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Fondato e diretto, nel 2003, da Ninni Raimondi
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Isis e Talebani 
di Ninni Raimondi
 
Isis e Talebani 
 
 
La guerra tra Isis e Talebani a Kabul è appena cominciataL'attentato all'aeroporto di Kabul compiuto dall'Iskp, un ramo dell'Isis, non è solo un messaggio all'occidente ma anche a chi oggi controlla l'Afghanistan 
 
A quattro giorni dal definitivo ritiro degli Stati Uniti e alleati dall'Afghanistan, l'Isis, o meglio, l'Islamic State of Iraq and the Levant – Khorasan Province (ISKP) come si temeva ha colpito. Ieri pomeriggio verso le 18.30 ora locale, un uomo identificato come Abdul Rehman al-Logari, dove "Logari" sta ad indicarne la provenienza geografica, dopo aver raggiunto l'Abbey Gate dell'aeroporto della capitale afghana, ha azionato il suo giubbotto esplosivo causando una strage: sono almeno 90 i morti tra i quali 13 marines americani e centinaia di feriti (18 sono marines). 
 
In serata il presidente americano Joe Biden visibilmente commosso ha affermato «Non dimenticheremo, vi prenderemo e ve la faremo pagare. E l'America non si farà intimidire, l'evacuazione va avanti e siamo pronti a inviare altre truppe se sarà necessario». Per il presidente americano però sono ore difficili e drammatiche anche perché diversi esponenti del suo stesso partito lo stanno criticando ferocemente per la sua irrevocabile decisione di abbandonare il Paese entro il prossimo 31 agosto e soprattutto per come questa evacuazione è stata gestita. Attacchi che si sommano alle numerose richieste dei Repubblicani che ne chiedono a gran voce le dimissioni o la messa in "stato d'accusa" per "manifesta incapacità di gestire la crisi" . 
 
Intanto mentre sono ancora circa un migliaio i cittadini americani da rimpatriare da Kabul, il Pentagono ha comunicato che «gli attacchi continueranno». E' così l'incubo peggiore ovvero uno scontro armato tra la branca locale dell'Isis, i Talebani quindi Al-Qaeda e la "rete Haqqani" è diventato realtà anche se già a partire da metà 2020, ISKP aveva ricominciato a colpire le forze di sicurezza afghane e militanti talebani, e sotto la guida del loro leader Shahab al-Muhajir, sorpresero tutti conducendo il 2 di agosto 2020 una elaborata operazione contro la prigione di Jalalabad in cui liberarono diverse decine di prigionieri. 
 
«L'attentato di ieri - spiega l'analista Riccardo Valle - testimonia che ISKP gode di un forte network a Kabul in grado di sostenere le sue operazioni in città e di colpire bersagli di primaria importanza. Già in passato la capitale era stata oggetto di attacchi: bersagli primari sono stati sciiti, sikh, la scuola frequentata da sciiti Syed al-Shohada (mai rivendicato da ISKP ma sicuramente attacco organizzato dal gruppo), Sufi seguaci di Pir Saifurrehman, la Green Zone. A Kabul, ISKP dispone di un network di salafiti che tollerano le azioni compiute o se non altro non le condannano interamente; questo porta molti giovani salafiti a unirsi ad ISKP convinti della giustezza delle loro azioni. Molti sono giovani provenienti dalla classe media, educati, hanno frequentano la Kabul University e sono altamente radicalizzati; altri provengono dalle fila di gruppi Islamisti non violenti come Hizbut Tahrir e Jamiat-e Eslah o Hizb-e-Islami.  
 
Ancora, ISKP aKabul può contare sull'appoggio di alcuni (pochi) disertori dell'Haqqani Network legato ai talebani, uomini che in passato hanno aiutato i talebani a compiere attacchi a Kabul e che sono passati a ISKP perché contrari alla politica talebana. In ogni caso, il numero di questi disertori è limitato, in quanto l'Haqqani Network è saldamente legato ai Talebani. Tuttavia, gli uomini dell'Haqqani Network sono esperti in guerriglia urbana, sono infiltrati a Kabul, sanno come muoversi e dove colpire, per cui sebbene pochi, possono aiutare a compiere attacchi micidiali» 
 
