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Fondato e diretto, nel 2003, da Ninni Raimondi
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Lo zibaldone di oggi 
di Ninni Raimondi
 
Lo zibaldone di oggi 
 
 
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Mattarella dice no al bis. Partiti in crisi: Draghi non deve andare al Quirinale 
“Anche Leone chiese la non rieleggibilità del presidente“: così Sergio Mattarella mette una pietra tombale sull’ipotesi di un secondo mandato al Quirinale. Mentre impazza il toto nomi e prende sempre più piede lo scenario di un Mattarella bis per confermare il tandem con Draghi a Palazzo Chigi (e scongiurare il voto anticipato), il diretto interessato declina cortesemente ma decisamente l’invito. 
 
Mattarella cita Leone: niente bis al Quirinale 
Ieri, ricordando la figura di Giovanni Leone, il capo dello Stato ha citato il messaggio che il predecessore inviò al Parlamento il 15 ottobre 1975, “che venne ritenuto da giuristi autorevoli studiosi di grande livello uno dei massimi documenti sulla questione delle riforme istituzionali. Tra gli altri temi trattati (bicameralismo, Cnel, pubblica amministrazione, Mezzogiorno, lo sciopero nei pubblici servizi), Leone ripropose la sollecitazione (già sottolineata dal presidente Segni), di introdurre la non rieleggibilità del presidente della Repubblica, con la conseguente eliminazione del semestre bianco“. In quello stesso messaggio, Leone ricordava che da presidente del Consiglio, nel 1963, si era fatto promotore di un disegno di legge che recepisse l’auspicio espresso da Segni. Quello stesso messaggio citato sempre da Mattarella il 2 febbraio scorso, nel pieno della crisi del Cont bis. 
 
L’attuale capo dello Stato è per la non rieleggibilità del Presidente 
“Fu anche l’occasione – ha affermato Mattarella in riferimento a quei fatti – per esprimere la convinzione che fosse opportuno introdurre in Costituzione il principio della ‘non immediata rieleggibilità’ del presidente della Repubblica. In quell’occasione Segni definiva ‘il periodo di sette anni sufficiente a garantire una continuità nell’azione dello Stato’. Inoltre – ha sottolineato – ‘la proposta modificazione vale anche ad eliminare qualunque, sia pure ingiusto, sospetto che qualche atto del capo dello Stato sia compiuto al fine di favorirne la rielezione'”. “Di qui l’affermazione che ‘una volta disposta la non rieleggibilità del Presidente, si potrà anche abrogare la disposizione dell’articolo 88 comma 2 della Costituzione, che toglie al Presidente il potere di sciogliere il Parlamento negli ultimi mesi del suo mandato‘”. 
 
Dopo il caso Napolitano, Mattarella non vuole avallare una possibile prassi a fare il bis 
Da democristiano doc, Mattarella in questi ultimi tempi ha dato chiare indicazioni sul fatto che non intende restare al Colle più del dovuto. Anche perché dopo il caso del Napolitano bis, l’attuale capo dello Stato non vuole avallare quella che potrebbe diventare una prassi. “Quello che inizia – ha sottolineato nel messaggio di fine 2020 – sarà il mio ultimo anno come presidente della Repubblica. Coinciderà con il primo anno da dedicare alla ripresa della vita economica e sociale del nostro Paese. La ripartenza sarà al centro di quest’ultimo tratto del mio mandato. Sarà un anno di lavoro intenso”. “Quest’anno, anche perché è l’ultimo del mio mandato, non potevo e non volevo” fare a meno di questo incontro, ha affermato poi il 29 marzo scorso. Idem al Dantedì al Quirinale, quando aveva risposto “c’è un tempo per ogni cosa” al solito Roberto Benigni che gli diceva: “Presidente a me dispiace che stia per finire il suo mandato e che lei vada via”. 
 
