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Il Muro di Berlino e l’ipocrisia della sinistra 
di Ninni Raimondi
 
Il Muro di Berlino e l’ipocrisia della sinistra 
 
Il 9 novembre 1989 cadeva il muro di Berlino. Vi riproponiamo questo articolo di Valerio Benedetti, pubblicato sul nostro giornale esattamente tre anni fa, a trent’anni dalla caduta del muro [IPN] 
 
Esattamente trent’anni fa cadeva il muro di Berlino. Un evento che ha avuto una portata pratica e simbolica di proporzioni colossali: era la fine della Guerra fredda, della divisione bipolare del mondo, il fallimento conclamato del comunismo. Tra le numerose conseguenze di quella caduta, ce n’è stata una in particolare che non va sottovalutata: la sinistra, di fronte al tracollo del «socialismo reale», si trovò costretta a rivedere le proprie coordinate ideologiche. Fu allora, da quel fatidico 9 novembre 1989, che gli ex comunisti cominciarono ad abbracciare gli ideali del cosmopolitismo più esasperato, che avrebbe finito per degenerare nella retorica no border di oggi. 
 
Ipocrisia antifascista 
Mandando in soffitta Marx, la sinistra globalista si è dimenticata uno dei più celebri moniti del filosofo di Treviri: «La storia si ripete sempre due volte: la prima volta come tragedia, la seconda come farsa». E così, dopo le tragedie del socialismo reale, ci ritroviamo ad assistere alla farsa di una sinistra postcomunista che esalta la caduta del muro Berlino come emblema dell’abbattimento di tutte le frontiere. Dimenticandosi che, quel muro, l’ha costruito proprio lei. 
 
Intanto partiamo dal nome: quello che viene chiamato «muro di Berlino», infatti, riportava la dizione ufficiale di Antifaschistischer Schutzwall, ossia «barriera di protezione antifascista». E da chi doveva proteggere i suoi cittadini la Repubblica democratica tedesca? Ma ovviamente da un mondo in cui il comunismo non esisteva e che, pertanto, risultava maggiormente gradito.  
Sarà per questo che, tra il 1945 e il 1961 (anno dell’erezione del muro), furono quasi 3 milioni i tedeschi orientali che, vista la mala parata, si trasferirono nella Germania dell’Ovest. Ma allora, quei «migranti» – ché tali erano coloro che scavalcavano la cortina di ferro – furono bollati dalla sinistra comunista come «traditori del popolo», come apostati delle magnifiche sorti e progressive e come dei pazzi che scappavano dall’Eldorado comunista. 
 
Il vero significato del muro di Berlino 
Ma la farsa non è finita qui. Come detto, infatti, la sinistra esalta oggi la caduta del muro di Berlino come simbolo di apertura e accoglienza nei confronti degli immigrati. Si tratta – è ovvio – di un rovesciamento sfrontato della realtà: nel 1989 l’abbattimento della barriera berlinese significava la riunificazione del popolo tedesco al termine della divisione imposta dai vincitori della seconda guerra mondiale, non certo un invito all’arrivo indiscriminato di allogeni extraeuropei.  
Perché è questo il vero significato di quell’evento: non l’esortazione all’autodistruzione etnica o la folle esaltazione del meticciato, bensì la gioia di un popolo che si riabbraccia dopo decenni di sofferenze.   
 
Con buona pace dei guitti mondialisti. 
 
12 Novembre  2022