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Fondato e diretto, nel 2003, da Ninni Raimondi
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Zibaldone 
di Ninni Raimondi
 
Zibaldone, ovvero qualche mia e personale riflessione di questi giorni. 
A proposito: Vorrei proporre a chi di dovere, in merito al Ddl Zan, di proclamare in un qualsiasi momento dell'anno, la "Giornata dell' Eterosessuale", giusto per non dimenticare e per conservarne memoria per i posteri. 
Si, lo confesso: sono eterosessualissimo, come sono consapevole che, dopo questo mio "Comingout", verrò fustigato a sangue. 
Lo so! 
 
 
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Haiti: uccisi quattro killer del presidente Moise, altri due arrestati 
La polizia di Haiti ha arrestato due degli assassini del presidente Jovenel Moise, ucciso ieri nella sua abitazione di Porte au Prince, mentre altri quattro sospetti sono stati uccisi in uno scontro a fuoco con gli agenti. Il capo della polizia Leon Charles ha parlato di ”mercenari” responsabili dell’uccisione di Moise e spiegato che è ancora in corso ”lo scontro” tra le forze della sicurezza e gli aggressori che ”verranno catturati o uccisi”. 
 
Haiti, ucciso presidente. First lady in condizioni “critiche ma stabili” 
La moglie del presidente, Martine Moise, ferita gravemente nell’agguato, è stata intanto trasferita in aereo da Port au Prince a Miami, in Florida. Ora è ricoverata nel Jackson Memorial Hospital. Secondo l’emittente televisiva Local 10 le condizioni della first lady sono ”critiche, ma stabili”. 
Il segretario di Stato per le comunicazioni di Haiti, Frantz Exantus, ha annunciato su Twitter che alcune persone, sospettate di fare parte del commando che ha ucciso il presidente, sono state intercettate e arrestate dalla polizia. L’operazione avrebbe portato anche al rilascio di tre agenti che erano stati sequestrati dai presunti autori dell’omicidio. A darne notizia per radio è stato il primo ministro Claude Joseph, che lo stesso presidente aveva licenziato il giorno prima. Joseph ha dichiarato lo stato di emergenza. 
 
Moise governava per decreto e voleva cambiare la Costituzione 
Moise, che governava per decreto e che voleva cambiare la Costituzione, aveva molti nemici. Già lo scorso febbraio le forze di sicurezza del Paese sventarono un tentativo di colpo di Stato, arrestando 23 persone tra cui un responsabile della polizia e un giudice della Corte di Cassazione. Dal canto suo, il presidente, che era al potere dal 2015, è stato accusato più volte dagli oppositori di vari crimini. Coinvolto ad esempio in un scandalo per corruzione, perché secondo l’accusa avrebbe gestito illecitamente – in combutta con altri esponenti del governo – un giro di affari di due miliardi di dollari. 
 
“Molta gente aveva interesse a sbarazzarsi del presidente” 
“Molta gente aveva interesse a sbarazzarsi del presidente“, dice al New York Times Didier Le Bret, ex ambasciatore francese. Dal canto suo, il presidente Usa Joe Biden si dice “molto preoccupato” per la situazione a Haiti. Un rapporto discusso pochi giorni fa al Consiglio di sicurezza dell’Onu parla di “violenza fuori controllo“. Resta da capire chi ha ucciso Moise. Il premier ieri sera parlando alla tv ha riaffermato che nel commando che ha assaltato la villa c’erano stranieri che parlavano inglese e spagnolo. Il Miami Herald ha pubblicato un video in cui un uomo con accento americano parla al megafono prima dell’attacco (“Questa è un’operazione della Dea”) citando l’Agenzia anti-droga americana. Testimoni oculari dicono di aver visto uomini vestiti di nero correre nei dintorni della residenza privata del presidente. 
 