Ha già firmato per un appartamento dove trasferirsi a febbraio 
Fino ad arrivare al 19 maggio scorso, in occasione di un incontro con una scolaresca romana. “L’attività” del presidente della Repubblica “è impegnativa, ma tra otto mesi il mio incarico termina, io sono vecchio, tra qualche mese potrò riposarmi”. Mentre il giorno prima, intervenendo all’Università di Brescia, aveva accennato incidentalmente agli “ultimi mesi della mia presidenza”. Il riferimento di ieri alle parole di Leone sembra dunque chiudere definitivamente la questione. Almeno dal punto di vista di Mattarella. A riprova del fatto che il capo dello Stato non ne vuole sapere è la firma del contratto di locazione per un appartamento, situato a Roma tra i quartieri Parioli e Salario Trieste. E’ lì che trasferirà la residenza una volta terminato il mandato al Quirinale il prossimo 3 febbraio. A rivelare la notizia L’Espresso online.  
 
Il no al bis è un problema per i partiti, che ora non sanno su chi puntare 
Lo stop al Mattarella bis è un bel problema per chi confidava nel tandem con Draghi a Palazzo Chigi fino a fine legislatura. Certo, se si dovesse mettere male, dopo tot votazioni a vuoto, i partiti potrebbero salire al Colle a chiedere in coro il bis. A quel punto Mattarella avrebbe non poche difficoltà a declinare nuovamente l’invito. Ma la sua posizione, chiara e forte, sul mandato unico del Presidente è un dato di fatto. I partiti ne devono tenere conto e provare a proporre un nome alternativo. La difficoltà oggettiva riguarda soprattutto il Pd, che deve necessariamente proporre un candidato gradito al M5S, alleato-accollo. In declino nel Paese ma partito di maggioranza relativa in Parlamento. Il centrodestra a questo punto molto probabilmente punterà su Berlusconi (il quale un po’ ci spera, visto che ha detto che Draghi deve restare a Palazzo Chigi). 
 
Draghi deve restare a Palazzo Chigi (e scongiurare il voto anticipato) 
Draghi al Quirinale – sebbene in effetti possa essere proprio questo l’obiettivo dell’attuale premier, che in merito tace – è uno scenario che terrorizza i partiti, perché aprirebbe alla possibilità del voto anticipato. Scenario che allo stato attuale non vuole nessuno dei partiti di maggioranza, neanche il Pd – ringalluzzito dopo la vittoria alle amministrative. 
 
 
 
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Bassetti peggio di Speranza: “Serve un super green pass” 
C’era una volta il Matteo Bassetti aperturista. Ora è diventato più realista del re e lancia addirittura l’ideona del “super green pass” all’italiana. Visto mai che qualcuno torni ad accusarlo di non essere abbastanza ortodosso sulle restrizioni. 
 
Così Bassetti invoca il super green pass 
“Per andare al cinema, teatro, stadio, palestra, bisogna essere vaccinato o guarito. Le altre attività si possono prendere con un green pass normale: prendere un aereo, un treno, andare a lavorare”, ha detto a Tagadà, su La7, il direttore della clinica di malattie infettive del Policlinico San Martino di Genova. “Sono convinto che questo spingerebbe moltissimo la vaccinazione, per recuperare quel 4-5% che ci manca per arrivare ad un’immunità di sicurezza”. 
Questo perché, secondo Bassetti, “mentre austriaci e tedeschi hanno introdotto” una sorta di super green pass, “noi aspettiamo. Cosa aspettiamo, di vedere gli ospedali pieni?”. In realtà, tanto per essere puntigliosi, i tedeschi non hanno ancora introdotto il green pass per lavorare. L’estensione del certificato verde, ovvero il super green pass evocato da Bassetti, in Germania è dunque – almeno per ora – relativa ai luoghi pubblici. 
 
C’era una volta un aperturista 
Ma c’era una volta pure il Bassetti fortemente critico sulle mascherine all’aperto. “L’uso delle mascherine ha senso solo in luoghi confinati – disse a ottobre 2020, criticando le misure dell’allora governo giallofucsia- laddove non sia possibile avere certezza e garanzia del necessario distanziamento fisico oppure all’aria aperta quando non si riesca a mantenere il distanziamento fisico. Ho provato a cercare evidenze scientifiche sull’uso della mascherina all’aria aperta e dei potenziali benefici sulla trasmissione del virus, ma non ne ho trovate”. 
 
