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Basta con le sciocchezze, il ponte sullo stretto di Messina va fatto: ecco perché 
di Ninni Raimondi
 
Basta con le sciocchezze, il ponte sullo stretto di Messina va fatto: ecco perché 
 
Il ponte sullo stretto di Messina viene pianificato, andando indietro nella storia in modo specifico, addirittura dal 1866. Ovvero, cinque anni dopo la nascita del Regno d’Italia. Da sessant’anni ne discutiamo all’infinito, adducendo dei “non problemi” utili a rimandarne la realizzazione. Ora, il ministro delle infrastrutture Matteo Salvini ottiene il parere favorevole dei vertici europei sulla realizzazione dell’opera. E noi speriamo vivamente che serva a smuovere finalmente le acque. 
 
Ponte sullo stretto di Messina, le chiacchiere dei “no” 
“Servono le strade e i binari in Sicilia prima di tutto”, “c’è la mafia che lucra”, “costa tanti soldi”, “ma siamo in grado di fare un ponte?”. Come per il Mose a Venezia, le menate da parte di chi non vuole il ponte sullo stretto di Messina sono sempre le stesse, ormai tradizionali e ripetute, ma soprattutto sempre inutili a produrre qualcosa, di qualsiasi tipo, anche – per assurdo – di diversa natura. Non a caso, la più potente e suggestiva è quella che sostiene quanto la regione Sicilia abbia bisogno urgente di linee ad alta velocità e di autostrade ancora oggi mancanti. Il che è senza dubbio verissimo. 
Ma proviamo a guardare allo storico di questa brillantissima opposizione: dopo sessant’anni la Sicilia non ha né il ponte sullo stretto a collegare meno di quattro “pidocchiosissimi” chilometri di mare che la separano dalla Calabria, né tanto meno le tanto agognate ed urgenti autostrade o binari ad alta velocità di cui ha – indubbiamente! – bisogno. A chi giova, dunque, questa ossessione per non fare nulla? A nessuno, a meno che non si perpetri uno stato di fatto – inconsciamente o in malafede è del tutto irrilevante – che rende impossibile lo sviluppo, la crescita, il miglioramento in generale. 
 
Senza contare, come riportano anche analisi locali su FocusSicilia, la crescita in termini di Pil e di occupazione. Un punto di vista che era stato messo in evidenza già qualche anno fa (durante il mandato del governo gialloverde) nel corso di una conferenza al Senato organizzata dal think tank Nodo di Gordio. In un’epoca come la nostra, in cui lo Stato non può fare quasi nulla a causa del braccino corto delle regole europee sulle sue possibilità di spesa pubblica, ciò significa senza mezzi termini più denaro che gira (grazie alla valorizzazione dei porti), più tasse incamerate (ahinoi) ma anche più risorse per realizzare le tanto agognate linee struttuali interne (e qui la bilancia pende sul sollievo, almeno in questo). Insomma, è comunque un processo virtuoso: fare il ponte rende anche più possibile velocizzarsi – anche lì, finalmente – sulla costruzione delle linee interne mancanti. Dopodiché nessuno può prevedere la mala disposizione di dirigenti e di esperti coinvolti: ma a questo punto, tanto varrebbe non realizzare nulla e smettere direttamente di esistere. E, per piacere, sorvoliamo sulla “grillina” “mafia che lucra”,  perché anche lì vale lo stesso discorso: smettiamo di costruire qualsiasi cosa invece che – almeno tentare! – di contrastarla. 
 
Un’opera costosa molto più da assente che da presente 
Money.it mette in fila i costi del “terribile ponte”, con cifre che tutti conosciamo da anni: circa 4 miliardi di euro. Sicilia e Calabria, senza ponte, spendono in trasporti, attracchi e spostamenti molto di più ogni stagione. Dopo oltre 150 anni sarebbe anche ora di finirla. Perché costruire strade e binari interni – insistiamo, ma basterebbe la logica a farlo comprendere – non è in contraddizione con l’edificazione di un ponte della distanza di “miseri” 3 chilometri e 300 metri di lunghezza. Anzi, le due cose viaggiano di pari passo, anzitutto per una questione fondamentale: uscire da quella che è a tutti gli effetti una paralisi.  
Mentale, culturale e politica. 
 
6 Dicembre  2022