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Gratteri contro la riforma Cartabia 
di Ninni Raimondi
 
Gratteri contro la riforma Cartabia: «Così delinquere conviene di più» 
 
«Noi magistrati dobbiamo fare giustizia, non smaltire carte. Era sicuramente meglio la riforma Bonafede», dice il procuratore di Catanzaro intervistato da Travaglio 
«Concordo pienamente con quel che ha detto il professor Coppi. Il sistema non solo è destinato ad andare in tilt, ma in questo modo non viene assicurata alcuna “giustizia”. Stabilire che la prescrizione si interrompe dopo la sentenza di primo grado, ma al contempo imporre termini “tagliola” per il processo di appello e per quello successivo di Cassazione, senza intervenire sui sistemi di ammissibilità degli appelli o dei ricorsi per Cassazione, significa solo preoccuparsi di “smaltire carte”, non di assicurare una decisione giusta». Così in un’intervista al direttore del Fatto Quotidiano il procuratore Nicola Gratteri commenta la riforma della Giustizia della ministra Marta Cartabia approvata all’unanimità dal Consiglio dei ministri lo scorso giovedì. 
«Noi magistrati dobbiamo fare giustizia, non smaltire carte: noi abbiamo a che fare con la vita delle persone. I giudici di appello e di Cassazione devono, all’esito di un’analisi ponderata, rimediare – se esistono – a errori commessi nel grado precedente. Con questa “riforma”, invece, da una parte si gettano al macero migliaia di processi, e dall’altra si accentua la tendenza alla trasformazione delle corti in “sentenzifici”, che badano solo ai numeri, con buona pace della qualità delle decisioni». «Al di là dei proclami di “riforma costituzionalmente orientata” – spiega Gratteri – a me pare che si vada esattamente in senso contrario. Si celebra un processo che si conclude con una condanna; l’imputato condannato fa appello nel quadro di un sistema su cui non si è intervenuti a livello legislativo; il giudizio di appello, o quello successivo in Cassazione, non si chiude nei tempi indicati; che fine fa la condanna di primo grado? Diventa improcedibile con un prestampato?  
 
E le persone offese? Le vittime del reato, le parti civili costituite nel processo? Assurdo. Era sicuramente meglio la riforma Bonafede», afferma condividendo l’opinione di Davigo secondo cui l’improcedibilità è un’amnistia mascherata e aggiungendo che «questa tagliola colpirà anche processi delicatissimi, come omicidi colposi e violenze sessuali. È uno schiaffo alle vittime. Così delinquere conviene di più. Perché nessuno pensa alla mortificazione di chi non solo viene umiliato da soprusi e angherie, ma poi viene anche praticamente abbandonato dallo Stato?». 
 
«La politica – prosegue il procuratore – non può pensare di abbreviare i processi con la tagliola dei termini di due anni in appello o un anno in Cassazione, che con questo sistema si sa già in anticipo che non potrà mai essere rispettati. Per avere processi più rapidi occorrono prima di tutto uomini (magistrati, personale amministrativo e di polizia giudiziaria) e mezzi adeguati rispetto a una mole di affari giudiziari elefantiaca. E poi si deve intervenire a monte, non a valle. Rendere più snelle le procedure è possibile, ma bisogna partire dal basso: limitare le ipotesi di appello, rendere inammissibili le impugnazioni vistosamente pretestuose (e sono molte); ridurre i ricorsi in Cassazione solo ai casi che riguardano la legittimità. E ancora: limitare gli incarichi “fuori ruolo” solo a quegli Uffici dov’è veramente necessaria la presenza di magistrati; e rivedere la geografia degli uffici giudiziari. Ma ci potrebbero essere tanti altri interventi possibili, che realmente vanno nella direzione di una effettiva riduzione dei tempi, se davvero questo fosse l’obiettivo dei riformatori. Ma, con questa riforma – conclude – è un’utopia». 
 
14 Luglio  2021