Oggi invece commenta così la stretta del governo sulle proteste no green pass: “Le manifestazioni senza nessun tipo di controllo, senza mascherina o distanziamento non sono il massimo in un momento di alta circolazione del virus”. E ancora: “Il problema è manifestare in sicurezza: un concerto viene organizzato con il green pass, se si vuole fare una manifestazione si seguono le stesse regole”, aggiunge. “Guardate Trieste, la situazione è peggio rispetto a quella di marzo 2020 se si pensa agli ospedali. E’ un dato talmente evidente, per non considerarlo bisogna proprio non volerlo vedere”. 
 
 
 
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Vaccini, Pregliasco al top: “La terza dose sarà l’ultima, ma forse no” 
Fabrizio Pregliasco parla di terza dose ma anche di pessimismo per l’immunizzazione a vita. Insomma, un top del cerchiobottismo e della contraddizione sanitaria, espresso in un’intervista ad Adnkronos. 
 
Pregliasco: “Terza dose ultima, ma sono pessimista” 
Così si esprime Pregliasco sulla terza dose: “Secondo me con la terza dose si chiude il giro della vaccinazione anti-Covid universale, poi ci sarà una strategia vaccinale simile a quella dell’influenza, con la necessità di un richiamo annuale solo per alcune categorie più fragili”. 
Il che condurrebbe al naturale pensiero che il vaccino – a questo punto – immunizzi o comunque non renda necessarie ulteriori inoculazioni, come pensa chi, sempre all’Adnkronos, gli chiede se esso ci proteggerà a vita. La risposta di Pregliasco è: “Questo lo scopriremo solo vivendo. Ma sono un po’ pessimista perché, dei malati di coronavirus Sars-CoV-2 della prima ondata, già qualcuno si reinfetta. Coronavirus ‘cugini’, gli altri 5 che conosciamo e che sono parte delle forme simi-influenzali, non danno protezione su lungo periodo e quindi ci si reinfetta. Però l’elemento di tenuta dell’obiettivo principale, che è soprattutto l’evitamento dei casi gravi, sembra che sia confermato. Una capacità – conclude Pregliasco – che può prolungarsi nel tempo”. 
Ma se per Pregliasco la terza dose “sarà l’ultima” e le altre saranno somministrate soltanto ai fragili, allora perché sull’immunizzazione “definitiva” “l’esperto” (come lo definisce l’agenzia di stampa) è “pessimista”? 
 
“Richiamo solo dopo almeno sei mesi” 
Nel resto dell’intervista, Pregliasco ricorda che “non sono tanti quelli che hanno fatto il vaccino già da 6 mesi, quindi è una progressione e un annuncio rispetto a una necessità di rinforzo che credo sia opportuna, alla luce del colpo di coda del virus che ormai ci aspettiamo”, riferendosi alla fascia 40 – 60 anni. Poi aggiunge: “In ogni caso si dovranno aspettare i 6 mesi dalla seconda dose. Farla prima non ha senso. I dati ci dicono che una terza dose fatta a distanza di tempo rende questo simile ad altri vaccini” perché è necessario un ciclo “dove c’è una prima immunizzazione e poi c’è invece il booster in senso stretto”. 
 
 
 
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Uno studio di Harvard boccia la Dad: “Non fa diminuire i contagi” 
In Giappone l’introduzione della Dad (didattica a distanza) non ha ridotto significativamente il contagio di coronavirus. E’ quanto conclude un team di ricercatori delle Universita` di Harvard, di Gakushin e di Shizuokadi in uno studio pubblicato su Nature Medicine a fine ottobre e ripreso da La Verità. 
«Non troviamo prove che la chiusura delle scuole in Giappone abbia causato una significativa riduzione del numero di casi di coronavirus», hanno stabilito gli studioso dopo aver messo a confronto i dati pandemici dei Comuni giapponesi che durante la prima ondata del 2020 avevano interrotto le lezioni in presenza, con altri che avevano consentito agli alunni dai sei ai 15 anni di rimanere in classe. Sì, perché in Giappone l’eventuale chiusura delle scuole elementari e medie e la messa in Dad degli studenti non viene decisa unilateralmente dal ministero dell’Istruzione, ma dalle amministrazioni comunali. 
 