Un Paese poverissimo in preda alle gang di criminali 
Sono in corso indagini ma la situazione nel poverissimo Paese caraibico è esplosiva. Haiti è senza esercito regolare ma è in preda ad eserciti di criminali. Si tratta delle gang che imperversano indisturbate, che hanno legami con i potenti dell’isola. Tra queste bande armate spicca il sedicente G9, un gruppo di nove gang, capeggiata da Barbecue, al secolo Jimmy Cherizier, ex poliziotto. Insomma, non è detto che i killer del presidente fossero stranieri. 
 
 
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Trump fa causa a Facebook, Twitter e Google: “Violano il primo emendamento” 
Donald Trump fa causa Facebook, Twitter e Google: per l’ex presidente Usa violano il primo emendamento della Costituzione americana sulla libertà d’espressione. Il tycoon trascina in tribunale le tre Big Tech che lo hanno bandito a seguito dell’assalto al Congresso, chiedendo il ripristino degli account e un risarcimento danni. 
 
Class action di Trump contro Facebook, Twitter e Google 
Trump si è messo a capo di una class action contro Twitter, Facebook e Google (per Youtube) e i loro amministratori delegati (Mark Zuckerberg e Jack Dorsey, Susan Wojcicki). L’accusa è di silenziare le voci conservatrici e dichiarandosi vittima di censura. Dal suo golf club di Bedminster in New Jersey, dove trascorre l’estate, il tycoon ha annunciato di voler intraprendere l’azione legale in una corte federale della Florida. “Chiediamo la fine dell’oscuramento, di questo silenziare, ricattare, bandire e cancellare che voi conoscete benissimo”, spiega in conferenza stampa. 
 
“Se possono farlo a me possono farlo a chiunque” 
“Hanno censurato e messo nella lista nera le persone per motivi politici. Se possono farlo a me possono farlo a chiunque. La libertà di parola è un diritto dato da Dio“, esclama Trump. L’iniziativa legale di Trump è resa possibile da una legge, approvata a maggio in Florida, che permette ai politici sospesi dai social di citare in giudizio le compagnie. Tuttavia la legge in questione è destinata a entrare in conflitto con quanto stabilito dalla Costituzione. La scorsa settimana un giudice federale della Florida ha respinto l’attuazione della legge, definendola un “tentativo di costringere le piattaforme social a ospitare discorsi politici”, in violazione proprio del primo emendamento.  
 
Il ban contro l’ex presidente Usa 
L’ex presidente Usa è stato cacciato dalle tre piattaforme social per aver diffuso accuse di brogli elettorali alle presidenziali. E soprattutto perché avrebbe incitato i suoi sostenitori ad assaltare il Congresso a Washington il 6 gennaio scorso. I tre social hanno giustificato il ban con il timore che Trump potrebbe istigare altre violenze. Il tycoon si è ritrovato così senza il suo potente megafono dei social. Un duro colpo per il leader repubblicano (di cui se ne continuano a dire di tutti i colori), intenzionato a non mollare e forse a ricandidarsi alle prossime presidenziali, nel 2024. 
 
Chi sostiene l’azione legale del tycoon 
L’azione legale di Trump è sostenuta da America First Policy Institute, un’organizzazione no profit che continua a portare avanti le politiche dell’ex presidente. Il ceo, Linda McMahon, è stata direttore dell’Agenzia per le piccole imprese durante la sua amministrazione. Adesso, attraverso la sua organizzazione, procederà con  battaglie legali non solo verso i tre giganti del web, ma anche contro esponenti del governo. 
 
 
 
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Prendiamoci Londra, anche nel tennis. Avanti Berrettini, orgoglio italiano 
Se nel calcio la Nazionale inglese guidata da Southgate si regala una finale in un torneo internazionale che mancava da 55 anni, nel tennis Matteo Berrettini regala all’Italia una semifinale a Wimbledon che aspettavamo da 61 anni. L’ultima volta ci riuscì Nicola Pietrangeli, nel lontano 1960. Ed è sempre lì, a Londra, che ci giocheremo tutto. Nel calcio come nel tennis, il concetto è chiaro: l’Italia sta tornando. Non sappiamo come finirà e neppure ci azzardiamo in pronostici, conserviamo quel pizzico di scaramanzia. Vade retro bookmakers inglesi, avanti Italia. 
 
