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La nuova emigrazione italiana 2°
 
La nuova emigrazione italiana 2° parte 
di Ninni Raimondi
 
L’emigrazione degli italiani all’estero, dopo gli intensi movimenti degli anni ’50 e ’60, e` andata ridimensionandosi negli anni ’70 e fortemente riducendosi nei tre decenni successivi, fino a collocarsi al di sotto delle 40.000 unita` annue. Invece, a partire dalla crisi del 2008 e specialmente nell’ultimo triennio, le partenze hanno ripreso vigore e, secondo stime, hanno raggiunto gli elevati livelli postbellici, quando erano poco meno di 300.000 l’anno gli italiani in uscita. 
 
Secondo l’ultimo rapporto Istat, continua a crescere il numero delle emigrazioni (cancellazioni dall’anagrafe per l’estero), nel 2015 sono 147 mila, l’8% in più` rispetto al 2014. Tale aumento e` dovuto esclusivamente alle cancellazioni di cittadini italiani (da 89 mila a 102 mila unita`, pari a +15%), mentre quelle dei cittadini stranieri si riducono da 47mila a 45 mila (-6%). Le principali mete di destinazione per gli emigrati italiani sono Regno Unito (17,1%), Germania (16,9%), Svizzera (11,2%) e Francia (10,6%). Sono sempre di più` i laureati italiani con più` di 25 anni di età` che lasciano il Paese (quasi 23 mila nel 2015, +13% sul 2014); l’emigrazione aumenta anche fra chi ha un titolo di studio medio-basso (52 mila, +9%). Gli emigrati di cittadinanza italiana nati all’estero ammontano a oltre 23 mila: il 55% torna nel Paese di nascita, il 37% emigra in un Paese dell’Unione europea, il restante 8% si dirige verso un Paese terzo non Ue. 
Negli ultimi cinque anni le immigrazioni si sono ridotte del 27%, passando da 386 mila nel 2011 a 280 mila nel 2015. Le emigrazioni, invece, sono aumentate in modo significativo, passando da 82 mila a 147 mila. Il saldo migratorio netto con l’estero, pari a 133 mila unita` nel 2015, registra il valore più` basso dal 2000 e non e` più` in grado di compensare il saldo naturale largamente negativo (-162 mila). Sulle complessive 147 mila emigrazioni per l’estero registrate nel 2015, soltanto 45 mila riguardano cittadini stranieri, contro 102 mila di cittadini italiani (70%), un numero quest’ultimo in crescita del 15% rispetto al 2014 e più` che raddoppiato in cinque anni. Gli italiani rientrati dall’estero nello stesso anno ammontano invece a 30 mila. I due flussi danno origine cosi` a un saldo migratorio negativo dei soli cittadini italiani di 72 mila. Nel 2015, il saldo migratorio con l’estero degli italiani con almeno 25 anni evidenzia una perdita di residenti pari a 51 mila unita`, di cui tre su dieci (15 mila) sono individui in possesso di laurea. Una significativa perdita di residenti riguarda anche coloro in possesso di un titolo di studio fino al diploma di scuola media superiore (-36 mila). 
Nel 2016 sono stati 114.512 gli italiani che si sono trasferiti all’estero. Erano 84, 73.415 nel 2014, e solo 37.129 nel 2009. Una crescita di 3 volte, dunque, accelerata nell’ultimo anno. Non vi sono grandi Paesi che abbiano vissuto una crescita del fenomeno paragonabile all’Italia. Anzi, in gran parte dei casi, con la fine della crisi economica vi è stato anche un calo del numero di emigrati. Un caso peculiare è quello spagnolo. Si è passati da 75.765 a 67.738 tra il 2015 e il 2016, nello stesso lasso di tempo in cui in Italia sono cresciuti di 30 mila. Uno dei tanti segni della differenza tra la ripresa spagnola, che viaggia a ritmi per noi inarrivabili, e la nostra. 
 
