Interni
Esteri
Cultura
Parolatio
Fondato e diretto, nel 2003, da Ninni Raimondi
Si avvisano i lettori che questo sito si serve dei cookie per fornire servizi e per effettuare analisi statistiche completamente anonime.  
 
Qualche giorno di commemorazione, una vita di rimozione 
di Ninni Raimondi
 
Qualche giorno di commemorazione, una vita di rimozione 
 
 
Il calendario di Stato è pieno di commemorazioni.  
Giorni in cui veniamo sollecitati per decreto regio a sforzare una memoria sempre più artificiale su avvenimenti a noi talvolta sconosciuti. I nostri occhi devono chiudersi su quanto mortifica quotidianamente le nostre vite, per spalancarsi soltanto su ciò che un tempo travolse le esistenze di altri. 
 
La manifestazione 
Manifestazioni, funzioni, celebrazioni, ci fanno ripercorrere a distanza di sicurezza quanto ci è stato insegnato sugli orrori del passato per farci sentire al riparo da ciò che sperimentiamo sulla nostra pelle nel presente. 
Le giornate della Memoria parziale e del Ricordo mistificato sembrano istituite solo per giustificare e riprodurre gli anni della Rimozione totale. 
Ogni 27 gennaio veniamo invitati a commemorare le vittime dell’Olocausto, i milioni di ebrei e non ebrei soppressi nei lager nazisti. Affinché simili tragedie non debbano ripetersi mai più, le autorità elargiscono onoreficenze ai sopravvissuti o ai loro parenti, inaugurano lapidi a perenne monito, finanziano Treni della Memoria che conducono i ragazzi a visitare il lager di Auschwitz. Tutte nobili iniziative. Tuttavia, prima di arrivare a Cracovia, tutta questa memoria farà tappa anche alla Risiera di San Sabba (Trieste) — campo di sterminio dotato di forno crematorio —, a Gonars (Udine), a Renicci di Anghiari (Arezzo), a Chiesanuova (Padova), a Monito (Treviso), a Fraschette di Alatri (Frosinone), a Colfiorito (Foligno), a Cairo Montenotte (Savona) e in tutti i paesi dove all’epoca sorsero campi di concentramento italiani? 
 
No, la memoria istituzionale è selettiva.  
Ricorda volentieri gli orrori perpetrati dallo Stato tedesco, ma solo per far meglio dimenticare quelli commessi dallo Stato italiano. 
Sottolineando la responsabilità degli altri si cerca di legittimare e rendere plausibile una propria irresponsabilità in quei fatti lontani, laddove dovrebbe essere noto che il governo fascista italiano fu il principale alleato del governo nazista tedesco nonché, in un certo senso, l’ispiratore.  
 
Ma c’è di peggio.  
La messa in mostra degli orrori di ieri serve soprattutto a coprire gli orrori di oggi, offuscando l’indissolubile legame che li unisce. La rituale esibizione del Male assoluto nazista è necessaria, va ripetuta di anno in anno, perché serve a rendere più accettabile il Male relativo democratico. Così si piangono gli ebrei rinchiusi nei lager di ieri con l’accusa di aver infestato l’Europa, mentre si tace sugli immigrati clandestini che vengono rinchiusi sotto i nostri occhi nei lager di oggi (i Cie) con l’accusa di infestare l’Europa. Si maledicono i gerarchi nazisti che hanno costruito i vecchi campi di concentramento, ma si lodano i politici democratici —Verdi e Rifondazione Comunista inclusi — che hanno costruito quelli nuovi. Ci si interroga ancora sull’infame collaborazionismo del Sonderkommando, ma si giustifica il collaborazionismo della Croce Rossa o della Misericordia. 
E questa rimozione va ben oltre i limiti tracciati dal filo spinato, entra fin negli aspetti più banali della nostra quotidianità.  
Tutti rimangono sgomenti di fronte al numero tatuato sul braccio dei deportati; ma quanti di noi considerano innocue le carte di identità e i codici fiscali che riducono l’essere umano ad una cifra da amministrare?  
 
L'indignazione 
Tutti s’indignano per il clima di paura che regnava all’epoca, ma quanti invocano quel sistema di videosorveglianza moderno che tratta chiunque come un nemico da controllare?  
Più in generale la condanna della guerra e dei suoi massacri è unanime, ma quanti protestano contro le industrie belliche o le basi militari presenti sul nostro territorio?  
Infine, deve essere perché ogni anno ci rammentiamo quanto era cattivo «l’invasor» e che l’esercito italiano si trova oggi in paesi come l’Iraq o l’Afghanistan... 
 
Come non accorgersi che la rivendicazione di un’identità nazionale serve ad imporre una omologazione che nega ogni differenza, equiparando sfruttatori e sfruttati, oppressori ed oppressi, aguzzini e vittime? 
La sola memoria che va preservata, il solo ricordo che va coltivato, non è certo quello degli “italiani, brava gente”, lasciando ai soli tedeschi, sloveni e croati il ruolo di carnefici. 
 
Gli orrori del passato come quelli del presente dimostrano che ogni Stato — qualsiasi esso sia, vecchio o nuovo, occidentale o orientale, governato dalla destra o dalla sinistra — si fonda sullo sterminio di massa. L’iprite usata dai militari italiani in Etiopia nel 1935 anticipa il fosforo usato dai militari statunitensi a Falluja nel 2004. 
Ogni bandiera è imbrattata di sangue, ogni inno nazionale copre urla e lamenti.  
 
Ogni uomo sarà sempre un massacratore e un complice di massacratori, finché non si deciderà a farla finita con tutti gli eserciti e con tutti i governi. 
Vogliamo riflettere un attimo spegnendo il televisore, per piacere? 
 
Grazie 
 
12 Febbraio  2022