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Fondato e diretto, nel 2003, da Ninni Raimondi
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Mussolini il rivoluzionario 
di Ninni Raimondi
 
Mussolini il rivoluzionario 
 
Malgrado le ricorrenti scomuniche del “male assoluto”, Benito Mussolini rimane una figura costantemente viva nell’immaginario collettivo degli italiani. 
Ecco perchè, a un secolo dalla Marcia su Roma, ha ancora senso parlare di lui e della sua Rivoluzione. 
 
In uno dei suoi numerosi incontri a Palazzo Venezia con Yvon De Begnac, Benito Mussolini confidò al suo biografo ufficiale:  
«Oltre il 2000, si parlerà della mia rivoluzione, degli uomini di cultura che mi furono maestri, o che decisero di farsi miei discepoli. Noi siamo stati fondatori di una religione, della religione della socialità, ben diversa, e ben più totale, di quella della libertà».  
 
Il Duce fu buon profeta.  
Nel 2022, anno del centenario della marcia su Roma, si parla ancora della rivoluzione delle camicie nere.  
Troppo spesso a sproposito, come tutti ben sappiamo. 
 
Può sembrare un paradosso ma, a ben vedere, non lo è affatto: quanto più la storiografia fa progressi (e ne sono stati fatti innumerevoli), tanto più il discorso pubblico regredisce a forme di disarmante rozzezza intellettuale. Fuori dalle aule accademiche, infatti, sia il fascismo che Mussolini rimangono argomento scivoloso, quasi sempre utilizzato in maniera strumentale per infangare l’avversario politico di turno.  
Sulla biografia stessa del Duce, peraltro, negli ultimi anni è nato un discutibile filone di gossip giornalistico che – spiando dal buco della serratura – spera di vendere qualche copia in più rivelando dettagli scabrosi sulla vita privata del dittatore, quasi Mussolini fosse una celebrità del jet set, anziché il fondatore di una rivoluzione che ha fatto vacillare gli equilibri geopolitici del Novecento. 
 
Dopotutto, quasi ottant’anni di martellante pedagogia antifascista non sembrano aver dato i frutti sperati: malgrado le ricorrenti scomuniche del «male assoluto», Benito Mussolini rimane figura viva e costantemente presente nell’immaginario collettivo degli italiani. Figura affascinante e inquietante al tempo stesso, il Duce vince spesso i sondaggi di popolarità sui «grandi italiani della storia», mentre i suoi calendari vanno ogni anno a ruba. Non potendosi capacitare della straordinaria fortuna postuma di cui tuttora gode il capo del fascismo, i gendarmi della memoria tentano allora di esorcizzarlo. È così che, attorno a Mussolini e alla sua rivoluzione, si è sviluppata quella che Adriano Romualdi, con formula efficace, ha chiamato «mitologia delle tenebre». 
 
Gli esorcismi, però, non spiegano nulla.  
Ecco il motivo per cui, a un secolo di distanza dalla marcia su Roma, ha ancora senso parlare di Benito Mussolini: perché la sua parabola esistenziale e politica può aiutarci a far luce su un periodo decisivo della storia d’Italia; perché il fascino segreto di quest’uomo va appunto spiegato. Non si trattò di un’infatuazione effimera, bensì della nascita di una «religione», come disse il Duce stesso. A questa religione lo storico Emilio Gentile ha persino dato un nome: il «culto del littorio».  
 
È un fenomeno che va compreso non solo per curiosità intellettuale, ma anche perché ci fornisce una chiave di lettura privilegiata per interpretare il mondo contemporaneo, che di religioni politiche è pieno: dal credo diritto-umanista al culto del cosmopolitismo globalista, noi siamo tuttora immersi in una liturgia civile fatta di dogmi, idoli, eretici e inquisizioni. 
 
Uccidendo il padre a Piazzale Loreto, gli italiani avevano creduto di essersi emancipati. Al contrario, si sono riscoperti un popolo di orfani.  
 
Si tratta di un complesso di Edipo che, ancora oggi, siamo condannati a scontare.  
E che ci impedisce di riconoscerci tutti figli di una stessa storia e di una stessa bandiera. 
 
12 Gennaio  2022