Dad, uno studio di Harvard la affossa: non fa diminuire i contagi 
I ricercatori nipponici e americani hanno quindi passato al setaccio 847 piccoli centri delle aree metropolitane di Tokyo e Osaka, in 25 delle 47 prefetture del Giappone. Scopo dello studio, osservare se dal 26 febbraio al 1° giugno 2020 i benefici, in termini di calo dei contagi, della sospensione scolastica in presenza superassero il prezzo pagato dagli alunni in termini di perdita di apprendimento, peggioramento della salute fisica e mentale, e incremento delle situazioni di disfunzionalità famigliare. 
Ebbene, dopo avere incrociato una pletora di dati e variabili gli scienziati non hanno riscontrato differenze nel numero di casi di Covid per 100.000 tra i due gruppi di Comuni — quelli con le scuole in Dad e quelli con le scuole aperte. Gli istituti chiusi tra il 4 marzo e il 1 giugno 2020 «non hanno ridotto significativamente la diffusione di Covid-19 in Giappone». Non solo, «Comuni che hanno chiuso le loro scuole hanno per lo piu` aumentato il numero di casi». 
 
Una misura inutile 
I ricercatori osservano che «la chiusura delle scuole e` uno degli interventi non farmaceutici piu` frequenti», specificando che ad aprile 2020, «173 Paesi avevano interrotto la didattica in presenza, colpendo l’84,3% degli studenti iscritti nel mondo». Proprio alla luce di questi risultati invitano a prendere in considerazione altre politiche e altre misure «date le potenziali conseguenze negative per bambini e genitori». «La scuola rappresenta solo una piccola parte del contatto sociale», osserva l’autore di un altro studio analogo che ha portato i medesimi risultato, Qingpeng Zhang della School of data science della City University. «E` piu` probabile che le perso- ne vengano esposte ai virus nelle strutture pubbliche, co- me ristoranti e centri com- merciali». 
 
 
 
 
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Diabolik, i 60 anni di uno dei più popolari fumetti italiani 
Diabolik, il celebre fumetto italiano, compirà 60 anni nel 2022, come riferisce anche l’Ansa. E il mondo editoriale si appresta alle celebrazioni. 
 
Diabolik, 60 anni fa il primo albo 
Diabolik e i suoi 60 anni, dal momento che il celebre personagio nasce nel 1962, dall’idea di Angela e Luciana Giussani, e diviene protagonista dell’albo omonimo. Un successo che in pochi anni fa diventare il criminale fumettistico un fenomeno di costume, studiato perfino da sociologi ed esperti di comunicazione. Ma Diabolik è importante anche per un altro elemento: il suo contributo all’affermazione del genere “fumetto nero” in Italia, del quale viene considerato una sorta di apripista. Lo dicono, d’altronde, i numeri: la serie, dal suo esordio, ha infatti venduto 150 milioni di copie. 
 
Un calendario di mostre, eventi e un film in lavorazione 
Diabolik e i suoi 60 anni verranno celebrati attraverso un fitto calendario di iniziative editoriali, mostre e un film attualmente in lavorazione. Al Cartoomics/Milan Games Week, dal 12 al 14 novembre, si terrà l’esposizione Diabolik – 900 albi 1962-2022, ovvero una rassegna di tutti gli albi pubblicati dal 1962 fino ad oggi, incluse le anteprime per quelli che verranno rilasciati fino all’anno prossimo. Scontata la presenza del “numero uno” della serie. 
 
Ma non è tutto.  
Al Cartoomics verrà anche presentato il Kalendario 2022, mentre a dicembre Nemici, sempre: il sesto Magnum, che si focalizzerà sulla lotta tra l’antieroe italiano e Ginko, e di due volumi Mondadori dedicati. Quanto al film, girato dai Manetti Bros, avrà un cast composto da Luca Marinelli, Valerio Mastandrea e Miriam Leone, e si focalizzerà sul primo incontro tra il ladro ed Eva Kant, risalente al terzo albo della serie. È la seconda trasposizione su pellicola di Diabolik, dopo l’omonimo del 1968 di Mario Bava. Il film uscirà il 16 dicembre 2021. 
 
 
 
 
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Largo all’avanguardia: Playboy e la copertina con un “coniglietto” gay 
Playboy si allinea ai nuovi … gusti, del pubblico e mette online la prima copertina con un uomo gay a fare da “coniglietto”. 
 