Tra pochi giorni con gli occidentali fuori dall'Afghanistan lo scontro potrebbe farsi ancora piu' cruento o ISKP potrebbe aver raggiunto il suo primo obbiettivo? 
«In futuro, penso che vedremo sempre più attacchi da parte di ISKP non solo a Kabul ma anche in altre città, come Jalalabad e Herat. ISKP possiede una forte ideologia anti-talebana, e ogni azione conciliante che i Talebani possono assumere, ad esempio, nei confronti delle minoranze, non farà che aumentare la propaganda di ISKP, attirando potenzialmente nuove reclute. In breve, ISKP considera i Talebani non altro che l'ennesimo burattino degli Stati Uniti, non considera l'Emirato Islamico dell'Afghanistan davvero islamico ma uno stato etnico e nazionalista falsamente religioso. Per cui ISKP lancerà contro i Talebani una lotta senza quartiere. E considerando che i Talebani non hanno alcuna esperienza nel campo anti-terrorismo e counter-insurgency, penso che la situazione non farà che peggiorare».  
E noi non possiamo essere che essere d'accordo con lui. 
 
La rappresaglia Usa: “Ucciso pianificatore di attentati dell’Isis-K con un drone” 
Ucciso un “pianificatore” di attentati dell’Isis-K con un drone: prima rappresaglia Usa dopo gli attentati di giovedì all’aeroporto di Kabul. Si tratterebbe di una delle menti dello Stato islamico della provincia afghana del Khorasan. Il raid Usa è stato effettuato nella provincia di Nangarhar, dove ha sede il quartier generale dell’Isis-K. 
 
Ucciso “pianificatore” di attentati dell’Isis-K in un raid con un drone Usa 
Il portavoce del Central Comand Usa, Bill Urban, ha riferito che in un attacco con un drone è stato ucciso un “pianificatore” dell’Isis-K. E ha chiarito che non ci sarebbero state vittime civili. L’identità del terrorista non è stata resa nota. Secondo indiscrezioni, l’uomo progettava futuri attentati ma non sarebbe stato direttamente coinvolto con la strage all’aeroporto di Kabul.  
“Riteniamo che questo terrorista fosse coinvolto nella pianificazione di futuri attacchi a Kabul“, riferisce un funzionario dell’amministrazione citato dai media. L’uomo sarebbe stato sotto osservazione da prima dell’attentato e il personale americano avrebbe atteso che fosse solo prima di lanciare l’attacco con il drone. 
 
Il raid con un Reaper mentre il terrorista era in macchina 
Il Reaper americano, partito da una base in Medio Oriente, lo avrebbe colpito mentre era a bordo di un veicolo assieme a un collaboratore. “Le forze armate americane hanno condotto un’operazione anti terrorismo contro uno degli organizzatori dell’Isis-K. Il raid è avvenuto nella provincia di Nangahar, in Afghanistan. Le indicazioni preliminari segnalano che il target è stato ucciso. Non siamo a conoscenza di vittime civili”, si legge in una nota di Urban. L’ordine di colpire è stato impartito dal ministro della Difesa, Lloyd Austin. Non è chiaro se il raid sia un caso isolato o se sia il primo di una serie in risposta all’attacco a Kabul, durante il quale hanno perso la vita quasi 200 persone di cui 13 militari americani. 
 
Resta alto il rischio di nuovi attentati a Kabul 
Intanto resta alto il rischio di nuovi attentati nella capitale afghana da qui al 31 agosto, deadline per l’evacuazione dei militari Usa imposta dai talebani. La stragrande maggioranza dei Paesi occidentali – Italia inclusa – ha concluso le operazioni e chiuso il ponte aereo con Kabul. Nelle ultime 12 ore sono state evacuate 4.200, riferisce la Casa Bianca sottolineando che dal 14 agosto sono state evacuate 109.200 persone, mentre dalla fine di luglio ne sono state evacuate 114.800. Il Dipartimento di Stato ha riferito di essere in contatto con circa 500 americani in Afghanistan che chiedono assistenza per essere evacuati. 
 
L’ordine di Biden di scovare ed eliminare i terroristi dello Stato islamico 
La risposta americana agli attentati era stata preannunciata dal presidente Joe Biden nella sua prima conferenza dopo i fatti di giovedì: “Vi daremo la caccia e ve la faremo pagare. Difenderò i nostri interessi e la nostra gente con ogni mezzo a mia disposizione”. Biden, in lacrime per i 13 militari Usa uccisi, aveva spiegato di avere ordinato ai vertici militari di “sviluppare piani operativi per colpire obiettivi dell’Isis-K, la leadership e le strutture. Risponderemo con forza e precisione, quando decideremo, in un luogo che individueremo e in una maniera che definiremo”. 
 