Orgoglio italiano 
“Sono molto fiero di avere vinto, perché per buoni tratti del match non mi sentivo bene in campo. Parlo a livello di gioco, non mi trovavo a mio agio, ma aver risolto la situazione pur senza brillare mi rende orgoglioso“. Sono le parole di Berrettini dopo la vittoria ai quarti di finale contro l’amico canadese Felix Auger Aliassime. E sono le stesse che avrebbe potuto pronunciare un qualsiasi calciatore italiano dopo la vittoria a Londra contro la Spagna. Vincere senza brillare, lottando col pugnale tra i denti fino all’ultimo. Dichiarazioni a parte, i numeri ci dicono che la stella di Berrettini brilla eccome, in uno sport tosto e sfiancante. 
 
L’asso italiano, numero 8 al mondo, ha sbaragliato il talento del Canada: 6-3 5-7 7-5 6- 3. Splendida semifinale che corona una stagione, quella di Berrettini, altrettanto mirabile. Due titoli Atp e un’altra semifinale centrata a Madrid. “Ho affrontato momenti difficili, infortuni, ho dovuto ingoiare bocconi amari perché c’era chi non apprezzava quello che stavo facendo. Adesso mi godo questa vittoria, consapevole del fatto che posso andare ancora avanti”. Avanti e più avanti ancora. “Se penso che quando Pietrangeli raggiunse questo risultato non era nato nemmeno mio padre, beh fa un certo effetto. Sapere che si sta scrivendo una pagina di storia del tennis italiano e c’è il mio nome mi inorgoglisce“. 
 
Avanti Berrettini. Prendiamoci Londra, anche nel tennis 
Comunque vada a finire, l’estate 2021 – vista Olimpiadi di Tokyo – ci sta regalando due certezze. La prima: gli atleti italiani se la giocano con tutti, combattono, piacciono anche all’estero per lo spirito mostrato e sono orgogliosissimi di rappresentare la propria nazione. La seconda: tutto si deciderà a Londra, in due templi dello sport: Wembley e Wimbledon. In entrambi i casi gli altri dovranno vedersela con noi, per alzare la coppa saranno costretti a giocarsela con l’Italia. E non è mai semplice, non sarà mai semplice. Per nessuno. 
 
 
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Il virologo Clementi contro la conta dei positivi: “Aboliamola, non ha più senso” 
Per il professor Massimo Clementi, Direttore del laboratorio di Microbiologia e Virologia dell’Ospedale San Raffaele, la conta dei positivi va abolita su modello di Singapore. Lo Stato asiatico, infatti, si appresta a diventare il primo Paese al mondo ad eliminare l’implacabile bollettino quotidiano del Covid che da quasi un anno e mezzo ammorba ogni singolo abitante del pianeta Terra. 
Secondo Clementi è sufficiente tenere il monitoraggio di malati gravi, vaccinazioni e morti. Quella di Singapore «È una scelta in linea con quanto sta facendo Boris Johnson in Gran Bretagna», spiega ai microfoni di Quotidiano Nazionale. «È ciò che può fare un Paese che si sente relativamente tranquillo, ha fatto tutto quello che si poteva con i vaccini, coprendo un numero sufficiente di anziani e giovani. Noi non siamo lontani da questo obiettivo, ci stiamo arrivando: manca ancora l’ultimo miglio». 
 
Clementi: l’Italia deve abolire la conta quotidiana degli infetti 
L’Italia deve mettersi nell’ordine di idee di interrompere l’estenuante conta degli infetti. «Quello che conta sono la pressione ospedaliera e l’andamento delle vaccinazioni. Giorno dopo giorno rincorrere un numero con molti difetti, quello dei contagi, è sbagliato. Nel weekend scorso ero a San Benedetto del Tronto e tutti erano preoccupati per un focolaio dovuto a una festa. Ma erano 15 positivi in tutto…». L’attuale tipo di comunicazione, prosegue Clementi, provoca ansie e psicosi: molto meglio «un report settimanale». 
 