Playboy e il primo “coniglietto” gay 
E’ il beauty influencer Bretman Rock, di origini filippine, che ha appena 23 anni ma già da tempo è una star da milioni di follower su Vine e YouTube. Bretman è il primo uomo gay a posare come “coniglietto” per la rivista inventata da Hugh Hefner. “Che Playboy abbia un uomo in copertina è qualcosa di significativo anche per la comunità LGBT, per la mia comunità… ed è anche qualcosa di surreale”, ha scritto il modello sulla propria pagina Instagram da 18 milioni di follower. 
 
Ma non è il primo uomo in copertina 
Dopo la morte del fondatore Hugh Hefner nel 2017, Playboy si è dovuto adattare ai nuovi trend, e si è ormai definitivamente “convertito” (almeno la versione digitale) al dettame gender fluid, ad una ipotetica “nuova sessualità”. D’altronde, la competizione con i colossi del porno online è così devastante che si prova di tutto per rimanere rilevanti. C’è da dire, tuttavi,a che se Bretman è il primo uomo gay a comparire in copertina, non è il primo uomo in generale: già lo scorso luglio la copertina era stata del rapper Bad Bunny (sebbene a voler essere pignoli il primo “coniglietto” in assoluto fu proprio Hefner). Ormai da marzo, Playboy non esce più nel formato cartaceo, ma solo in versione digitale. 
 
 
 
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Selfie mortali, è strage di influencer. Perdere la vita per un pugno di like 
Morire per un selfie in una situazione estrema, per poter pubblicare «l’autoscatto perfetto» e arraffare qualche «like» in più: a partire dal 2008 sono 379 le persone morte — quasi tutti giovani e giovanissimi in cerca di gloria social — mentre si scattavano una foto con l’intenzione di postarla su piattaforme come Instagram o Facebook. 
 
Morti per selfie, è una strage  
Lo rivela uno studio spagnolo della iO Foundation, di prossima pubblicazione sul Journal of Travel Medicine. Secondo la ricerca sono almeno 379 le morti accidentali, avvenute tra il gennaio del 2008 e il luglio del 2021, degli utenti social che tentavano di immortalarsi in ambienti estremi in ogni parte del mondo. Il picco delle morti da selfie — non se ne stupisce nessuno — è avvenuto nel 2021, con 31 decessi. Secondo la ricerca la maggior parte delle morti è dovuta a cadute: seguono gli incidenti stradali, quelli ferroviari e gli annegamenti. Fanno da fanalino di coda i decessi dovuti ad un uso improprio di armi da fuoco, elettrocuzioni, e ad attacchi di animali selvatici 
 
L’India detiene il triste primato 
Nel raccogliere i dati relativi alle «morti da selfie», i ricercatori si sono dati da fare raccogliendo tutte le notizie di cronaca che riportavano decessi da «fotografia estrema» a partire dal 2008, tralasciando le morti non riportati dai media. Quindi è probabile che la conta dei morti sia sottostimata. Dallo studio emerge che una vittima su tre si trovava in viaggio al momento del decesso. Nella classifica dei Paesi in cui si sono verificate la morti, l’India detiene il triste primato con 100 morti dal 2008. Seguono gli Stati Uniti (39) e la Russia (33). «I dati per l’India si spiegano in parte con il fatto che molte persone nel Paese si fanno selfie mentre si sporgono dal finestrino o dalla porta dei treni», specifica Cristina Juesas, una delle cofirmatarie dello studio. I più esposti al rischio di incidenti, fa sapere la ricercatrice, sono i giovani: l’età media delle vittime è infatti di 24,4 anni. 
 
 
 
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Ego4D: l’ultimo ritrovato di Facebook nell’era del “capitalismo di sorveglianza” 
Non passa giorno senza che le meraviglie del cosiddetto villaggio globale non ci stupiscano con nuove, mirabolanti suggestioni che presto “cambieranno la nostra vita”; e senza domandarci, ormai da troppo tempo, non solo il “come” queste ci cambieranno e il “quando” e “quanto” costoro faranno parte della nostra vita, ma soprattutto il perché la tecnica stia prendendo questa specifica direzione, ci siamo abituati, in pieno sposalizio con le magnifiche sorti progressiste, ad abbracciare qualsiasi novità ci venga sottoposta, perché ontologicamente migliore. L’illusione in merito alla figura di colui che si crede consumatore, il quale ancora convinto di essere parte integrante del sistema decisionale del mercato che attraverso le sue preferenze, le sue scelte e i suoi acquisti ne indica una direzione non può che suscitare una certa tenerezza. 
 
