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Violazione del diritto di difesa 
di Ninni Raimondi
 
Violazione del diritto di difesa, Strasburgo condanna ancora una volta l’Italia 
 
Violazione del diritto di difesa.  
È questa la conclusione della Corte europea dei diritti dell’uomo, che ha condannato l’Italia a risarcire 6500 euro a testa per sette persone, coinvolte in un processo relativo all’abuso del regime delle quote latte introdotto dal regolamento (Cee) n. 856/ 84, a causa del mancato esame degli imputati in appello, pur regolarmente citati e non presenti all’udienza. Per la Cedu, l’Italia si è resa responsabile della violazione dell’articolo 6, paragrafo 1, della Convenzione in relazione alla condanna per associazione a delinquere intervenuta senza disporre l’esame degli imputati e, nel caso di uno di loro, anche per la mancata audizione dei testimoni in appello. 
 
Il tribunale di primo grado aveva assolto uno dei ricorrenti e condannato gli altri sei per truffa aggravata dopo aver esaminato diversi testimoni e raccolto altri elementi di prova, assolvendo tutti dall’accusa di associazione a delinquere. La Corte d’Appello aveva confermato la condanna, ma aveva anche ritenuto i ricorrenti colpevoli del reato di associazione a delinquere, ribaltando la sentenza di primo grado e condannando anche l’unico imputato assolto. Nel farlo, i giudici non hanno accertato nuovamente i fatti né dato una nuova interpretazione delle deposizioni testimoniali, limitandosi a valutare in maniera diversa gli elementi costitutivi del reato. Secondo i giudici, nonostante la mancanza di conoscenza giuridica da parte degli imputati gli stessi non avrebbero potuto non rendersi conto che le attività delle società erano illegali. La Corte, insomma, si era limitata a valutare le intenzioni degli imputati, senza alcuna verifica rispetto ai fatti contestati. I ricorrenti avevano deciso di non partecipare alle udienze della Corte d’Appello, nonostante fossero stati chiamati a costituirsi. Per i giudici, ciò avrebbe rappresentato anche la volontà di rinunciare al diritto di essere sentiti, nonostante uno degli imputati fosse presente all’udienza. 
 
Nel ricorso in Cassazione, i ricorrenti hanno contestato sia l’omessa rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale sia di non essere stati sentiti dai giudici d’appello, ricorsi respinti in quanto, secondo gli ermellini, l’obbligo di rinnovazione è imposto solo in caso di diversa interpretazione delle dichiarazioni dei testimoni, sottolineando che la possibilità di rendere dichiarazioni spontanee e di prendere la parola al termine della discussione garantirebbero i diritti degli imputati. Ma per la Cedu ciò non basta a tutelare il diritto di difesa, non essendo le dichiarazioni spontanee paragonabili all’esame da parte del Tribunale. E il fatto di rinunciare al diritto di assistere all’udienza non esonera di per sé una Corte d’appello dal suo dovere di effettuare una valutazione diretta delle prove fornite di persona dall’imputato che sostiene la propria innocenza. In tali circostanze, le autorità giudiziarie avrebbero dovuto adottare tutte le misure necessarie per garantire l’esame degli imputati, esame la cui rinuncia sarebbe stata esplicita solo se ci fosse stata una specifica citazione per ascoltare i ricorrenti e gli stessi non si fossero presentati. 
 
14 Luglio  2021