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Fondato e diretto, nel 2003, da Ninni Raimondi
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E se decidessimo di non votare mai più? 
di Ninni Raimondi
 
E se decidessimo di non votare mai più? Paolo Mieli e la democrazia come optional 
 
“E se decidessimo di non votare mai più?“: lo scrive Paolo Mieli sul Corriere della Sera, con un plurale maiestatis riferito addirittura all’Italia. A leggere Mieli, ci sarebbe “un’Italia che in modo ogni giorno più esplicito auspica un futuro post elezioni politiche con assetti più o meno simili a quello attuale“. Sta parlando ovviamente del governo Draghi, ma con una “piccola” differenza: servirebbe una maggioranza senza la Lega. Così il giornalista, saggista e opinionista rispolvera la maggioranza “Ursula”, filo-Ue, moderata. Quello che preoccupa molti, sostiene Mieli, è che se si votasse e vincesse il centrodestra l’Italia finirebbe nel caos. Allora tanto vale non votare, no? Tanto mica siamo una democrazia… Oppure votare ma secondo le condizioni poste dall’ex direttore del Corriere. 
 
Paolo Mieli: “E se decidessimo di non votare mai più? Mario Draghi dovrebbe restare a Palazzo Chigi per il resto dei suoi giorni” 
“Mario Draghi dovrebbe restare a Palazzo Chigi per il resto dei suoi giorni“, scrive Mieli. Insomma, basta politica: teniamoci un tecnocrate pappa e ciccia con Bruxelles e con Washington per salvare il Paese. E a sostenerlo basterebbe il centrosinistra con l’aggiunta di Forza Italia. Se proprio si dovesse tornare a votare, Mieli suggerisce il sistema proporzionale. In modo che nessuno dei due schieramenti otterrebbe la maggioranza e i partititi di centro farebbero la differenza. Condizione ottimale per ridare vita a “Ursula”, appunto. Ossia quei partiti che nel luglio del 2019 votarono per la von der Leyen alla presidenza della Commissione europea. Senza Lega al governo si otterrebbe la stabilità necessaria per attraversare un quinquennio delicato, sostiene Mieli. 
 
Ecco come le elezioni sarebbero una pura formalità (come la democrazia) 
Con Draghi premier “a vita”, le elezioni sarebbero una pura formalità. L’ex direttore del Corriere lo dice candidamente: “La consultazione servirebbe solo a ridefinire le quote ministeriali dei partiti di maggioranza. Per il resto tutto resterebbe com’è stato deciso prima del voto. Anzi, come è adesso”. La maggioranza Ursula sarebbe un “Ulivo super allargato” a Forza Italia, spiega (alimentando il grande sogno di Enrico Letta). Il voto dunque sarebbe un passaggio obbligato – siamo comunque una Repubblica parlamentare – ma Draghi non dovrebbe candidarsi. Il popolo non lo voterebbe, dunque. Però – è convinto Mieli – lo vorrebbe ancora a Palazzo Chigi. In ogni caso, è la chiosa: “Sarebbe consigliabile una certa prudenza prima di avviarci lungo la via del coinvolgimento del corpo elettorale solo per chiedergli di confermare lo stato di cose esistente”. 
 
Ma il ragionamento di Mieli non tiene conto di almeno due fattori 
Insomma, se dipendesse da Mieli, votare è sconsigliato ma se proprio si dovesse concedere questo lusso agli elettori, servirebbe una legge elettorale su misura (che poi verrà puntualmente cambiata alla bisogna).  
Obiettivo: mandare al governo l’Ulivo allargato a sostenere Draghi dalla fine di questa legislatura allo scadere della prossima.  
 
Un ragionamento di esercizio di potere, che bypassa la volontà popolare, di fatto.  
Niente di diverso da quello che è successo finora, con Draghi piazzato là a Palazzo Chigi da Mattarella.  
Con la differenza che – e qui casca l’asino – il ragionamento di Mieli non tiene conto del fatto che non è del tutto escluso che Draghi non voglia andare al Quirinale.  
 
A quel punto, il castello di carta crollerebbe: non abbiamo un equivalente dell’ex numero uno della Bce da piazzare a capo del governo per tenere tutti buoni.  
Certo, fa specie che in tutto questo Mieli non abbia minimamente tenuto conto degli elettori di centrodestra.  
Come se fossero (già) una sparuta minoranza rispetto a chi vota Pd, M5S (in realtà in caduta libera), sinistra e centristi vari. 
 
22 ottobre  2021