Il virus non scomparirà completamente 
Del resto, non possiamo pensare di eliminare completamente il virus. Dobbiamo conviverci, come accade con altre decine di virus. La trasmissione zero è pura utopia. «Lentamente anche in Italia i divieti calano e il livello di guardia si abbassa. La strada è quella giusta, non vanno perse le regole. Anche l’Italia potrà arrivare a quelle politiche che ammettono la convivenza col virus: una parte minima della popolazione si infetterà, ma chi è più debole è stato protetto. L’importante è evitare che a settembre la riapertura delle scuole coincida con una ripresa forte delle infezioni». 
 
 
 
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Foggia, evade dai domiciliari e minaccia un barista: “Fammi mangiare gratis” 
Quando uno ha fame, ha fame: un uomo a Foggia è evaso  dai domiciliari per andare al bar. Qui ha minacciato il proprietario, chiedendogli di prendere cibo e bevande senza pagare. 
 
Foggia, l’evasione dai domiciliari 
Succede a Foggia, per la precisione ad Apricena, dove i carabinieri hanno arrestato e condotto in carcere un 31enne, originario di San Severo, che era già ai domiciliari e ora risponderà dei reati di evasione ed estorsione. L’uomo è evaso dai domiciliari, poiché è uscito senza permesso o dall’abitazione in cui era sottoposto alla detenzione. Dopo questo atto già illegale di per sé, aveva pure minacciato un barista di Apricena per avere cibo e bevande gratis. 
 
Le minacce al barista 
Il titolare del bar, ovviamente, ha denunciato e le indagini dei carabinieri hanno portato, senza ombra di dubbio, all’uomo che era ai domiciliari. Dunque l’Ufficio di Sorveglianza di Foggia ha disposto che l’uomo venga tradotto presso la casa circondariale di Foggia. 
 
 
 
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Patrimonio Rilancio: Cdp a sostegno delle imprese italiane. Basterà? 
Dopo una lunga gestazione è operativo Patrimonio Rilancio, lo strumento del Ministero dell’Economia e delle Finanze, gestito da Cassa Depositi e Prestiti per sostenere le imprese italiane con fatturato superiore a 50 milioni di euro. Questo è quanto riporta il comunicato stampa ufficiale. Il nome promette bene, vediamo in concreto di cosa si tratta. 
 
Come funzionerà Patrimonio Rilancio 
Patrimonio Rilancio nasce per supportare la patrimonializzazione delle imprese medio-grandi italiane (quotate e non) colpite dall’emergenza Covid-19. Lo strumento, alimentato da risorse del Ministero dell’Economia e delle Finanze e gestito da Cassa Depositi e Prestiti, prevede “una gamma di soluzioni per soddisfare le esigenze di rafforzamento patrimoniale, con processi di richiesta e valutazione integralmente digitali, rapidi e semplificati”. Tre saranno gli ambiti di operatività del nuovo strumento: Fondo Nazionale Supporto Temporaneo (Fnst), Fondo Nazionale Strategico (Fns), Fondo Nazionale Ristrutturazioni Imprese. Andiamo con ordine. 
Il primo è legato alla crisi economica innescata dalla pandemia. Il Fnst, infatti, è dedicato a interventi temporanei in “aziende che hanno subito impatti derivanti dall’emergenza COVID-19, coerenti con le misure previste dalla Commissione Europea nel Quadro Temporaneo per le misure di aiuti di Stato a sostegno dell’economia nell’attuale emergenza del COVID-19?. Le imprese, in sintesi, avranno la possibilità di chiedere finanziamenti a condizioni agevolate. 
Poi c’è il Fns. In questo caso, si esce dal quadro temporale contingente per supportare in maniera strutturale l’economia nazionale. Il Fondo nazionale strategico, infatti, è dedicato ad “investimenti di lungo periodo in imprese caratterizzate da solide prospettive di crescita”, per supportarne i piani di sviluppo. Inoltre, sono previsti anche “interventi nel capitale di imprese strategiche quotate tramite acquisti sul mercato secondario”. Ovviamente le modalità e gli schemi d’intervento vanno di volta in volta condivisi con il Ministero dell’Economia e delle Finanze. 
Infine c’è il Fondo Nazionale Ristrutturazioni Imprese. Esso è dedicato agli interventi in aziende caratterizzate da temporanei squilibri patrimoniali e finanziari, ma con adeguate prospettive di redditività futura. 
Tirando le somme, Patrimonio Rilancio prevede una serie di potenziali interventi da parte del Mef atte a fornire alle imprese la liquidità necessaria a rafforzarsi nel breve, medio e lungo termine. Ora la palla passa agli imprenditori. 
 
