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Fondato e diretto, nel 2003, da Ninni Raimondi
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Il Recovery Fund sarà inutile 
di Ninni Raimondi
 
Il Recovery Fund sarà inutile. E forse persino peggio 
 
Mentre il governo è impegnato nella stesura e trasmissione all’Ue del piano nazionale italiano di ripresa, emergono sempre più dettagli sulla natura – nonch’è sull'(in)utilità – della complessa architettura del Recovery Fund. Già la conoscevamo, ma adesso i numeri messi nero su bianco depongono a favore delle (peggiori) ipotesi che avanzavamo. Confermando che non vi sarà alcuna pioggia di miliardi. 
 
Quanto ci costerà il Recovery Fund 
Sul fatto che dovessimo pagare per utilizzare i nostri soldi, il punto ormai era ed è pacifico. Eccezion fatta per chi è a digiuno di partita doppia e all’esame di Ragioneria (primo anno) verrebbe bocciato con lancio del libretto. 
Il conto è facile. Tolti i prestiti, che per definizione sono da restituire, il Next Generation Eu destina per l’Italia all’incirca 80 miliardi a fondo perduto. Risorse a valere sul bilancio Ue, di cui il Recovery Fund è di fatto estensione. Sempre l’Italia contribuirà però a tale “allargamento” (perché i sottoscrittori delle obbligazioni di Bruxelles andranno rimborsati) per 50 miliardi, facendo dunque scendere il contributo ci spetterà a 30. 
Non è però tutto qui, perché il conto sarebbe parziale. Nel frattempo, infatti, il normale bilancio comunitario continuerà ad esistere. E rispetto ad esso continueremo a rimanere contribuenti netti (verseremo più di quanto ci tornerà sotto forma di programmi Ue) per circa 50 miliardi. Ebbene, trenta meno cinquanta fa esattamente -20 miliardi da qui al 2027. Questo è l’ultimo rigo di bilancio. 
 
Così finanzieremo la crescita (altrui) 
Anche escludendo l’ultimo passaggio – limitandoci quindi al capitolo delle risorse a fondo perduto e tacendo della sequela di condizioni capestro da commissariamento semi-permanente – gli effetti del Recovery Fund stentano comunque a vedersi. I numeri ci vengono direttamente dal Pnrr appena (ri)scritto dal governo Draghi. Vediamoli. Da qui al 2026, l’impatto sul Pil andrà da un minimo dell’1,8 ad un massimo del 3,6%. Meno dall’1% in più ogni 12 mesi. Niente male considerando che solo nel 2020 abbiamo perso l’8,9%. Quando si dice il tempismo, considerando che nella migliore delle ipotesi vedremo i primi euro verso la fine di quest’anno. Non un dato entusiasmante, ma il bello deve ancora venire. 
 
Perché è vero che, allo stesso tempo, gli investimenti cresceranno e pure in doppia cifra. Al prezzo, però, di un peggioramento della bilancia commerciale: l’impatto macroeconomico del Pnrr parla di un effetto maggiore sulle importazioni (compreremo beni e tecnologie estere) rispetto alle esportazioni, con le seconde addirittura in territorio negativo nei primi tre anni del piano. In altre parole: inseguiremo i desiderata Ue finanziando generosamente la crescita altrui. Magari quella della riconversione dell’industria (automobilistica e non solo) tedesca. 
 
27 Aprile 2021