Chi se ne va?  
Certo, in gran parte sono i giovani tra i 25 e i 34 anni, che componevano nel 2015 più del 45% del totale degli emigranti. E tuttavia dal 2011 sono cresciuti più di tutti i giovanissimi, tra i 20 e i 24 anni, +225%. C’è un piccolo picco, +109,6%, anche tra i 50-54enni. La crescita dell’esodo di italiani in generale non trascura nessuna età. Il Regno Unito continua ad essere la meta preferita dei laureati (quasi 4 mila), davanti a Germania (oltre 3 mila) e Svizzera (più` di 2 mila). La residenza favorita da coloro che posseggono un titolo di studio fino al diploma, invece, e` la Germania (9 mila) seguita dal Regno Unito (8 mila). Infine, tra le mete oltre oceaniche, ci si reca soprattutto negli Stati Uniti (quasi 4 mila) e in Brasile (3 mila), movimenti che interessano, nel 36% dei casi, italiani in possesso di laurea. Gli immigrati italiani con più` di 24 anni sono 22 mila, quasi mille in più` rispetto all’anno precedente. Di essi, oltre 7 mila posseggono la laurea (35%), circa 14 mila hanno un titolo di studio medio-basso (65%) e provengono prevalentemente da Germania, Svizzera e Brasile. 
Oggi gli italiani emigrano, in proporzione agli abitanti, più di spagnoli e tedeschi, cosa mai accaduta prima. Se non fosse per l’improvvisa crescita di “cervelli in fuga” britannici nel 2016 (dovuta alla Brexit?) anche il Regno unito sarebbe superato. Anche volendo allargare il confronto a tutti i Paesi europei, anche quelli minori, l’Italia si è piazzata tra il 2015 e il 2011, gli anni i cui dati sono disponibili su Eurostat, al quarto posto quanto ad aumento dell’emigrazione degli autoctoni, con un +104,3%. Con il balzo del 2016 l’Italia sarebbe prima, davanti anche a Croazia, Ungheria, Slovenia. 
A emigrare dunque sono sempre più` persone giovani con un livello di istruzione superiore. Tra gli italiani con più` di 25 anni, registrati nel 2002 in uscita per l’estero, il 51% aveva la licenza media, il 37,1% il diploma e l’11,9% la laurea ma, già` nel 2013, l’Istat ha riscontrato una modifica radicale dei livelli di istruzione tra le persone in uscita: il 34,6% con la licenza media, il 34,8% con il diploma e il 30,0% con la laurea, per cui si può` stimare che nel 2016, su 114.000 italiani emigrati, siano 39.000 i diplomati e 34.000 i laureati. Le destinazioni europee più` ricorrenti sono la Germania e la Gran Bretagna; quindi, a seguire, l’Austria, il Belgio, la Francia, il Lussemburgo, i Paesi Bassi e la Svizzera (in Europa si indirizzano circa i tre quarti delle uscite) mentre, oltreoceano, l’Argentina, il Brasile, il Canada, gli Stati Uniti e il Venezuela. 
Questi dati meritano, già` di per sé, un’attenta considerazione anche perché´ ogni italiano che emigra rappresenta un investimento per il paese (oltre che per la famiglia): 90.000 euro un diplomato, 158.000 o 170.000 un laureato (rispettivamente laurea triennale o magistrale) e 228.000 un dottore di ricerca, come risulta da una ricerca congiunta condotta nel 2016 da Idos e dall’Istituto di Studi Politici “S. Pio V” sulla base di dati Ocse. 
 