Le aziende quotate propongo il “modello francese” 
Se una società è in crisi può (anzi deve) sapersi interfacciare con il Mef. Finora molte società hanno preferito cercare liquidità presso fondi di private equity, ora le cose cambiano. Se hanno bisogno di soldi possono citofonare a Via XX Settembre. Scherzi a parte, lo stanziamento non serve se nessuno è capace di chiedere il finanziamento. 
A quanto pare, però le grandi società sono pronte a raccogliere la sfida seguendo l’esempio francese. Infatti, secondo Patrizia Grieco, presidente di Assonime (associazione italiana che riunisce le società per azioni), dobbiamo seguire l’esempio di quelle nazioni europee che stanno supportando “le imprese strutturalmente sane la cui solvibilità sia a rischio a causa della crisi, alcuni paesi europei”. La Francia, sottolinea la Grieco, ha messo in atto dei “piani di sostegno alla ricapitalizzazione”, basati sull’offerta di una garanzia pubblica parziale sull’offerta di quasi equity da parte delle banche e degli investitori istituzionali”. In pratica, lo Stato si fa garante usando strumenti finanziari (i quasi equity) il cui rimborso o rendimento è strettamente connesso con l’andamento dei flussi di cassa del progetto imprenditoriale destinatario dell’investimento. Per molti imprenditori in crisi di liquidità, o meglio, con le tasche vuote, sarebbe una boccata d’ossigeno. 
A detta del presidente Assonime è “un modello di sostegno che si potrebbe replicare in Italia, reindirizzando a tale scopo parte delle risorse già messe a disposizione attraverso il Patrimonio Rilancio gestito da Cdp”. L’obiettivo è quello di consentire alle imprese medio-piccole l’accesso diretto al mercato di capitali limitando i rischi di una possibile stretta creditizia. L’idea è buona, ma non basta. Per realizzare questo progetto abbiamo bisogno di una classe imprenditoriale che sia all’altezza di questo compito. Al momento, nonostante alcune lodevoli eccezioni, sono in pochi a voler raccogliere la sfida. Gli stranieri comprano ciò che gli italiani mettono in vendita. Detto questo, non possiamo liquidare così facilmente il riferimento alla Francia. 
 
L’Ue e il tabù dell’intervento pubblico 
Come mai il liberista Macron sposa le ragioni dell’economia mista in barba ai Trattati costituitivi dell’Ue? Semplice, non può e non vuol fare altrimenti. Il capo dell’Eliseo può essere anche un liberista ma la sua nazione non lo è affatto. Non si tratta solo di protezionismo come nel caso dello scontro con Fincantieri per i Chantiers de l’Atlantique di Saint-Nazaire. 
Ci sono settori strategici su cui lo Stato non molla l’osso: basti pensare a Stellantis. La Francia crede fermamente nell’intervento pubblico nell’economia. Quest’ultimo si declina in molti modi. Infatti, oltre alla Caisse des Dépôts et Consignations (l’equivalente della nostra Cassa Depositi e Prestiti) c’è L’Ape (Agence des participations de l’État). Una società pubblica (molto simile alla nostra Iri) creata però nel 2004 quando noi avevamo già smantellato l’ente voluto da Beneduce. Parigi, però, non è sola. Berlino grazie alla Kreditanstalt für Wiederaufbau (Kfw), riesce ad immettere liquidità nel sistema senza generare debito pubblico. La politica ha tanti strumenti per depotenziare i Trattati su cui si regge l’Ue. Alcune nazioni lo fanno, altre no. Noi al momento facciamo parte del secondo gruppo. 
 
