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Prima Guerra Mondiale: Truppe Italiane in Nord Tirolo durante la Grande Guerra 
di Ninni Raimondi
 
Prima Guerra Mondiale: Truppe Italiane in Nord Tirolo durante la Grande Guerra 
 
Non tutti sanno che... 
Prima Guerra Mondiale: Le Truppe Italiane in Nord Tirolo durante la Grande Guerra - 
 
All’inizio di dicembre 1919 a Innsbruck vi furono disordini causati dalla fame, con l’assalto a magazzini di viveri, negozi di lusso e anche a conventi. La semplice presenza del contingente italiano svolse in quei frangenti un ruolo importante nel far tornare l’ordine in città e fu per questo ben apprezzata dalle autorità tirolesi. 
In tale situazione vi fu chi tra le autorità italiane propose una politica più aggressiva, in grado di sfruttare meglio le opportunità offerte da una condizione estremamente favorevole. La debolezza dell’Austria, le sue tensioni interne, la crisi alimentare che richiedeva concreti aiuti da parte di paesi stranieri e, ovviamente, la presenza italiana in Tirolo in veste di Stato vincitore, rappresentavano un complesso di elementi che giocavano a favore delle velleità italiane di imporsi come paese di riferimento per il Tirolo se non per l’Austria intera. Il console italiano a Innsbruck, Tito Chiovenda, era particolarmente esplicito in questo senso.  
 
A suo avviso, l’esercito italiano poteva garantire l’ordine pubblico, nonché «la fornitura immediata di contingenti di viveri sufficienti a calmare il primo bisogno» e ciò avrebbe portato presto il Consiglio provinciale tirolese ad avanzare all’Italia un'offerta di “patronato economico” sul Tirolo. Da parte sua, l’Italia avrebbe dovuto prendere immediate iniziative volte a rafforzare la propria posizione in campo economico, provvedendo a installare la sede di una grande banca italiana a Innsbruck, a creare un ufficio doganale e un posto di polizia nella stazione di Innsbruck, in modo da «sopprimere completamente la fermata di Brennero» e infine a assumere definitivamente la gestione ferroviaria della tratta Brennero-Innsbruck. 
 
Emergeva un’ipotesi d’intervento che, muovendo cinicamente dallo stato di prostrazione del Tirolo, prefigurava in quell’area una condizione di netto predominio italiano sia in campo economico che politico. Era soprattutto sul versante economico che si aprivano le migliori prospettive, attraverso il controllo della rete ferroviaria, del sistema creditizio, delle forze d’acqua, ma anche del commercio e persino del mercato immobiliare. A pochi giorni dalla fine della guerra, anche l’autorevole «Corriere della Sera» invitava il governo italiano a utilizzare gli invii di generi alimentari a un’affamata Austria come via per aumentare la propria influenza in quel paese. 
 
A Innsbruck l’Esercito Italiano si impegnò anche su un altro versante, utilizzando il proprio servizio informazioni in un’attività apparentemente lontana dai propri interessi in Austria, vale a dire il controllo del movimento bolscevico. L’attenzione delle autorità italiane si rivolse in due distinte direzioni: all’interno dello stesso contingente italiano e all’esterno. Vi era grande preoccupazione per il rischio che il “contagio bolscevico” andasse diffondendosi all’interno della truppa, con conseguenze imprevedibili sia nell’immediato sia dopo il ritorno in Italia. Già a partire dal dicembre 1918, il Comando italiano venne a conoscenza dell’esistenza di attivi centri di propaganda bolscevica e subito prese provvedimenti per impedire ai militari di frequentare i ritrovi sospetti. La guardia restò alta anche nei mesi successivi: il 7 febbraio il Generale Roffi segnalò preoccupato che, da parte di borghesi e militari austriaci, proseguiva, «nelle osterie di infimo grado», l’opera di propaganda sovversiva «tra la nostra truppa», sfruttando «l’impazienza che è nella maggioranza di essere inviati in congedo». 
 
Evidentemente i soldati, stanchi e desiderosi di tornare a casa, erano visti come prede potenziali degli elementi estremisti. Pochi giorni dopo, da Vienna, il generale Segre comunicò che per Innsbruck erano partiti agitatori bolscevichi «per fare propaganda fra i nostri soldati di guarnigione». Ma l’attenzione delle autorità italiane nei confronti del «germe bolscevico» si rivolgeva anche all’esterno della truppa. In questo ambito gli italiani si impegnarono a fondo nell’attività di intelligence, raccogliendo nomi e informazioni, procedendo anche ad arresti, predisponendo elenchi, tra cui quello dei componenti del comitato comunista di Innsbruck, su cui un appunto a mano ammoniva: «Tenere presente in caso di disordini per mettere le mani su di loro». 
 
