Interni
Esteri
Cultura
Parolatio
Fondato e diretto, nel 2003, da Ninni Raimondi
Si avvisano i lettori che questo sito si serve dei cookie per fornire servizi e per effettuare analisi statistiche completamente anonime. Proseguendo con la navigazione si presta il consenso all' uso dei cookie.. 
 
 
 
 
 
Zelensky e il circo di Washington 
di Ninni Raimondi
 
Zelensky e il circo di Washington 
 
 
La visita a Washington del presidente ucraino Zelensky e il suo intervento al Congresso americano hanno rappresentato senza dubbio uno degli spettacoli più nauseanti di questi dieci mesi di guerra. Al netto della rivoltante retorica della battaglia per la difesa della libertà e della democrazia, infarcita in modo vergognoso di riferimenti interventisti e apertamente razzisti, l’evento andato in scena “a sorpresa” questa settimana è servito almeno in teoria a soddisfare alcuni obiettivi sia dell’amministrazione Biden sia dello stesso regime nominalmente guidato dall’ex attore comico. 
Quella che è stata definita la prima visita “conosciuta” all’estero di Zelensky dall’inizio delle operazioni militari russe è apparsa in primo luogo come un’esibizione attentamente studiata per imprimere nella mente del pubblico americano la sorta di simbiosi venutasi a creare tra Washington e Kiev. In altre parole, la promozione della causa ucraina da parte di tutto l’apparato istituzionale degli Stati Uniti ha come scopo primario quello di innalzare la lotta del regime di Zelensky a priorità assoluta del governo USA, soprattutto in previsione di una ulteriore escalation del confronto con Mosca. 
Ad accompagnare questo processo è stata appunto la presenza inevitabile nei palazzi del potere di Washington del presidente-eroe in abiti militari. Un’immagine, quella di Zelensky, che non ha però potuto nascondere più di tanto il senso ultimo della visita e del suo discorso, ovvero di implorare altri aiuti – in dollari e armi – a un Occidente sull’orlo del baratro economico da destinare a una guerra impossibile da vincere. 
 
L’aspetto forse più preoccpuante dell’intera farsa è stata la promessa-invito di Zelensky a proseguire nel conflitto fino alla “vittoria assoluta” sulla Russia. Un’invocazione, come altri passaggi del discorso di mercoledì, accolta dall’ovazione dei membri del Congresso riuniti nell’aula della Camera dei Rappresentanti, evidentemente senza il minimo scrupolo per le conseguenze che essa comporterebbe. L’andamento della guerra sta cioè segnando la distruzione delle forze armate ucraine, così che anche il solo tentativo di sconfiggere la Russia sul campo richiederebbe un massiccio intervento diretto degli Stati Uniti e della NATO, con buone probabilità di sfociare in una conflagrazione nucleare. 
La celebrazione di Zelensky è avvenuta in parallelo all’annuncio di un nuovo stanziamento di 1,85 miliardi di dollari di equipaggiamenti militari all’Ucraina. In quest’ultima tranche sono inclusi, come anticipato nei giorni scorsi dalla stampa, batterie di missili anti-aerei Patriot, di fatto le armi più potenti in dotazione finora di Kiev e teoricamente in grado non tanto di contrastare in maniera efficace i missili russi, quanto di colpire bersagli in territorio russo. Un ulteriore obiettivo della visita a Washington è l’invito fatto al Congresso per approvare in fretta il prossimo bilancio federale che include altri 45 miliardi di dollari da destinare all’Ucraina nel 2023. 
Attraverso lo show di mercoledì, la Casa Bianca punta inoltre a convincere la maggioranza repubblicana entrante alla Camera a proseguire con gli stanziamenti a pioggia a favore dell’Ucraina, superando la resistenza dell’ala ultra-conservatrice del partito. Se, infatti, l’intervento di Zelensky e l’isteria anti-russa hanno raccolto consensi bipartisan a Washington, i repubblicani riconducibili alla fazione trumpiana si sono lamentati apertamente per il buco nero rappresentato dall’impegno finanziario e militare garantito dagli Stati Uniti al regime di Kiev. 
 