Ego4D: l’ultimo “mirabolante” prodigio di Zuckerberg 
L’ultimo mirabolante prodigio proviene dal social network per eccellenza: Facebook. E’ stato annunciato pochi giorni fa il progetto Ego4D: “Oggi annunciamo Ego4D, un progetto a lungo termine di Facebook AI che mira a risolvere le sfide della ricerca sulla percezione egocentrica: la capacità dell’intelligenza artificiale di comprendere e interagire con il mondo come facciamo noi, da una prospettiva in prima persona”. 
Ego4D altro non è che l’ennesimo passo in avanti del capitalismo della sorveglianza, magistralmente esposto da Shoshana Zuboff nel suo “Il capitalismo della sorveglianza. Il futuro dell’umanità nell’era dei nuovi poteri”, dove l’autrice, accademica di Harvard, espone nel dettaglio l’ultima evoluzione del capitalismo strettamente connessa con le Big Tech, la loro concentrazione economico scientifica senza precedenti, la costante pervasività e la necessità esistenziale di raccolta dati. Questo soprattutto in ottica di previsione e condizionamento di comportamento. 
Ego4D è un progetto che coinvolge tredici università e centri studi specializzati sparsi per il globo, tra cui la nostra Università degli studi di Catania, che hanno già raccolto oltre 2mila ore di video in prima persona, con settecento partecipanti protagonisti delle loro vite quotidiane (di cui Facebook si premura di aver tutelato la privacy), per l’entusiasmo della multinazionale americana: “Ciò aumenta notevolmente la quantità di dati egocentrici pubblicamente disponibili per la comunità di ricerca, poiché questo set di dati è 20 volte maggiore di qualsiasi altro in termini di ore di filmati”. 
 
Dal reale al virtuale, dal virtuale al reale 
I dati raccolti dalla prospettiva soggettiva, rispetto alla prospettiva terza di una telecamera fissa, con il supporto di smart glass, occhiali capaci di registrare materiale video6, saranno impiegati per addestrare e implementare l’intelligenza artificiale di domani, integrandola con la quotidianità dei nostri gesti. Lascia, o perlomeno dovrebbe lasciare, con una serie di quesiti scomodi il contenuto stesso del video pubblicato da Facebook dove l’AI passa dall’assistere in diretta le ricette di cucina, fino a ricordarci dove abbiamo nascosto la collana preferita della nonna. Basterà quindi chiedere al nostro assistente AI dove l’abbiamo messa, lui non solo lo saprà ma ci aiuterà a ritrovarla! Per la gioia della nonna e il dispiacere degli amanti dei proverbi che imputavano lo smarrimento degli oggetti agli “scherzi del diavolo”, ormai vetusti e inattuali. 
 
I dati raccolti, che si dividono in : 
1) memoria episodica  
2) previsione  
3) manipolazione degli oggetti  
4) trascrizione delle conversazioni audiovisive  
5) interazioni sociali 
 
Verranno resi disponibili ai ricercatori a novembre di quest’anno. Obiettivo implementare la ricerca robotica, la quale potrebbe trovare estremo giovamento da una raccolta dati eccezionalmente pervasiva. 
 
I dati  
I dati serviranno quindi a far sì che l’AI (intelligenza artificiale) possa ricordare il passato attraverso la cosiddetta “memoria episodica”. Predicendo il futuro assistendo una serie di gestualità o di operazioni. Sebbene si faccia riferimento a quanto tutto questo possa essere utile per assistere le routine industriali, si fa anche riferimento a una realtà finora soltanto immaginata dalla letteratura distopica o da qualche recente serie televisiva: “I cinque benchmark individuati e oggetto di studio da parte dei ricercatori, possono avere un impatto significativo per la costruzione di macchine e sistemi di Intelligenza Artificiale capaci di rispondere alle seguenti domande: […] Come stiamo interagendo? Capire le interazioni sociali è fondamentale per migliorare e personalizzare le esperienze delle persone: in tal modo un sistema di Intelligenza Artificiale potrebbe ricordarci con chi abbiamo parlato durante una festa o in un congresso al quale abbiamo preso parte”. 
Anthony Burgess: “La nostra storia moderna, fratelli, non è la storia di piccoli io coraggiosi che combattono queste grandi macchine” o Frank Zappa: “Preferisco utilizzare le apparecchiature elettroniche al posto dei musicisti. Fanno meno errori”? 
 