Non possiamo limitarci a seguire le raccomandazioni della Commissione Europea. Anche perché nessuno sano di mente può pensare di uscire da una crisi economica spaventosa solo grazie a ristori, sostegni e prestiti agevolati. Le potenzialità non ci mancano. Ad esempio, Cassa Depositi e Prestiti che non può limitarsi a gestire il Patrimonio Rilancio. Essa potrebbe essere a tutti gli effetti una banca pubblica, difatti in molti casi lo è. Basta volerlo. 
 
 
 
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Fallimento cashback: il capriccio grillino ci è costato 4,5 miliardi 
Con la pubblicazione del decreto in Gazzetta ufficiale, il governo mette (per ora) la parola fine sul cashback. La misura viene sospesa per sei mesi, con la promessa di essere rivista per poi – forse – tornare con l’inizio del 2022. Si conclude così, a solo un semestre di distanza dal suo varo, l’esperimento che voleva essere (insieme all’altra ridicolaggine della Lotteria degli scontrini) una colonna portante del “Piano Italia cashless”. Lasciando a noi un bilancio che ci parla di una perdita secca miliardaria. 
Con la sospensione del cashback il governo punta a recuperare almeno 1,5 miliardi che saranno dirottati, fra le altre cose, alla riforma degli ammortizzatori sociali. Non è però solo una questione di voci cui attingere per far quadrare i conti, sotto accusa finisce infatti l’intero impianto che informava la misura: “Il cashback ha un carattere regressivo ed è destinato ad indirizzare le risorse verso le categorie e le aree del Paese in condizioni economiche migliori“, ha spiegato il premier Draghi nell’annunciarne la sospensione. 
 
Cashback sospeso: il conto miliardario 
L’incentivo, fortemente voluto dal governo Conte bis, aveva come obiettivo quello di stimolare l’utilizzo di pagamenti elettronici come forma di contrasto all’evasione fiscale. Peccato che la correlazione sia indimostrata. E persino la Bce si era mossa per affermare che “l’accettazione dei pagamenti in contanti debba costituire la norma”. 
 
Alla fine, questo cashback, qualcosa di buono l’avrà pure prodotto? Il nulla al quadrato, vien da dire. Le cifre ci parlano di meno di 800 milioni di transazioni aggiuntive per un incasso totale per il fisco pari a circa 200 milioni. Il tutto a fronte di una spesa di 4,7 miliardi. La differenza fa – lo scriviamo per esteso – quattro miliardi e mezzo. Uno in meno, per la cronaca, dei 5,5 ai quali ogni anno l’erario rinuncia a beneficio dei paradisi fiscali comunitari. Quelli benedetti dall’Ue in nome della libera circolazione dei capitali. 
 
 
 
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Reddito di cittadinanza, a Lamezia 2 milioni di euro ai furbetti: erano 469 immigrati 
Ancora furbetti del reddito di cittadinanza. A Lamezia Terme 469 immigrati sono stati scoperti a percepire indebitamente il lauto assegno tanto voluto dai Cinquestelle e pagato con i soldi degli italiani, per un ammontare di circa 2 milioni di euro. Gli stranieri, «beccati» dagli uomini della Guardia di finanza, non possedevano uno dei requisiti fondamentali (la residenza) per avere diritto al sussidio. 
 
