali di polizia giudiziaria per raccogliere informazioni e prove finalizzate alle indagini sul traffico di esseri umani; divieto a trasbordare i naufraghi su altre navi; divieto di ingresso nelle acque libiche; impegno a dichiarare alle autorità tutte le fonti di finanziamento per la loro attività di soccorso in mare. 
 
Ovviamente le Ong insorgono, soprattutto per la richiesta di trasformare le imbarcazioni da navi da soccorso in navi da pattugliamento con gli agenti a bordo. È da questo decalogo che parte l’inchiesta con cui la Procura di Trapani si prende la libertà di intercettare persino giornalisti e fonti. Ma Minniti – sottosegretario alla Difesa del governo Amato nel 2000, viceministro dell’Interno del governo Prodi nel 2006, sottosegretario alla presidenza del consiglio dei ministri con delega ai Servizi segreti nei governo Letta e Renzi, prima di insediarsi al Viminale nel 2016 con Gentiloni – non ha tempo per fermarsi a discutere. Per raggiungere uno scopo non bisogna fermarsi, come gli avrà probabilmente insegnato Francesco Cossiga, l’amico con cui nel 2009 dà vita ad Icsa (Intelligence culture and strategic analysis) una fondazione dedicata all’analisi dei principali fenomeni connessi alla sicurezza nazionale. E Minniti non si ferma mai. 
Nenanche adesso che da un paio di mesi ha lasciato il seggio alla Camera per guidare Med-Or, la nuova fondazione di Leonardo, la società partecipata dallo Stato, che opera nei settori di difesa, aerospazio, sicurezza.  
Praticamente tutte le passioni di una vita. 
 
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Licenza Creative Commons  8 Aprile  2021