Jason Burke e gli errori dell'America in Afghanistan  
Non distingue Al Qaeda da Isis e Talebani  
Jason Burke,corrispondente del Guardian per l'Asia e attualmente per l'Africa, profondo conoscitore del territorio afghano, ha coperto la guerra del 2001 e ha scritto libri sul terrorismo islamico. L’intervista di Katia Cerratti Tweet 27 AGOSTO 2021 Fallimento, errori, finanziamenti spesi male, infrastrutture inesistenti, popolazione allo stremo delle forze. Il tragico precipitare degli eventi in Afghanistan in questi ultimi giorni dopo il ritiro degli Usa, ha radici che affondano nel passato, all’inizio del conflitto, quando gli americani hanno messo in piedi una guerra contro un nemico che forse non conoscevano. Fra gli errori più eclatanti infatti, Jason Burke, per anni corrispondente del Guardian per l’Asia e attualmente per l’Africa, ne individua uno fondamentale e logico che risale alle origini del conflitto e che può spiegare lo sgretolamento di questi giorni:   Sin dall’inizio, nel 2002, quando gli Americani sono arrivati in Afghanistan, è stato subito chiaro che non riuscivano a distinguere tra al-Qaeda che era, ed è, un gruppo internazionale islamico militante principalmente arabo, e i Talebani che invece è un gruppo nazionalista, però afghano, che non ha ambizioni internazionali.  
 
E’ stato questo il vero problema che ha portato al fatto che ora non c’è spazio per negoziati, non c’è spazio per un accordo con i Talebani, e lo sforzo antiterroristico è stato confuso, mescolato con lo sforzo politico e quello per ricostruire il paese in Afghanistan, e questo è successo fin dall’inizio, è stato questo il problema fin dall’ inizio, non ci sono stati insediamenti inclusivi e le risorse sono state distribuite in maniera sbagliata, a pioggia, indiscriminate.   Quale sia oggi il rapporto tra al-Qaeda e i talebani sembra ancora poco chiaro, ciò che è certo è che al Qaeda è già in territorio afghano. Costretta a fuggire dall'Afghanistan dopo la guerra del 2001, vi è tornata lentamente. Non ha più la vasta infrastruttura di 20 anni fa, con i suoi numerosi campi di addestramento e oggi, secondo Burke, i suoi 200-500 combattenti, sono dispersi in gran parte del paese.  
 
Molti provengono da al-Qaeda nell'Asia meridionale, un'affiliata costituita nel 2014 con reclute pakistane, indiane e bengalesi per promuovere gli obiettivi dell'organizzazione nella regione. Altri hanno combattuto a fianco dei talebani, con i quali avrebbero rapporti stretti perché mantenere un'alleanza con il gruppo, secondo Burke, è stata la chiave per la sua sopravvivenza per 25 anni e sarà ancora più importante ora:   La relazione tra al Qaeda e i Talebani oggi è piuttosto complicata. Sicuramente i Talebani non vogliono che al Qaeda gli causi dei problemi in termini di legittimità internazionale, detto questo, ci sono dei legami personali e anche dei legami ideologici, inoltre ci sono altre relazioni che rendono difficile per i talebani la possibilità di marginalizzare al Qaeda anche se volessero farlo. I Talebani si sono evoluti significativamente negli ultimi 20 anni, sanno molto di più di quello che succede nel mondo, i leaders talebani hanno passato molto tempo in paesi del Golfo Persico, a Karachi, altre città o altri paesi della regione, e sanno quali sarebbero i rischi che si prenderebbero se dovessero sostenere al Qaeda, ma magari è anche un rischio che sono disposti a correre. Inoltre, vale la pena sottolineare che i talebani stessi non sono mai stati direttamente collegati a nessun attacco terroristico internazionale e il loro programma, i loro piani, i progetti sono drammaticamente diversi da quelli di al Qaeda.  
 
Va ricordato inoltre che i Talebani sono divisi, sono una coalizione e come in ogni movimento unificato, in ogni coalizione, ci sono diversità  di opinione tra i leader e gli elementi all’interno del movimento, come appunto con i Talebani.   Malgrado le divergenze interne, i talebani hanno avuto tutto il tempo necessario per considerare aspetti nuovi delle relazioni con l’Occidente, mostrando una facciata di pseudomodernità  che li ha portati a Doha sotto nuove spoglie, prontamente scoperte nel momento in cui hanno rispedito a casa le donne negli uffici e hanno mostrato i muscoli nel minacciare ritorsioni se gli Usa non rispetteranno la deadline del 31 agosto per l’evacuazione definitiva dal paese. I cambiamenti sembrerebbero dunque solo apparenti ma ci sono comunque degli aspetti da considerare secondo Burke:   Anche durante il periodo di “regno” se così vogliamo dire, del mullah Omar tra il ’96 e il 2001, c’era una diversità di opinioni all’interno del movimento talebano, soprattutto tra i leader e non erano neanche d’accordo sempre sugli elementi costitutivi del movimento.  
 