Secondo diverse autorevoli fonti (Idos e Aire), i flussi effettivi dell’emigrazione sono ben più` elevati rispetto a quelli registrati dalle anagrafi comunali, e quindi dall’Istat, come risulta dagli archivi statistici dei paesi di destinazione, specialmente della Germania e della Gran Bretagna (un passaggio obbligato per chi voglia inserirsi in loco e provvedere alla registrazione di un contratto, alla copertura previdenziale, all’acquisizione della residenza e cosi` via). 
Come emerso in alcuni studi, rispetto ai dati dello Statistisches Bundesamt tedesco e del registro previdenziale britannico (National Insurance Number), le cancellazioni anagrafiche rilevate in Italia rappresentano appena un terzo degli italiani effettivamente iscritti. Pertanto, i dati dell’Istat sui trasferimenti all’estero dovrebbero essere aumentati almeno di 2,5 volte e di conseguenza nel 2016 si passerebbe da 114.000 cancellazioni a 285.000 trasferimenti all’estero, un livello pari ai flussi dell’immediato dopoguerra e a quelli di fine Ottocento. Peraltro, non va dimenticato che nella stessa Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero il numero dei nuovi registrati nel 2016 (225.663) e` più` alto rispetto ai dati Istat. Naturalmente, andrebbe effettuata una maggiorazione anche del numero degli espatriati ufficialmente nel 2008-2016, senz’altro superiore ai casi registrati (624.000). 
Sono queste le conclusioni cui si giunge nel capitolo che, il Dossier Statistico Immigrazione 2017, dedica agli italiani nel mondo. I flussi dell’emigrazione italiana verso l’estero, cosi` si conclude nel rapporto, meritano maggiore attenzione: “Innanzi tutto sotto l’aspetto quantitativo, avendo raggiunto, se non superato, i livelli conosciuti dall’Italia quando si concepiva ancora come un paese di emigrazione. Ma va preso in considerazione anche l’aspetto qualitativo, perché´ e` elevato il numero di diplomati e laureati coinvolti. Seppure in un contesto globalizzato la mobilita` rappresenti una prospettiva normale, e` necessario attuare una politica occupazionale più` incisiva e occuparsi con maggiore concretezza dell’assistenza a quanti si sentono costretti a emigrare, assicurando loro in pieno il diritto di essere cittadini italiani, incluso il voto”. 
Secondo il rapporto “Il lavoro dove c’e`” presentato a Roma dall’Osservatorio statistico dei Consulenti del lavoro un esercito di 509.000 connazionali si e` cancellato dall’anagrafe per trasferirsi all’estero per motivi di lavoro tra il 2008 e il 2016. La prima destinazione degli italiani in fuga dalla crisi e` stata la Germania, dove nel solo 2015 in 20mila hanno trasferito la residenza; al secondo posto la Gran Bretagna (19mila) e al terzo la Francia (oltre 12mila). L’esodo occupazionale degli italiani verso l’estero, si legge nel dossier dei Consulenti, ha subito un significativo incremento a partire dal 2012, anno in cui a fare le valigie erano state 236.160 persone, cifra salita a 318.255 nel 2013 e a 407.114 nel 2014, per poi superare il mezzo milione nel 2015. Ma non sono stati solo gli italiani ad abbandonare la penisola: tra il 2008 e il 2016 quasi 300mila cittadini dell’Est dell’Europa, in particolare romeni, polacchi, ucraini e moldavi, sono tornati in patria perché` il costo del trasferimento di residenza nel nostro Paese «non era più` giustificato dai redditi da lavoro percepiti». 
Gli italiani da sempre sono andati a cercar fortuna all’estero. Dal 1870 al 1970 si sono registrati circa 27 milioni di espatri. I discendenti italiani oggi nel mondo sono stimati tra 60 e 80 milioni, oltre i circa 5 milioni di italiani di passaporto. In quest’ultimo decennio il fenomeno dell’emigrazione italiana si è fortemente riattivato, invertendo il modello precedente, dal 1970 al 2005, caratterizzato invece da un saldo migratorio negativo. 
 
