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Cultura: Post elezioni
 
Post elezioni 
di Ninni Raimondi
 
Lo scenario post voto si presenta come un complicato Risiko in cui, tuttavia, la posta in gioco non è la Kamchatka, bensì l’Italia. Sorvolando per il momento sulla situazione nel campo delle forze nazionali e sovraniste, cioè in sostanza di CasaPound, la situazione generale resta la seguente. 
La sinistra, tanto per cominciare, è stata (quasi) polverizzata dal voto.  
Essa esiste ormai solo come voto di rappresentanza di élite stanche e minoritarie nel Paese. Il che non significa che sia politicamente irrilevante, dato che in quasi tutti gli scenari parlamentari per formare il nuovo governo compare il Pd o una parte di esso. Sarebbe un vero schiaffo nei confronti del popolo italiano, ma tant’è. 
I grillini incarnano un finto voto di protesta ormai chiaramente e dichiaratamente orientato verso politiche moderate, centriste e in linea con i diktat oligarchici. Hanno il placet di tutti i poteri forti possibili e si limiteranno a canalizzare il malcontento popolare su battaglie del tutto risibili (i vitalizi, le auto blu etc) per cedere sull’essenziale. Il che non significa che non vadano presi sul serio, studiati, affrontati come si fa con qualcuno che ha comunque ottenuto il voto di 11 milioni di italiani. Italiani per lo più post-ideologici, in cerca di qualcosa di nuovo e di rottura, che in altre situazioni avrebbero potuto votare altrove e meglio. Quegli italiani non vanno scherniti, ma ascoltati, perché le ondate elettorali passano, ma la rabbia popolare potrebbe restare e persino estremizzarsi. 
 
Poi c’è il centrodestra. Ora, cosa abbiamo sempre rimproverato a Matteo Salvini? Di dire cose sovraniste, ma di non farle, e anzi di circondarsi di persone e partiti spiccatamente antisovranisti. Il risultato del 4 marzo, tuttavia, con il boom leghista e il ridimensionamento di Forza Italia, sembra aver dato a Salvini il potere contrattuale e il coraggio che spesso gli è mancato. L’Italia va quindi verso un governo sovranista a guida Salvini? C’è da sperarlo. Qualsiasi idea ci si sia fatti del leader leghista, è ovvio che per l’Italia, con i rapporti di forza usciti dalle urne, un governo Salvini sia sicuramente il quadro meno inquietante. Se non il migliore, almeno il meno peggio. Meglio, infinitamente meglio Salvini premier che Di Maio premier, tanto per capirci. Sarebbe stato meglio Di Stefano premier? Certo, ma era impossibile. Sarebbe stato meglio Di Stefano in Parlamento? Certo, ma non è successo. Se ci limitiamo a quel che è uscito dalle urne, non è difficile individuare una soluzione preferibile rispetto alle altre. 
Il problema è che la strada che conduce Salvini a palazzo Chigi è piena di insidie, che vengono da Berlusconi e dagli stessi leghisti non salviniani.  
I retroscena su possibili golpe alle spalle del leader leghista si rincorrono incessantemente (oggi ce n’è uno su Repubblica in cui si dice che Berlusconi sta ancora corteggiando il Pd). Il che significa che gli allarmi sull’inciucio che lanciavamo in campagna elettorale non erano certo campati in aria. Le larghe intese, scongiurate dal risultato grillino e leghista, sono uscite dalla porta, ma stanno rientrando dalla finestra. E, nell’ambiente leghista, non tutti remano in direzione contraria a questo esito infausto, che sarebbe disastroso per l’Italia. O si ritiene che far notare questi rischi sia peccato di lesa maestà? 
Licenza Creative Commons  11 Marzo 2018