 
 
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Le vere origini di Halloween: dall’Irlanda celtica ai Feralia di Roma 
Un altro Halloween è sopravvissuto all’ormai usuale derby tra i suoi detrattori e i suoi sostenitori, i primi che rivendicano Ognissanti e la ricorrenza dei morti come uniche feste tradizionali italiane per il periodo di passaggio da ottobre a novembre, rifiutando una festa che ritengono americana e commerciale, e i secondi che invece rivendicano le radici pagane della festività accusando proprio Ognissanti e il giorno dei morti di essere delle festività posticce create appositamente per soppiantare feste più antiche. A ben vedere entrambi hanno una parte di ragione. I primi perché effettivamente la festa di Halloween come la conosciamo nasce in Irlanda e poi, in seguito alla massiccia immigrazione irlandese negli Stati Uniti, arriva in Italia filtrata da circa un secolo e mezzo di americanizzazione. Ma sicuramente è anche vero che essa ha radici molto più antiche, che affondano nell’Europa celtica pre-cristiana e che pertanto fanno di Halloween una festa più “tradizionale” e originariamente europea di quella di Ognissanti. 
 
Halloween e Ognissanti 
Halloween deriva il suo nome proprio dalla festa cristiana del 1° novembre, essendo una contrazione del termine “All Hallows’ Eve” ovvero “la vigilia di Ognissanti”. Infatti il 31 ottobre, tanto in Irlanda quanto in Francia, paesi di radicata origine celtica, è sopravvissuta per secoli una festa dalle radici pagane che la Chiesa non è mai riuscita a spegnere. Ed è quasi sicuro che l’istituzione di Ognissanti il 1° novembre e della ricorrenza dei morti il 2, siano state proprio un tentativo di soppiantare questa misteriosa festa. Infatti Ognissanti, celebrata per la prima volta il 13 maggio del 609, per molti anni non ebbe un giorno canonico fissato dalla Chiesa. Solo in Francia veniva festeggiata in concomitanza con la festa pagana celtica, proprio il 1° novembre. Fu nel IX secolo poi che la data utilizzata in Francia divenne la data ufficiale per tutta la Chiesa, che vi aggiunse il giorno dei morti il 2 novembre.Halloween 
Ovviamente la festa celtica a cui ci riferiamo è quella di Samhain, una delle quattro porte del calendario rituale dei Celti che, a differenza di altri popoli Indo-Arii che festeggiavano le porte equinoziali e solstiziali, onoravano le quattro porte intermedie. Samhain infatti si collocava esattamente a metà tra l’equinozio d’autunno e il solstizio d’inverno, ponendosi esattamente nel mezzo della stagione autunnale. Questa festa resistette a lungo ai tentativi cristiani di abbatterla proprio perché era il giorno più importante dell’anno celtico. Era quello che volgarmente viene chiamato “capodanno celtico”: era insomma il giorno che vedeva finire l’anno precedente e iniziare quello successivo, un giorno che apparteneva ad entrambi gli anni e che veniva definito “il giorno che non esiste”. In questa apertura cardine dell’anno cadevano le barriere tra i mondi, tra questo mondo – quello degli uomini – e il Sidh, chiamato anche Tir na Nog, ovvero l’altro mondo, quello al di là dell’orizzonte a Ovest, il mondo dei morti e degli spiriti. È un giorno molto pericoloso per chi non sia spiritualmente preparato: si può essere ammaliati da una Bansidh – conosciute oggi come Banshee – ovvero una messaggera del Sidh, ed essere intrappolati per sempre nell’Altro Mondo. Oppure essere posseduti dagli spiriti che per questo giorno sono liberi di camminare in questo mondo. Per questo si accendono fuochi e falò nei villaggi, per tenere lontani spiriti e per mantenere illuminata la notte che cela pericoli invisibili. E per questo sulle porte e sulle finestre, oltre a piccole lanterne che sono il corrispettivo domestico dei grandi falò comunitari, si trovano piccole offerte di cibo utili a sfamare gli spiriti e distoglierli dagli uomini. 
 
