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Bossetti, quel video del furgone era solo show mediatico 
di Ninni Raimondi
 
Bossetti, quel video del furgone era solo show mediatico. Parola di Gip 
 
Per il Tribunale di Milano il video che incastrava Massimo Bossetti era lesivo del diritto alla presunzione di innocenza: archiviato il procedimento penale per diffamazione a carico di sedici giornalisti, tra cui Luca Telese, che definì il filmato come "tarocco" 
 
Non solo non costituisce reato di diffamazione dire che il video dei Carabinieri col furgone bianco di Massimo Bossetti, che continuava a girare intorno alla palestra di Yara Gambirasio il giorno della scomparsa della 13enne, «è un falso. Un filmino tarocco», una «patacca». Ma soprattutto quel video ha leso il diritto alla presunzione di innocenza dell’allora indagato muratore di Mapello, poi condannato all’ergastolo per quella tragica morte. Lo ha deciso il gip del Tribunale di Milano Fabrizio Filice che ha archiviato, come chiesto dal pm, un procedimento penale per diffamazione a carico di ben sedici giornalisti, tra cui Luca Telese, Maurizio Belpietro, Palo Liguori, Giovanni Minoli, Nicola Porro, Alessandro Barbano, Peter Gomez, Alessandro Sallusti. 
La decisione potrebbe quasi essere considerata come una sentenza ante litteram del nuovo corso del rapporto tra forze dell’ordine, procure e media che si apre oggi, avendo il nostro Paese finalmente recepito la direttiva europea sulla presunzione di innocenza. 
 
Caso Bossetti, i fatti 
Per capire bene il senso della decisione ripercorriamo brevemente i fatti. Il primo novembre 2015  Luca Telese firma su Libero un articolo dal titolo «I video del furgone di Bossetti sono adattati per la stampa», riportando quanto avvenuto in aula tra il difensore di Bossetti, Claudio Salvagni, e il comandante  dei Ris di Parma Giampietro Lago. Quest’ultimo ammise che il video dato in pasto alla stampa nel corso delle indagini era stato «concordato con la procura a fronte di pressanti e numerose richieste di chiarimenti» e realizzato «per esigenze di comunicazione. È stato dato alla stampa». 
 
Telese, avendo già in precedenza studiato bene il video, nel suo articolo scrisse «che quel documento è stato confezionato dai Ris e diffuso ai media, ma incredibilmente non compare nel fascicolo processuale. E subito dopo ho scoperto un secondo elemento che non so come definire altrimenti: questo filmato, immaginifico e decisivo, è un falso. Un filmino tarocco». In pratica emerse che quel video era il realtà un montaggio di un frame del furgone di Bossetti con molti altri di diversa provenienza, usato solo a scopo mediatico per creare, prima del processo, il mostro da prima pagina, privo di qualsiasi rilevanza probatoria, tanto è vero che non fu inserito nel fascicolo. 
 
All’articolo di Telese ne seguirono altri, insieme a trasmissioni televisive. Persino Cesare Giuzzi, allora presidente del Gruppo Cronisti Lombardi, scrisse una dura lettera al Procuratore di Bergamo chiedendo conto del perché era stato «consegnato dagli inquirenti del materiale presentato in una certa maniera e poi, in pratica, disconosciuto da quegli stessi inquirenti in aula». Da lì la querela per diffamazione contro ben sedici giornalisti da parte del colonnello Lago. 
 
Gli articoli, scrive il gip, «trattavano con piglio fortemente critico, proprio il tema dell’affidabilità di tali modalità e verifiche, a cominciare dall’articolo in oggetto che ha definito il video ‘taroccato’: espressione poi ripresa dai successivi con sinonimi ed espressioni egualmente allusive, come ‘patacca’ e simili, nonché con toni di espressa riprovazione delle tecniche di formazione dello stesso e dei conseguenti limiti di affidabilità del suo contenuto». 
«È quindi chiaro – conclude l’ordinanza –  che la cronaca e la critica giornalistica, nel caso di specie, non solo si sono inserite su un fatto obiettivo, di indubbio interesse pubblicistico e certamente non frutto di loro invenzione o di artefatto, ma siano state anche mosse dal fondamentale principio della presunzione di innocenza dell’imputato che, in base alla direttiva UE n. 343 del 2016, oggetto di recente recepimento da parte dell’Italia, deve proteggere le persone indagate o imputate in procedimenti penali da sovraesposizioni mediatiche deliberatamente volte a presentarli all’opinione pubblica come colpevoli prima dell’accertamento processuale definitivo». 
 
Il “bazooka” di Pignatone 
Molto probabilmente se la direttiva europea fosse stata recepita già allora non sarebbe mai successo questo oppure procura e carabinieri sarebbero stati sanzionati.  «Questa vicenda – ci dice Luca Telese –  finalmente dopo anni si chiude. Esiste un grande problema che il ‘caso Lago’ pone a chi fa questo mestiere: il ‘processo mediatico’, costruito cioè con prove mediatiche che non sono vagliate da nessuno, cerca di prefigurare l’esito del processo penale». 
 
La vicenda di Bossetti ricorda lontanamente il mistero del bazooka piazzato davanti alla Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria nel lontano 2010 per minacciare l’allora procuratore Giuseppe Pignatone. I giornalisti presenti in conferenza stampa si chiesero se quello mostrato dagli inquirenti fosse o meno il bazooka realmente trovato. Dopo un po’ la Questura ammise: «Il bazooka mostrato martedì scorso ai giornalisti non era quello trovato dopo la telefonata di minacce al Procuratore della Repubblica, ma uno identico. Quello trovato davanti la sede della Procura antimafia era in quel momento sottoposto ai rilievi della polizia scientifica». Da oggi, forse, tutte queste fiction made in Procura non saranno più ammesse. 
6 Novembre  2021