Dai diversi dati Istat/Aire (cancellazioni di residenza e iscrizioni negli elenchi dei residenti all’estero) si rileva un aumento costante dei flussi di nuova emigrazione dall’Italia, in particolare dal 2006 in poi. Secondo i dati Aire, il numero di italiani all’estero e` passato da 3.106.251 (2006) a 4.636.647 (2015), con una crescita del 49,3% in 10 anni. Circa 1,45 milioni in più`. I dati aggiornati dovrebbero registrare un aumento almeno analogo a quello tra 2014-2015 (oltre 150mila), per cui dovremmo attestarci attualmente intorno ai 4.8 milioni. L’aumento riguarda tutte le aree: (+ 508.000 EU28) – (+ 809.000 Americhe) – (+127.500 Resto del mondo). 
Secondo l’Aire, il motivo delle registrazioni all’anagrafe e` cosi` ripartito: 52,7% per espatrio e/o residenza all’estero, 39,2% per nascita e registrazione nell’archivio di stato civile, 3,5% per reinserimento da irreperibilità`, 1,3% per trasferimento da altro paese estero o consolato e 3,3% per acquisizione di cittadinanza italiana. 
Negli ultimi dieci anni, la crescita dei nuovi esodi e` stata costante e si e` passati da 39.155 cancellazioni di residenza all’anno per espatri del 2004 agli oltre 100.000 nel 2014. Nello stesso lasso di tempo (dieci anni) risultano quindi emigrati definitivamente all’estero circa 600.000 italiani. 
Dunque, come scrive Pugliese (in La nuova emigrazione italiana, Ca Foscari 2015) “La crisi in corso – si sa – ha investito diversamente i diversi Paesi e le diverse regioni. E l’Italia rappresenta una delle aree più` colpite. Non c’e` da meravigliarsi, dunque, se la presenza italiana all’estero risulta aumentata sia se si considerano i dati dell’Aire sia se si considerano i dati Istat sui movimenti anagrafici della popolazione. Anche per l’emigrazione all’estero la ripresa non e` degli anni della crisi e neanche degli ultimi anni, ma certamente si può` dire che la crisi ha potenziato l’effetto di spinta. Come si diceva, i dati relativi alle cancellazioni anagrafiche (anzi ai saldi: iscritti meno cancellati) forniscono solo una semplice indicazione del fenomeno, che di certo e` di portata superiore. 
Ma ciò` che conta e` l’esistenza della ripresa, fatto piuttosto imprevisto fino agli inizi della crisi negli anni scorsi. Cosi` come e` sorprendente il fatto che la principale provenienza non sia più` il Mezzogiorno bensì` il Centro-Nord, segno anche degli effetti della crisi sull’intero territorio nazionale. Come e` già` stato autorevolmente spiegato, in Europa la crisi e` ormai limitata ai Paesi mediterranei. E questo si riflette anche sulla situazione degli immigrati. 
“I flussi di nuova emigrazione, che si registrano nell’ultimo decennio, sono determinati esclusivamente dal mercato, sia all’interno della UE (definita come nuova mobilita` legata al mercato unico e agli accordi di libera circolazione-trattato di Schengen), sia oltre oceano. Non vi sono specifici accordi bilaterali, ne´ accordi “compensativi” tra paesi erogatori e paesi accettori. 
Non vi sono, sul piano istituzionale, misure di orientamento e accompagnamento specifico dei nuovi migranti alla partenza; quelli all’arrivo sono lasciati alla capacita` individuale del singolo lavoratore e al gradimento di queste qualità` che si registra nel mercato del lavoro del paese di accoglienza. Questo gradimento e` determinato dal livello di qualificazione e di competenze di cui e` portatore il singolo migrante. 
 
Siccome le modificazioni del mercato del lavoro risentono dei movimenti di capitale a livello globale (che sono sempre più` rapidi), i flussi di emigrazione li seguono e si muovono verso i diversi paesi che di volta in volta risultano più` appetibili sul piano delle opportunità`. 
Analogamente, l’integrazione nei paesi di arrivo e` legata a queste qualità` individuali differenziate, per cui e` difficile parlare di movimenti di nuove collettività` migranti che, come avvenuto nel dopoguerra, assumono una progressiva consapevolezza della loro funzione all’interno del mercato del lavoro e della società` di accoglienza e la trasformano in coscienza sindacale e politica. Ciò` era invece possibile all’interno di una configurazione produttiva fordista che richiedeva l’”operaio-massa”. Oggi siamo invece in un contesto di “anomia e individualismo migratorio”. 
Da questo punto di vista e in termini di insediamento nei paesi di arrivo, la nuova emigrazione, pur con livelli culturali e di competenze molto più` elevate, torna ad assomigliare a quella di fine ‘800 e inizio ‘900. 
La nuova emigrazione può` essere considerata come una della più` significative manifestazioni della crisi attuale del paese (e anche degli altri paesi del sud Europa) e allo stesso tempo una delle manifestazioni più` preoccupanti della proiezione declinante dell’Italia nello scenario internazionale. Ed e` forse (una valutazione che lasciamo agli storici) la conferma di una caratteristica strutturale dell’incapacità` di valorizzazione del proprio capitale umano, del nostro paese. Per i seguenti motivi: 
 
