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Quelle violenze mediatiche 
di Ninni Raimondi
 
Quelle violenze mediatiche che distruggono la vita delle persone 
 
«Il cappio si stringe intorno al collo del presunto colpevole con un doppio nodo scorsoio: la gogna mediatica da un lato, l’accusatore impegnato nella strenua autodifesa a oltranza, dall’altro», scrive il presidente dell'Ucpi Caiazza nella prefazione al libro "I dannati della gogna" del giornalista Ermes Antonucci 
Qualche giorno fa, ricordando Angelo Giarda, ho evidenziato la sua lezione, in occasione della difesa in favore di Alberto Stasi, coinvolto nell’omicidio di Chiara Poggi a Garlasco, su come gestire il “processo mediatico” e non farsi inghiottire da esso. Chi viene accusato di un reato deve difendersi dalle contestazioni dell’accusa e dalla gogna mediatica che spesso viene attivata. Il tutto con la complicità di certi santoni dell’informazione che muovono argani e ingranaggi. 
 
Alle vite distrutte dalla libido dei fautori della gogna mediatica ha dedicato quattro anni del suo lavoro giornalistico Ermes Antonucci, autore del libro edito da Liberilibri ed intitolato “I dannati della gogna”. Cosa significa essere vittima del circo mediatico-giudiziario (pagg. XIV-138, euro 13). Antonucci è giornalista del quotidiano “Il Foglio”. Il volume ospita la prefazione di Giandomenico Caiazza, presidente dell’Unione delle Camere penali italiane, e racconta venti storie di politici, imprenditori, manager e uomini comuni costretti a fare i conti, prima ancora che con le accuse formulate in tribunale, con una devastante esposizione mediatica. Un meccanismo infernale che sembra essere entrato nella vita degli italiani e del nostro Paese e che alcune volte pare non indignare e preoccupare più. Eppure, i danni che provoca sono incalcolabili con conseguenze dirette nelle carriere professionali, nei rapporti familiari, sociali e affettivi. Vite intere condizionate per sempre. La disumanità passa attraverso la pubblicazione sui giornali di notizie coperte da segreto investigativo, la diffusione di intercettazioni penalmente irrilevanti, la colpevolizzazione preventiva, l’annientamento della privacy di indagati e imputati. Tra le storie raccontate quelle di personaggi famosi Calogero Mannino, Giulia Ligresti, Clemente Mastella e Francesco Bellavista Caltagirone, ma anche quelle di persone ai più sconosciute come Roberto Giannoni, Rocco Loreto e Diego Olivieri. 
 
La lezione dei latini sembra essere stata dimenticata. La riflessione giustinianea, in dubio pro reo, è da lasciare nelle pagine dei libri o da sfoderare in qualche talk show per sfoggiare una conoscenza superficiale e narcisistica. «L’ipotesi accusatoria – riflette nella sua prefazione l’avvocato Caiazza -, soprattutto in società di debole cultura democratica, assurge a rango di giudizio attendibile e di già definitivo per il fatto stesso di provenire da un’autorità pubblica: se lo hanno arrestato, ci sarà una ragione. E tanto più vasta sarà la eco mediatica dell’accusa, tanto meno chi l’ha promossa sarà disposto a riconsiderarne il fondamento. Il cappio si stringe intorno al collo del presunto colpevole con un doppio nodo scorsoio: la gogna mediatica da un lato, l’accusatore impegnato nella strenua autodifesa a oltranza, dall’altro». Secondo il presidente delle Camere penali, il promotore della gogna mediatica non ammetterà mai di aver sbagliato. Per questo è importante per chi incappa nei meccanismi della gogna trovare un giudice davvero terzo: «Non c’è scampo, fino a quando il presunto colpevole non avrà la ventura di incontrare un giudice indifferente: evento, purtroppo, nient’affatto scontato, e comunque quasi sempre drammaticamente tardivo». 
 
Il “processo mediatico”, la violenza che travolge chi è coinvolto in alcune inchieste toglie voce e dignità al malaugurato cittadino, con l’impossibilità di trovare adeguato ristoro, prima di tutto morale, quando il vero processo approda in tribunale. «Il fenomeno – scrive Ermes Antonucci – si è affermato in numerose nazioni, ma è in Italia che mostra una forza e una violenza senza pari, tanto da portare a un annientamento sostanziale di alcuni principi basilari stabiliti dalla nostra Costituzione, a partire dalla presunzione di non colpevolezza (articolo 27)». In questo scenario non sono esenti da responsabilità alcuni operatori dell’informazione. Sembrano sempre i più informati di tutti, i primi ad arrivare e a raccontare, purtroppo, solo un pezzo delle storie giudiziarie che li esaltano. «Questo tritacarne mediatico – dice l’autore – si palesa in varie forme: notizie passate ai giornalisti da procure e polizia giudiziaria, pubblicazione integrale sui giornali del materiale di indagine spesso ancora coperto da segreto, diffusione di intercettazioni (spesso penalmente irrilevanti) e di immagini di persone sottoposte a restrizione della propria libertà, assenza di contraddittorio, colpevolizzazione preventiva e mancanza di attenzione per le fasi successive dei procedimenti penali (con sentenze di proscioglimento o di assoluzione relegate, quando va bene, a minuscoli trafiletti sui giornali), invasione morbosa negli ambiti privati dei malcapitati». Una inchiesta raccontata da Antonucci nel 2017 sul Foglio venne accompagnata da una vignetta di Vincino. 
 
Nel disegno l’accusato, il povero “dannato”, è intento ad ascoltare il magistrato che lo accusa, mentre alcune persone, con il ghigno inferocito, lo fustigano e bastonano. «Una sintesi visiva perfetta del meccanismo della gogna». Una delle storie contenute nel libro di Antonucci è quella di Diego Olivieri, finito in una inchiesta dell’FBI e della Direzione distrettuale antimafia di Roma (con il pm Italo Ormanni).L’imprenditore veneto venne accusato di essere il punto di riferimento di un’organizzazione mafiosa dedita al traffico internazionale di droga. Per queste ragioni venne imprigionato in un carcere di massima sicurezza per un anno intero, prima di essere assolto, senza lo stesso clamore di quando venne arrestato, cinque anni dopo per non aver mai commesso alcun crimine. Nel frattempo la gogna mediatica lo aveva stritolato. 
 
14 Luglio  2021