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Inviava soldi per la jihad dall’Italia, imprenditore bosniaco finisce in manette a Bologna 
di Ninni Raimondi
 
Inviava soldi per la jihad dall’Italia, imprenditore bosniaco finisce in manette a Bologna 
 
 
Finanziava la jihad dall’Italia, in manette bosniaco. I Carabinieri del ROS, coordinati dalla Procura della Repubblica di Bologna, hanno portato alla luce — e auspicabilmente posto termine — a una presunta opera di finanziamento del terrorismo di matrice jihadista, nel caso di specie cellule attive nei Balcani e in Bosnia. Il meccanismo era semplice: un continuo flusso di denaro trasferito dall’Italia direttamente alle casse dei gruppi legati allo Stato islamico, destinato al reclutamento di nuovi miliziani jihadisti e per acquistare armi e equipaggiamento da destinare ad azioni terroristiche. 
 
Arrestato bosniaco che finanziava la jihad 
I Carabinieri hanno quindi identificato un cittadino bosniaco di cinquantadue anni, residente a Bologna, e lo hanno sottoposto alla misura cautelare degli arresti domiciliari con obbligo di braccialetto elettronico. Leggendo gli atti di indagine e i capi di accusa contestati si può comprendere come il soggetto sia considerato responsabile «personalmente e mediante soggetti terzi ignari delle finalità perseguite» di aver movimentato una considerevole cifra di euro, pari quasi a cinquantamila destinati alla jihad. 
 
il finanziatore lavorava nell’edilizia 
Ancora una volta, secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, al centro del meccanismo di trasferimento di denaro un money transfer, il sistema che consente specialmente agli immigrati di trasferire somme di denaro dall’Italia verso i loro Paesi di origine. Il bosniaco in questo caso avrebbe iniziato nell’ormai lontano 2014 la sua opera di raccolta fondi per i jihadisti. Per cercare di dissimulare il reale scopo, il bosniaco si serviva di persone terze, assai spesso del tutto ignare delle reali finalità sottese, le quali avrebbero poi consegnato le cifre ai reali destinatari dei fondi raccolti. 
 
Il cinquantaduenne, regolare in Italia e imprenditore con propria ditta di natura artigiana operante nel mondo dell’edilizia, aveva maturato col corso del tempo dei contatti sempre più organici con gruppi islamisti e con un imam, di origine balcanica, che già nel marzo 2016 era stato destinatario da parte del gip di Venezia di una ordinanza di custodia cautelare per attività connesse al terrorismo. Quel provvedimento giudiziario non è stato poi eseguito perché l’imam, arrestato in Bosnia, è stato lì condannato a sette anni di carcere per incitamento pubblico alla jihad. Secondo i magistrati veneziani, l’imam nel 2004 aveva organizzato una sorta di tour di preghiera nell’Italia settentrionale al fine di reclutare potenziali terroristi da inviare poi in Iraq e Siria. 
 
Un modello consolidato 
L’indagine bolognese ha potuto invece accertare come il bosniaco abbia seguito una sorta di modello ormai consolidato del finanziamento di gruppi legati all’Isis; forme di finanziamento indiretto, ricorrendo a soggetti terzi. Da molto tempo la propaganda jihadista, oltre a invitare i propri miliziani e simpatizzanti a finanziare il movimento, fornisce delle tecniche e dei suggerimenti di finanziamento per sviare le attenzioni delle autorità di sicurezza dei vari Paesi. Non mancano poi inviti, a chi non possa finanziare, a contribuire in altro modo: assaltando obiettivi dei cosiddetti infedeli, immolandosi o anche semplicemente facendo da eco ai messaggi jihadisti diffusi dall’Isis. 
 
2 Luglio  2022