a) medio-alta scolarizzazione della nuova emigrazione (oltre il 60% risulta diplomato o laureato) 
b) la nuova emigrazione si sviluppa in uno scenario globale di flessione e di crisi economica e non di sviluppo, come avvenuto nei periodi 1900-1915 o 1945-1970. 
c) la nuova emigrazione si sviluppa in uno scenario di flessione demografica del paese (accanto ad una parallela flessione che riguarda anche gran parte dei paesi che costituiscono meta di arrivo degli italiani) e non, come avvenuto dei periodi precedenti, di crescita e surplus demografico. 
 
L’impressione e` che quindi ci si trovi di fronte ad una nuova tipologia di migrazione che potrebbe essere definita “estrattiva” o di drenaggio di risorse, analogamente a quanto si definisce con questo termine, lo sfruttamento intensivo delle risorse naturali nei paesi periferici, ripreso negli ultimi decenni, da parte del grande capitale multinazionale che trova la sua collocazione solo in alcuni paesi guida, e in contrasto con ipotesi alternative di sviluppo che compendiano la possibilità` di una crescita sostenibile dal punto di vista sociale ed ecologico. Cioè` di un equilibrio tra risorse disponibili e paesi/aree/continenti. Ovviamente, questo e` un discorso che riguarda sia la nostra nuova emigrazione che l’immigrazione terzomondiale verso l’Italia e l’Europa.” (Appunti per relazione seminario Fondazione Di Vittorio, 12 aprile 2016 Rodolfo Ricci (FIEI – Federazione Italiana Emigrazione Immigrazione) 
 
Con una crisi che ha distrutto oltre il 20% del potenziale industriale del Paese, ci troviamo di fronte ad uno scenario analogo a quello di un dopoguerra, con esuberi di risorse umane rispetto al potenziale industriale attivo, pur in presenza di un deficit demografico. 
Dal punto di vista dei paesi di destinazione, l’emigrazione qualificata soddisfa l’esigenza a breve termine del sistema economico dei paesi di arrivo e risulta indispensabile anche per contenere il proprio deficit demografico: “Il che equivale a dire che il posizionamento internazionale di paesi che fino ad ora erano relativamente collocati su livelli simili, pur con differenziazioni importanti, può` bruscamente e definitivamente variare in direzione di una ricollocazione nei livelli medio-bassi della divisione internazionale del lavoro (per l’Italia)”. (Ricci) 
Nei paesi di partenza, se questo trend si consolida, inevitabilmente, ci si troverà` di fronte, a medio termine, a ricadute negative: peggioramento dell’equilibrio demografico e carenza di competenze di medio-alto livello per lo sviluppo. La nuova emigrazione, può` costituire grandi opportunità per i paesi di arrivo e un grande problema nazionale per quelli di partenza. 
 