Dietro l’apparenza dell’unità assoluta tra USA e Ucraina, ci sono comunque segnali di frizioni e cedimenti, almeno in prospettiva, che mettono in dubbio la tenuta dell’offensiva anti-russa in corso e dello sforzo bellico di Kiev. Secondo la stessa stampa d’oltreoceano, Zelensky non ha ottenuto le armi più “moderne” che avrebbe chiesto a Biden e lo stesso presidente americano ha ammesso pubblicamente che gli aiuti al regime ucraino sono di fatto vincolati alla necessità di evitare l’esplosione di un conflitto su larga scala in Europa. 
Il problema consiste appunto nella spaccatura che si sta allargando all’interno del fronte NATO tra gli Stati Uniti e gli alleati in Europa, costretti ai sacrifici maggiori per assecondare gli obiettivi strategici di Washington in Ucraina. Nella conferenza stampa seguita all’incontro con Zelensky, Biden ha così spiegato che la consegna di determinati equipaggiamenti militari a Kiev – quelli richiesti dall’ex comico “per sconfiggere la Russia” – provocherebbe “la rottura della NATO”. L’Europa, ha aggiunto Biden, “non intende entrare in guerra contro la Russia” né, di conseguenza, scatenare “la terza guerra mondiale”. 
Queste parole del presidente americano vanno collegate alle recenti dichiarazioni di Emmanuel Macron sul conflitto in corso. Il presidente francese, nell’arco di pochi giorni, ha in due occasioni avvertito che una soluzione negoziata alla crisi dovrà essere cercata a breve e, soprattutto, che le trattative diplomatiche dovranno tenere in considerazione le “garanzie di sicurezza” richieste legittimamente da Mosca. Una prospettiva, quest’ultima, che esclude per forza di cose il ritorno sotto il controllo di Kiev dei territori passati alla Russia nei mesi scorsi attraverso i referendum. 
 
È evidentemente in atto un serio ripensamento sull’opportunità di avere provocato l’intervento militare russo in Ucraina da parte di molti governi europei, chiamati ora a fare i conti con le conseguenze di politiche scellerate che, dietro pressioni americane, hanno distrutto le basi della prosperità dell’economia del vecchio continente, a cominciare dalla disponibilità di risorse energetiche a basso costo dalla Russia. 
La stessa posizione di Zelensky, nonostante l’apparente trionfo che lo ha accolto a Washington, resta probabilmente precaria, anche alla luce della citatissma intervista del Economist di qualche giorno fa allo stesso presidente ucraino e ai due generali che stanno comandando le forze armate del paese dell’ex URSS. Se le parole di Zelensky non hanno dato indicazioni particolari, quelle dei due alti ufficiali – il capo di Stato Maggiore Valerij Zaluzhny e il comandante delle forze terrestri Oleksandr Syrsky – sono apparse di estremo interesse. 
Nell’intervista è emersa in sostanza l’ammissione della forza dell’esercito russo e dell’efficacia della mobilitazione ordinata da Putin. Una mobilitazione che, secondo gli stessi generali ucraini, potrebbe nei prossimi mesi travolgere definitivamente le forze armate ucraine. Zaluzhny, infine, ha mandato un chiaro messaggio all’Occidente quando ha elencato gli armamenti di cui Kiev avrebbe realisticamente bisogno per sconfiggere la Russia. Il numero di mezzi e armi citati dal generale è superiore anche alla disponibilità complessiva delle forze armate dei paesi NATO. 
 
Zaluzhny, in definitiva, ha ammesso indirettamente che non esistono le condizioni materiali per proseguire ancora a lungo la difesa contro la Russia, né tantomeno per contrattaccare e recuperare il terreno perso in dieci mesi.  
Il futuro per Kiev appare insomma segnato e i militari ucraini sembrano alla fine averlo compreso. Resta da vedere quando decideranno di comprenderlo anche i leader occidentali e il loro burattino appena rimpatriato dalla trasferta americana. 
 
23 Dicembre  2023