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Jean Raspail: “Il campo dei santi” che impressionò Ronald Reagan 
di Ninni Raimondi
 
Jean Raspail: “Il campo dei santi” che impressionò Ronald Reagan 
 
“L’Europa cammina verso la morte (…) Il silenzio quasi sepolcrale dei mezzi di comunicazione, dei governi e delle istituzioni comunitarie sul crollo demografico dell’Europa dei 15 è uno dei fenomeni più importanti della nostra epoca”. Tanto bastò, nel 2004, perché la Lega contro il razzismo e l’antisemitismo (LICRA) denunciò Jean Raspail per questo scritto – intitolato “La patria tradita dalla Repubblica” – apparso sulle colonne de Le Figaro. Del resto Raspail, etnologo, esploratore e romanziere francese fu tra i primi a vedere, introiettandola nelle pagine dei suoi scritti, l’apocalisse. 
 
Jean Raspail, quando Reagan rimase “terribilmente colpito” 
Vide l’apocalisse, come il titolo di un articolo redatto da Giulio Meotti nel 2015 su Il Foglio. Nel testo, Meotti, ricorda come il romanzo Il campo dei santi, dato alle stampe in Francia nel 1973 – prima edizione italiana targata Ar è del 1998 – “sconcertò non poco anche la Casa Bianca”. Il conte Alexandre de Marenches al cospetto di Ronald Reagan suggerì al futuro presidente degli Stati Uniti d’America: “Le consiglio di leggere Il campo dei santi”. Qualche settimana dopo si incontrarono, nuovamente. E Reagan glaciale: “Ho letto il libro che mi hai dato. Mi ha terribilmente colpito”. Un testo vivido sul dramma dell’immigrazione che il III millennio ha posto come sfida all’uomo. 
 
La condanna della Cassandra della modernità 
Linkiesta, parlando di William Pierce e del suo The Turner Diaries, ha inserito nel novero dei novelli Mein Kampf anche Jean Respail e il suo volume Le Camp des saints. Una condanna. La condanna che colpisce la Cassandra della modernità. Sacerdote cristiano dotato, come pochi, del tremendo fardello della preveggenza. “Don Chisciotte di una monarchia senza corona, paladino delle cause perse, cavaliere senza tempo dei popoli dimenticati o sacrificati”. Il settimanale Valeurs Actuelles descrisse così lo scrittore transalpino. “Il nostro ultimo Chouan”, nemico della Rivoluzione francese che come ricorda, ancora, Meotti “non esita a rendere omaggio in Place de la Concorde, il luogo simbolo della Rivoluzione, a Luigi XVI”. Il romanziere natio di Chemillé-sur-Deme, comune francese della Centro-Valle della Loira, ha attraversato il ‘900 percependo il crollo e la fine dell’uomo bianco. “Che piaccio o no, l’uomo bianco è morto a Stalingrado”, confessò Louis-Ferdinand Céline in un’intervista a Pierre Duverger e Raspail ben prima di Finkielkraut, Camus, Zemmour e Houellebecq ha tratteggiato la deliquescenza dell’Occidente. 
 
Liberi di pensare e scrivere 
David Dawidowicz, ebreo ed ex membro della LICRA scrisse, in merito alla denuncia presentata dalla Lega contro il razzismo e l’antisemitismo: “Come tutti i cittadini di un Paese libero Raspail ha diritto di criticare, a torto o a ragione, una politica che lui giudica disastrosa e una società che lui ritiene alla deriva”. Del resto vale la pena pensare “senza la libertà di esprimere il proprio pensiero?”. Cassandra, dicevamo, costretta ad assistere al crollo della civiltà europea divenendo un apolide errante in cerca della Patria perduta. Eppure, in questo scenario, bisogna ripudiare la via del monachesimo, evitare di rinchiudersi in una personale torre d’avorio, ma essere nel mondo per incidere sul destino del progresso ai piedi del decadimento. 
 
2 Luglio  2021