“Si può` aggiungere un’altra considerazione riferita alla tipologia e, diciamo cosi`, all’immaginario di questi nuovi migranti; da quello che sappiamo, questi giovani o relativamente giovani migranti non pensano a rientrare; non pensano neanche a costruirsi la casa in Italia, a prescindere dal grado di nostalgia che come ogni migrante provano; sono molto realisti: hanno molti dubbi che il nostro paese possa riproporre loro condizioni di lavoro e di vita dignitose o soddisfacenti a breve o medio termine. Se e` cosi`, si può` essere certi che le agognate rimesse per contribuire al pareggio delle partite correnti e quindi alla diminuzione del debito, non vi saranno, o saranno molto irrisorie; difficilmente vi saranno le opportunità` di sviluppo immobiliare finanziate nel dopoguerra in molte aree arretrate del paese, dai capitali degli emigrati. La nuova emigrazione e` in effetti, il prodotto di un fallimento; sociale e politico. È l’incapacità` di valorizzazione di un bene prezioso – e scarso – su cui si e` investito, non di un bene in sovrappiù` demografico, e forse rimpiazzabile, come poteva ritenersi nel dopoguerra da un paese sconfitto (“imparate una lingua e andate all’estero”)”. (Ricci) 
Sarebbe da esplorare un altro elemento che pure caratterizza questo nuovo ciclo migratorio italiano: il desiderio di andare via dall’Italia. Spesso, chi ora lascia l’Italia – specie i più` giovani – non lo fa soltanto perché´ e` costretto, per mancanza di lavoro o per l’impossibilita` oggettiva di percepire uno stipendio dignitoso che consenta la programmazione del futuro. Chi emigra oggi lo fa anche perché´ e` spinto da un contesto culturale e politico asfissiante, che non consente di intravedere un orizzonte di speranze, che brucia sul nascere perfino l’immaginario di un mondo e di una esistenza migliori. 
Gli ultimi venti anni in Italia sono stati anche gli anni dei ripetuti grandi scandali di corruzione e di malaffare, gli anni della scoperta dell’inquinamento (anche ambientale) capillare del territorio da parte delle mafie, gli anni della diffusione molecolare dell’ideologia neoliberista, improntata sulla competizione, sull’apparenza, sul successo finanziario, sul trionfo dell’individualismo, del sessismo, del cinismo e della sopraffazione. Il tutto – va detto – giustificato e accompagnato dalla retorica del ‘merito’, nel cui orizzonte semantico e di senso e` pero` cancellato ogni nesso sussistente tra ‘merito’ e privilegi di classe. 
Questo quadro della nuova emigrazione e di alcune sue cause dovrebbe almeno chiarire che vi e` già` stata una sconfitta sociale e politica che e` al tempo stesso la sconfitta del Paese nella sua interezza, sconfitta, che probabilmente terra` il paese sotto scacco per molto tempo: quella per la quale non risulta possibile fare gli investimenti sul capitale umano di cui il paese dispone. 
 
Lasciare andare milioni di persone, in questo momento, significa accettare il ruolo subalterno che qualcuno (l’élite globali e le frazioni globalizzata del capitalismo nazionale) ha disegnato per noi, con l’abbaglio che possediamo alcuni settori “fuori mercato” che nessuno ci toglierà` mai: beni culturali, turismo, gastronomia, design, ecc. 
Anche l’ipotesi, da diverse parti proposta, di dirigere l’emigrazione verso aree di potenziale interesse italiano, in Africa, in Sud America e nei paesi del mediterraneo, provando ad orientare i nuovi flussi di emigrazione verso destinazioni diverse da quelle prevalenti, senza quindi rafforzare i naturali competitori ma accedendo a posizioni strategiche in aree di nuovo sviluppo, con un investimento a lungo termine verso paesi emergenti che potrebbero cooperare in prospettiva con il nostro paese, alimentando lo sviluppo di queste zone, contribuendo a ridurre il divario nord-sud e anche riducendo la pressione immigratoria, sembra di difficile attuazione, soprattutto per il livello di attuali capacità politiche nazionali, e comunque tardiva, rispetto al posizionamento assunto in queste aree sia dalle potenze occidentali che dalla Cina, ed ora anche dall’ India. 
Piuttosto la risoluzione del problema della nuova emigrazione e della cosiddetta fuga di cervelli, e anche di imprese, potrebbe derivare dalla decisa ripartenza di una politica economica ed industriale diretta a tutelare e valorizzare le produzioni locali, ad incentivare la nascita di nuove imprese, a deprecarizzare il lavoro, ad aiutare le innovazioni. 
 
In Russia esiste una emigrazione degli intellettuali: si passa il confine per leggere e scrivere buoni libri. Ma così si fa in modo che la patria, abbandonata dallo spirito, diventi sempre più la bocca spalancata dell’Asia, che vorrebbe inghiottire la piccola EuropaF. Nietzsche 
Licenza Creative Commons  19 Marzo 2018