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L'Escalation militare dei centri sociali 
di Ninni Raimondi
 
 
C’è decisamente un salto di qualità nel crescendo di azioni violente messe in atto dai centri sociali nelle ultime settimane di campagna elettorale. I cortei violenti che hanno attraversato Piacenza, Bologna e da ultima Napoli ad un’ attenta analisi fanno intravedere una progressiva “militarizzazione” dei cortei stessi, egemonizzati da gruppi organizzati nella guerriglia urbana con un armamentario che oltre ai soliti bastoni e bombe carta, ha visto la ricomparsa proprio a Napoli delle bombe molotov, nel totale silenzio mediatico su un dettaglio non da poco. 
Non solo: il pestaggio del dirigente forzanovista avvenuto a Palermo introduce ulteriori elementi di un’escalation “militare” delle azioni antifasciste. La platealità della spedizione punitiva eseguita a Palermo, con tanto di immobilizzazione con nastro adesivo della vittima, conseguente pestaggio e ripresa video, onde diffondere alla propria platea il gesto, richiamano alla mente i primi pestaggi “esemplari” che l’ultrasinistra effettuava ai danni di studenti e sindacalisti di destra, nelle scuole e nelle fabbriche, nei primi anni Settanta. 
In molti ricorderanno la coreografia allestita da questi “sinceri democratici” nelle scuole dove il malcapitato studente doveva girare con un cartello al collo su cui era scritto ”sono un fascista” tra schiaffi e contumelie o il plateale sequestro davanti alla Mirafiori avvenuto nel 1973 del sindacalista della Cisnal , Bruno Labate, ad opera delle “sedicenti”, come si soleva dire allora, Brigate Rosse. 
 
Si dirà che non è più il tempo dell’allora estrema politicizzazione dei giovani, che la società è cambiata e che i numeri messi in campo dagli antifa sono ridicoli se comparati alla massa di cui disponevano allora. Tutte queste obiezioni hanno fondamento, ma almeno due elementi sembrano persistere e non subire la sfida nel tempo nell’eterno ritorno dell’antifascismo: il primo elemento è che per quanto l’antifascismo militante possa contare su di un numero molto ridotto di adepti, questo sembra determinare una crescente specializzazione e propensione allo scontro armato e violento di pochi soggetti ben addestrati. Lo testimonia la presenza nelle prime file dei cortei di persone organizzate militarmente e di una certa età. 
Il secondo elemento che persiste immutato negli anni è la complicità se non l’aperta connivenza del circuito politico, mediatico ed intellettuale che, seppur schizzinoso verso qualche eccesso considerato troppo violento, non disdegna affatto nei suoi commenti e nelle sue prese di posizione, di ricondurre la colpa delle violenze e dei disordini al fatto che comunque i “fascisti” turbano l’ordine costituzionale con la loro sola presenza alle elezioni. Il che è ovviamente un’aberrazione logica e giuridica, ma tant’è. 
Ed è questo il cordone ombelicale che lega i due prismi, che si riconoscono e che parlano la stessa lingua e che consente agli antifascisti dei centri sociali di ritenersi autorizzati ad eliminare fisicamente i nemici, ritenuti corpi estranei, nella convinzione abilmente instillata dalle élite progressiste che stiano, dopotutto, agendo per il bene dell’umanità. 
 
Un pensiero distorto e foriero di lutti e di sventure, il nostro Paese lo ha già conosciuto e visto all’opera, in tempi non lontani, ma ci sembra di poter affermare che le radici di questo pensiero non si siano mai del tutto estinte e che nel prossimo futuro produrranno inevitabilmente ulteriori frutti avvelenati.  
Gli apprendisti stregoni della sinistra non potranno far finta di non sapere ancora una volta chi hanno aizzato. 
Licenza Creative Commons  22 Febbraio 2018
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