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Fondato e diretto, nel 2003, da Ninni Raimondi
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“Tre piani” di Nanni Moretti 
di Ninni Raimondi
 
“Tre piani” di Nanni Moretti. Ecco perché l’anziano radical chic ha girato il suo film più brutto e falso 
 
Tutti parlano del fatto che Tre piani, il nuovo (e speriamo ultimo) film di Nanni Moretti, sia brutto. Ma noi oggi vogliamo approfondire quanto e perché sia così brutto, da aver deluso i fan morettiani, i critici impegnati e lasciato costernati sui lussuosi divani i radical chic che tanto lo attendevano. Pubblicizzato a suon di “11 minuti di applausi a Cannes” (che avranno ridestato dal sonno profondo di certo non pochi spettatori), il film del regista di Caro Diario e Palombella Rossa, che tanto ci ha divertiti con i suoi primi lavori così come annoiati con gli ultimi, è fatto molto male. L’unica spiegazione dunque è che il suo autore, a dispetto del vino buono, è invecchiato male. 
 
Tre piani è un film brutto e fatto male 
Eppure gli elementi per farne una buona pellicola c’erano tutti, ed erano tutti molto morettiani: il plot tratto dall’omonimo romanzo dell’israeliano Eshkol Nevo, il quartiere Prati di Roma, la borghesia e i suoi piccoli e grandi drammi. Una storia che trasposta bene sullo schermo avrebbe funzionato, nonostante un cast non tutto azzeccato. A tal proposito vi sveliamo subito un fatto inaudito: vi ricordate quanto Nanni Moretti ci ha fatto sorridere con le sue scenette isteriche, le sue battutine straniate e stranianti? Come dimenticare lui che parla alle piante e poi deluso butta di sotto il vaso? In quei film funzionava. Erano i suoi film, se li girava e se li recitava. Raccontava il suo mondo da intellettuale di sinistra e andava alla grande: Bianca, La messa è finita, Ecce bombo sono opere notevoli. Ebbene, in Tre piani Nanni Moretti non sa recitare. A tratti è davvero imbarazzante. Dimostra insomma che tolta l’ironia (assente in tutto il film), eliminati gli ingredienti che componevano i suoi personaggi, restando dunque solo l’attore – in un ruolo drammaticissimo, peraltro – Nanni Moretti non è un attore. 
 
I morettiani delusi dicono che questo sia il suo peggior film: siamo d’accordo 
I morettiani delusi dicono che questo sia il suo peggior film: siamo d’accordo. Ma per una serie di elementi che vanno oltre il classico passo falso del regista tanto amato. Insomma, è tosta non sbagliare neanche un film. A meno che non sei che so – senza scomodare Kubrick e i mostri sacri e restando in Italia – Sergio Leone. Il film è mal riuscito non per alcuni attori non proprio all’altezza, né per il ritmo inesistente o la totale assenza di pathos anche nelle scene in cui dovrebbe esserci (spesso per colpa del Moretti attore). La pellicola fallisce nel tentativo di essere uno spaccato di realtà, la fotografia presente della borghesia romana di piazza Mazzini e dintorni (anche perché è stato girato prima della pandemia). Niente è credibile, persino le scenografie, reali – gli esterni girati nella Capitale – sembrano posticce. Perché l’impianto dell’opera è a tesi: un padre-padrone, marito che soffoca la moglie, inflessibile rispetto alle colpe del figlio; un padre preoccupato per la figlioletta possibile vittima di abusi sessuali di un vecchio che però si scopa una minorenne; una madre malata di mente con una bimba piccola, il marito lontano e la madre pazza rinchiusa. Tre famiglie, tre piani, tre storie che si intrecciano – più o meno – e che dovrebbero essere la chiave di lettura di questo microcosmo della borghesia in Prati. Un microcosmo che nonostante tutto è meno peggio degli italiani “normali”, del popoletto insomma. 
 
Mancano troppi elementi della realtà per essere credibile 
Ma invece non è così: la fotografia non è reale. A partire dal giudice che non usa le sue conoscenze per parare il culo al figlio, come accade regolarmente. Invece nel film è moralmente irreprensibile rispetto a tanti italiani che se ne fregano della legge. Non ci stanno i ragazzini appiccati al cellulare, non ci stanno le ragazzine sui social. E lo sappiamo che queste realtà sono trasversali e non è che i rampolli della Roma bene ne sono esenti, solo perché hanno i salotti pieni di libri. Non ci sta l’immondizia nelle strade. E a Prati c’è, eccome. Non c’è caos, caciara. Ma è tutto ordinato, pulito, silenzioso. Ma dove? Nella palazzina nella testa di Moretti, forse. Non in quella reale tra piazza Mazzini e il Lungotevere. Una Roma vista con gli occhi di un radical chic anziano, che non legge più la realtà, così tanto fuori dal mondo da non saper raccontare neanche più il suo. 
 
Nanni Moretti giudice (incapace) della realtà 
Nanni Moretti nel film è un giudice, inflessibile persino con il figlio che rischia la galera. Ma il suo giudizio sulla realtà è errato oltre che – va da sé – fazioso. Ad un certo punto – facciamo solo questo esempio per non annoiarvi – mentre la Buy (stavolta miracolosamente non isterica né troppo depressa) sta donando abiti e scarpe in un centro raccolta con vari immigrati presenti succede una cosa non credibile. Italiani arrabbiati contro gli “invasori” distruggono a sassate i vetri delle finestre e tutti scappano terrorizzati. 
 
Gli italiani “normali” sono cattivi in modo assurdo 
Allora, sì, è vero: ci sono italiani che fanno manifestazioni contro gli immigrati. Sì, è vero ci sono italiani che se la prendono anche con violenza con quegli immigrati che forse contribuiscono ad alzare la tensione degradando il quartiere (di periferia). Non è questo il punto. Il punto è che italiani che se la prendono con un centro in stile Caritas dove la gente dona i vestiti ai poveri non si sono mai visti. Nella realtà non esistono italiani così cattivi, altrimenti i giornaloni mainstream ne parlerebbero. Quindi, tu Nanni Moretti che vuoi dare uno spaccato di emergenza sociale accusando gli italiani non accoglienti e non immigrazionisti – che non hanno a casa sette otto africani sorridenti che mangiano a tavola con te (altra scena assurda) -, mostrandoli come dei violenti senza cuore, gira però una scena credibile. Non l’ennesimo quadretto fuori dal mondo. Dove peraltro manca la regia corale degli attori, tutti comparse casuali e spaesate nella storia. 
 
Senza neanche la scusa che il film è una metafora di qualcos’altro. Non c’è alcuna seconda lettura, invece. E l’unica presente e presentata allo spettatore è fuori fuoco. A meno che non si tratti di un film di fantascienza. Durata: due ore. Percepite: quattro. 
 
30 Settembre  2021