Non c’è mai stata una grande omogeneità tra i talebani. E’ vero che erano a maggioranza di etnia pashtun, la maggior parte venivano dal sud est del paese con un  piano, dei progetti ben definiti, ma comunque c’erano diverse fazioni, c’erano questioni legate alle personalità dei diversi leader e in diverse parti del paese arrivavano pressioni  per delle manovre di potere, ad esempio il mullah Omar aveva una linea particolarmente oltranzista, altri invece erano più moderati e volevano il coinvolgimento dell’Onu, delle Organizzazioni non governative della comunità internazionale.  
 
Quello che però abbiamo visto da allora ad oggi è stata una curva di apprendimento che è stata in salita sostanzialmente, con un arricchimento per quanto riguarda la conoscenza della regione, della politica, della diplomazia internazionale, dei negoziati, del modo di fare la guerriglia, tutte cose che i talebani non conoscevano o non prendevano in considerazione 20 o 25 anni fa. Chiaramente questo avrà un effetto significativo in futuro permettendo un approccio più pragmatico o più ideologico.   In un momento in cui l’occidente sembra il nemico meno preoccupante per i talebani, altre realtà potrebbero diventare la spina del fianco del gruppo che ha preso il potere: Salafismo jihadista, Stato islamico che proprio nei giorni scorsi ha rilasciato la sua prima dichiarazione ufficiale sulla questione, accusando i talebani di essere cattivi musulmani e agenti degli Stati Uniti e considerandoli apostati, incapaci di applicare la legge islamica con sufficiente rigore.  In particolare lo Stato Islamico della Provincia del Khorasan, una fazione fondata nel 2015 quando l'Isis ha cercato di estendersi più a est , espansione a cui i talebani si sono opposti fortemente. Negli ultimi mesi l’ISKP ha ripreso forza e, l’UNAMA, la Missione di assistenza delle Nazioni Unite in Afghanistan, ha riferito di ben 77 attacchi da parte di questo gruppo.   
 
Chi sono dunque i veri nemici dei talebani?   I Talebani devono affrontare una serie di sfide. C’è una certa resistenza all’interno del Paese, lo Stato Islamico ha promesso di combattere i talebani, l’Occidente, come sappiamo ha un’opinione molto chiara dei Talebani, altri attori nella regione o comunque vicino all’Afghanistan oppongono le loro idee a quelle dei talebani e al loro modo di governare. Una delle sfide più grandi sarà quella di tenere insieme la coalizione che hanno costruito all’interno dell’Afghanistan se ci dovesse essere una resistenza seria e forte che potrebbe venire da partner disamorati all’interno della coalizione piuttosto che da regioni come il Panshir o altre minoranze o addirittura attori terzi esterni all’Afghanistan.  
 
Dovremmo stare a vedere cosa succederà  perché al momento c’è una grande incertezza, è difficile dire quale sarà  la più grande sfida e la più grande minaccia per i talebani.      
 
Tra gli attori responsabili della situazione attuale in Afghanistan, emerge un Pakistan che nel corso degli anni si è dimostrato doppiogiochista e porto sicuro per i talebani.   Fin dalle prime fasi di questo conflitto, di questa situazione, il Pakistan ha preso una decisione strategica: ovvero, si aspettavano che gli Stati Uniti avrebbero lasciato l’Afghanistan come hanno fatto i russi anni prima e questo avrebbe dato loro, al Pakistan, la possibilità di guadagnare spazio di manovra, margine di manovra quindi, pubblicamente sostenevano gli Stati Uniti ma privatamente sostenevano anche i talebani e gli hanno offerto un sostegno significativo negli ultimi 20 anni.  
 
L’elemento più importante è quello di fornire un rifugio per i ribelli, tutti i ribelli hanno bisogno di un rifugio sicuro perché se non c’èun posto dove rifugiarsi, dove riposare, dove recuperare, dove raggrupparsi e riorganizzare le idee è molto difficile gestire una ribellione, portare avanti una ribellione e credo che senza la possibilità di attraversare il confine e trovare rifugio in Pakistan i talebani non sarebbero durati così a lungo e non avrebbero avuto questo successo.  
28 Agosto  2021