In questo campo, le autorità italiane e quelle austriache dimostrarono interesse e disponibilità alla collaborazione, trasmettendosi vicendevolmente informazioni riservate sull’attività di presunti attivisti comunisti e organizzandone insieme la sorveglianza. Sul terreno dell’anticomunismo, dunque, l’impressione è che gli interessi spesso divergenti delle autorità italiane e austriache trovassero un punto di contatto. La permanenza oltre confine di un consistente contingente militare rappresentava per l’Italia una questione di prestigio, il segno della vittoria e del ribaltamento dei rapporti di forza.  
 
Ma non c’era solo il compiacimento per il compiersi di una sorta di “vendetta” della storia, vi erano, come si è visto, altri elementi: l’idea sensata che da Innsbruck fosse più agevole controllare e contrastare l’irredentismo sudtirolese; la volontà d’implementare nuove forme di collaborazione con l’ex nemico in funzione antibolscevica e anche la consapevolezza che lo status di potenza vincitrice apriva nuove possibilità d’influenza economica e politica al di là dei confini e che il Tirolo e l’Austria post-bellici, deboli e scossi da forti sommovimenti interni, rappresentavano un campo in cui era possibile far sentire la propria presenza. L’attivismo italiano in Tirolo va quindi letto come un elemento della politica estera italiana, che in quegli anni e nel periodo successivo concentrò molti dei suoi sforzi e delle sue aspettative nell’area danubiana.  
 
E’ importante sottolineare come fino alla firma del trattato di pace e al reciproco scambio delle relative ratifiche, tra Italia e Austria continuasse a permanere un rapporto di tipo armistiziale e non di pace, che impediva il pieno ristabilimento dei normali canali diplomatici. In tale situazione, a farsi attori della politica estera nazionale furono di fatto i comandi militari presenti nei territori occupati, che per un periodo significativo assunsero quindi compiti eccedenti quelli ordinari. 
 
Leggendo in chiave comparativa le vicende dell’occupazione militare italiana dei territori tirolesi appaiono evidenti le profonde differenze delle situazioni e delle modalità d’intervento in Trentino, Alto Adige e Tirolo settentrionale. Nell’“italianissimo” Trentino l’Italia arrivò convinta di incontrare sostegno e approvazione incondizionati da parte della popolazione locale, sottovalutando le tensioni e le lacerazioni provocate dalla guerra, come anche le richieste di conservazione delle strutture amministrative di decentramento, a cui il Trentino si era abituato sotto il governo asburgico. Negli anni seguenti, il crescente malumore dei Trentini verso il trattamento loro riservato, avrebbe portato le autorità nazionali a deprecare il cosiddetto «trentinismo», ovvero il presunto, esasperato localismo dei trentini, moralmente lontani dalla madrepatria, auspicando in certi casi un loro «bagno d’italianità» nelle vecchie province. 
 
In Alto Adige, invece, le autorità italiane giunsero con la consapevolezza delle difficoltà che avrebbero incontrato a causa dell’atteggiamento contrario all’annessione da parte della popolazione locale, d’identità compattamente tedesca e tirolese. Mancò però l’elaborazione coerente e condivisa di una politica che fosse in grado di avvicinare gradualmente i nuovi sudditi all’Italia, evitando eccessi e irrigidimenti. Si scontrarono apertamente e senza mediazioni modalità differenti di concepire la presenza di minoranze linguistiche sul territorio nazionale, lasciando trasparire in controluce tutti i limiti e le chiusure che si sarebbero rivelati drammaticamente durante il ventennio fascista. 
 
A Innsbruck, infine, il quadro in cui si inseriva la presenza italiana era del tutto diverso da quello dell’Alto Adige e del Trentino. L’Italia vi arrivò senza la pretesa di rimanervi, ma intravedendovi la possibilità di esercitarvi il nuovo ruolo, conquistato grazie al successo bellico, di grande potenza nello scacchiere europeo. L’Austria affamata e ridotta a un moncone di ciò che era stata appariva a molti il campo migliore in cui muoversi, con le migliori prospettive di conquistarvi un ruolo di predominio politico-economico. La presenza militare a Innsbruck avrebbe dovuto facilitare il successo di tali ambizioni, perseguite però in maniera confusa e in assenza di un luogo di sintesi in cui dare coerentemente corpo ai propositi delle autorità militari e di quelle diplomatiche, non sempre concordi 
 
PER NON DIMENTICARE 
Foto Archivio Storico Biblioteca Nazionale d'Austria ritrae Truppe Italiane a Innsbruck al termine della Grande Guerra nel novembre 1918 
 
14 Novembre  2022