I furbetti del reddito di cittadinanza erano 469 stranieri 
Sussidio che sempre più spesso, come emerge dalle indagini, serve a rimpinguare le tasche di criminali, mafiosi, extracomunitari non aventi diritto, evasori fiscali, spacciatori, terroristi, nomadi. La scoperta parte da un’indagine delle Fiamme Gialle volta a verificare quanti stranieri, nella zona di Lamezia Terme, percepissero il reddito di cittadinanza: e soprattutto che non si trattasse dei soliti «furbetti». Una prima indagine aveva rivelato l’esistenza di alcuni extracomunitari che avevano ottenuto il sussidio, attestando falsamente di possedere il requisito relativo alla residenza. 
A quel punto è scattata la decisione di scandagliare un bacino di oltre 22.000 immigrati, per verificare la loro idoneità alla percezione del reddito di cittadinanza. Gli stranieri provenivano principalmente da Paesi dell’Africa, dell’Asia e dell’est europeo. Di questi, 469 era privo di requisiti relativi alla residenza nel nostro Paese ed erano arrivati a percepire, in tutto, la ragguardevole somma di 2 milioni di euro.   
 
E nel resto d’Italia? 
Lo stato italiano riconosce il reddito di cittadinanza, infatti, a chi è in possesso, all’atto della presentazione della domanda di specifici requisiti di cittadinanza, residenza, soggiorno, reddituali e patrimoniali. Tra questi requisiti fondamentali figura il possesso della residenza in Italia da almeno 10 anni, di cui gli ultimi due in modo continuativo. Il richiedente è così in grado di ottenere la corresponsione del sussidio per un periodo continuativo non superiore a diciotto mesi, al termine del quale può essere rinnovato per altri dodici mesi. E se nella sola Lamezia le Fiamme gialle sono riuscite a scovare 469 stranieri furbetti del reddito di cittadinanza, possiamo solo immaginare quanti ve ne siano in tutta Italia. E quale sia l’entità della cifra ciclopica stiano rubando agli italiani.  
 
Grazie Cinquestelle, fate proprio pena! 
 
 
 
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Renzi vs Ferragnez, quanto è triste la politica ridotta a inseguire gli influencer 
Se si ha il 2% del consenso totale (Renzi), lo spirito di sopravvivenza suggerisce di non mettersi contro la coppia Chiara Ferragni-Federico Lucia (alias Fedez) che di followers ne ha circa 24 milioni. Il buon gusto e l’amor proprio, poi, dovrebbe indurre chiunque, soprattutto chi intenda far parte della classe dirigente italiana, a non considerare quei due degli interlocutori meritevoli d’attenzione. E per un semplice motivo: per discutere con degli ignoranti patologici devi obbligatoriamente scendere al loro infimo livello. Risulterebbe vano il tentativo di ampliare il discorso rendendolo profondo e minimamente aggrappato alla realtà. Il Renzi questo buon senso non ce l’ha, e così ha deciso di dar corda a quel vippume gayfriendly capitanato dalla coppia denominata Ferragnez che furoreggia ormai da molti mesi su tutti i social tuonando contro chiunque osi proferire parola contro il ddl Zan. 
 
Renzi vs Ferragnez, la politica aggrappata agli influencer 
Per dare una vaga idea della vuotezza di queste due persone: lei ha accusato Matteo Renzi di far parte di una classe politica che fa genericamente schifo, intestandosi il premio per il commento più stupido dell’anno, e confidiamo che tale primato le rimanga sino a fine legislatura. Lui ha fatto la sua “lista di proscrizione” durante il concerto del primo maggio, ossia durante la festa dei lavoratori, contro i leghisti genericamente accusati di omofobia, il tutto indossando ed esibendo lo sponsor Nike, sia mai che i bambini lavoratori asiatici non si sentano debitamente rappresentati in Occidente nell’epocale battaglia per i diritti civili. Questo è lo sfondo a tinte arcobaleno rappresentato da Ferragni e Fedez. 
Eppure Federico Rampini aveva messo in guardia il mondo liberal dalla tentazione di farsi affiancare dal mondo delle celebrity, dei ricchi annoiati, degli inginocchiati a costo zero e dal mondo hollywoodiano che predica il disarmo della polizia non senza essersi muniti di numerose guardie private. Il povero Letta, in caduta libera, si è più volte aggrappato alla sottana e alle unghie smaltate di questi vip in cerca d’autore, ritenendo evidentemente di uno scadente lignaggio il popolino che gli chiederebbe un impegno diverso rispetto a quelle tre o quattro fregnacce di continua a blaterare. Matteo Renzi, invece, sorprende perché è aperturista verso le modifiche al Ddl Zan, posizione, la sua, che gli sta tirando addosso vagonate di letame tipo quello lanciato dalla signora Ferragni in Lucia. 
 