Dai Celti ai Romani 
Riconosciamo in queste ritualità quel che ancora oggi vediamo in Halloween: le lanterne ricavate da zucche intagliate sono il ricordo delle lanterne e dei falò – ovviamente la zucca è una aggiunta americana, essendo originaria di quel continente – mentre i bimbi mascherati da morti, streghe e spiriti che vanno di casa in casa a chiedere “dolcetto o scherzetto” sono quel che resta del rito di lasciare cibo per i morti che vagano. Il costume di mascherarsi potrebbe derivare da una mascherata rituale utile a esorcizzare la possessione o l’arrivo degli spiriti ma potrebbe essere anche posteriore. Ovviamente ci sono gli irriducibili che rifiutano a prescindere anche Samhain in quanto festa non italica – i Celti a dire il vero in Italia furono presenti, ma le ritualità di Samhain come le conosciamo sono per lo più attestate nelle isole britanniche e nel nord della Francia – ma a ben guardare a Roma in questo periodo c’era qualcosa di abbastanza simile. L’8 novembre era infatti uno dei tre giorni sacri – gli altri erano il 5 ottobre e il 24 agosto, in corrispondenza dei Volcanalia del 23 – in cui mundus patet, si apre la volta sotterranea. Il mundus era il collegamento con il mondo sotterraneo, il mondo dei Mani, spiriti dei defunti, ed aveva forma semisferica. Era appunto una volta, contraltare complementare della volta sferica del mondo celeste. Il mundus doveva rimanere sempre chiuso tranne per i tre giorni indicati. Questi giorni in cui “i segreti della religione degli dei Mani erano per così dire portati alla luce e rivelati” erano anch’essi giorni “pericolosi”. Non si andava in guerra e non si mobilitavano truppe proprio perché non era consigliabile iniziar battaglia quando le porte degli inferi erano aperte. La discesa e il passaggio all’altro mondo erano molto rischiosi, proprio come ritenevano i Celti. 
 
Tuttavia a Roma nei giorni in cui mundus patet non vi era un passaggio dei morti nel mondo dei vivi come in Samhain. Questo accadeva invece a febbraio, durante il giorno dei Feralia: le larvae e gli spiriti dei defunti vagavano sulla terra dei vivi, c’era il rischio di esserne posseduti e sugli uscii e sulle finestre, affinché sfamassero i morti, venivano lasciate delle fave, legumi dalle proprietà magiche e misteriose vietate al flamen dialis come anche ai seguaci di Pitagora ma strettamente collegate con “l’Altro Mondo” e con le potenze cosmiche, tanto che uno dei gruppi dei Luperci nella festa dei Lupercalia in cui le potenze primordiali e divine irrompono per fecondare questo mondo, era chiamato i Fabii proprio dal nome delle fave. Da questo rito sicuramente in Italia è stata ricavata la tradizione delle “fave dei morti”, i dolci tipici che differiscono leggermente di regione in regione e che vengono mangiati nel giorno dei morti che, insieme a Ognissanti, ha oramai sostituito tanto Samhain quanto il mundus patet di novembre quanto i Feralia di febbraio. 
 
Una festa americana? 
La polemica filo o anti Halloween risulta pertanto sterile se non si è consapevoli delle origini delle festività di questo periodo dell’anno. Una volta chiare allora non ci si potrà certo scandalizzare per dei bambini felicemente mascherati che chiedono “dolcetto o scherzetto”, bollando a priori quest’usanza come americanata consumista. Di certo il festeggiamento vuoto di feste di cui non si conosce il significato ci rende larvae, ma né più né meno dei bigotti che restano abbarbicati a forme esteriori di quelle che si ritengono erroneamente tradizioni più antiche e di cui si è coscienti meno degli americani che impersonano gli zombi da cui si mascherano. 
 
 
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Grazie per aver letto e per oggi è tutto 
 
 
12 Novembre  2021