Peggio del conformismo qualunquista? Chi gli dà corda 
E dunque ci saremmo aspettati un atteggiamento consapevole e di maggior durezza verso quel mondo patinato ricoperto di conformismo violento che crocifigge chi osa avere un pensiero autonomo e indipendente. La richiesta avanza da Renzi nei confronti di Chiara Ferragni di discutere del disegno di legge Zan appare come una calata di braghe in favore di chi, per il solo suo dissenso, lo condannerebbe ai lavori forzati. 
 
E se anche la coppia accettasse l’invito dell’ex premier, il Renzi si troverebbe a dover spiegare a questi due qualunquisti della peggior specie i concetti di libertà individuale e di democrazia rappresentativa, secondo i quali il ddl Zan è un abominio giuridico e concettuale e l’ostruzionismo contro di esso fa parte del normale iter legislativo per il quale il governo della maggioranza non può trasformarsi nella dittatura della maggioranza.  
 
Ce lo scriviamo sul palmo della mano così risulterà più comprensibile: hanno stufato i Ferragnez ma soprattutto i politici che continuano a dargli corda prendendoli sul serio. 
 
 
 
 
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I giovani tra pandemia e solitudine: la generazione dei “Baroni rampanti” 
A causa della forte pressione fiscale presente, le assunzioni da parte delle aziende italiane sono sempre meno e i salari non riescono a garantire l’indipendenza ai più giovani. I quali sono costretti nella gran parte dei casi ad emigrare in altre località europee. Quando non addirittura dall’altra parte del mondo al fine di trovare un’occupazione. E’ chiaro ormai che l’Italia non abbia prospettive per garantire loro un futuro prospero nella terra natìa. Tantomeno il sistema politico si applica per potenziare le strutture incentivando i ragazzi a proseguire normalmente gli studi. 
 
La pandemia (ma non solo) 
Tra gli innumerevoli problemi della nuova generazione italiana si aggiunge la solitudine dovuta alla pandemia, che li ha costretti a limitare i contatti con i loro coetanei. Scatenando di conseguenza una mancanza di socializzazione e un crescente malcontento (nonché evidenti disturbi generali in ambito psicologico). 
Invece, per quanto concerne l’avvenire, è lecito chiedersi se le forze partitiche abbiano realmente intenzione di aiutare socialmente, scolasticamente e lavorativamente le nuove leve. Oggi infatti i giovani risultano disinteressati alla vita politica soprattutto a causa degli ostacoli posti davanti alle loro ambizioni. A volte anche dai medesimi direttivi politici. 
Se c’è una parola che dovrebbe caratterizzare una nazione come l’Italia, questa è “innovazione”. E’ necessario che l’intero sistema italiano si impegni per la creazione di nuovi posti di lavoro. Consentendo così alle nuove generazioni (e in parte anche alle precedenti) di potersi mantenere acquisendo una concreta opportunità di realizzazione. 
 
I giovani come il “Barone rampante” 
Possiamo soltanto augurarci che la gioventù italiana non venga effettivamente lasciata in balia di se stessa, rasentando il paragone con la rinomata opera letteraria di Calvino. Quel “Barone rampante” in cui un ragazzo preferisce rifugiarsi su un albero piuttosto che obbedire a regole ancestrali e fin troppo ferree. Ebbene, alla fine del romanzo, dopo le molte avventure giovanili, il suddetto barone precipiterà trovando la morte. Una similitudine che ai giorni nostri potrebbe personificare la condizione dei ragazzi che davanti a loro non vedono nient’altro che un futuro di incertezza e depressione. E’ giusto augurarsi che il mondo dei giovani cominci ad ottenere ciò che gli spetta. Senza patire inutili supplizi causati dalle instabilità governative. 
 
 
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E per oggi va bene così 
 
8 Luglio  2021