Questo Sito non ha fini di lucro, né periodicità di revisione. Le immagini, eventualmente tratte dal Web, sono di proprietà dei rispettivi Autori, quando indicato.  Proprietà letteraria riservata. Questo Sito non rappresenta una Testata Giornalistica in quanto viene aggiornato senza nessuna periodicità. Pertanto non può essere considerato, in alcun modo, un Prodotto Editoriale ai sensi e per gli effetti della Legge n.62 del 7 Marzo 2001.
 
 
Scarica il PDF della situazione
Ogni individuo ha diritto alla libertà di opinione e di espressione incluso il diritto di non essere molestato per la propria opinione e quello di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a frontiere.
Interni
Esteri
Cultura
Il parolaio
 
Si chiama eversione
 
Quella di Mattarella si chiama eversione. La nostra sovranità limitata ora è dichiarata 
di Ninni Raimondi
 
Da oggi, l’idea che le nostre politiche economiche, le nostre relazioni internazionali e, più in generale, l’insieme delle linee politiche del governo della nazione non dipendano dalla volontà popolare e dalle “libere elezioni” è un caposaldo dottrinario dello Stato. Lo ha messo nero su bianco la figura istituzionale più alta, il Presidente della Repubblica. Non lo sapevamo forse già? Non lo dicevamo forse da anni? Certamente, ma non è la stessa cosa che un servaggio sia implicito o esplicito. Può anche essere migliore la seconda ipotesi, in quanto più chiara e onesta, ma in ogni caso non si può dire che non cambi nulla. Cambia, eccome. Da oggi la nostra sovranità limitata è dichiarata, con tutto quel che ne consegue. 
Ovviamente gli editoriali dei giornaloni stanno facendo a gara nel proporre interpretazioni benevole del golpe mattarelliano.  
“È nelle sue prerogative”, è il nuovo mantra.  
 
No, non lo è, invece.  
Basta leggerla, la Costituzione.  
È già successo, in passato, che il Quirinale ponesse dei veti a un ministro: si cita spesso quello opposto a Cesare Previti, che il primo Berlusconi avrebbe voluto alla Giustizia. Ma il Capo dello Stato ritenne che non fosse opportuno che il premier facesse Guardasigilli il suo avvocato. Non si impose, tuttavia, la linea politica che quel governo avrebbe dovuto tenere sulla giustizia. Era un problema relativo alla singola persona, non al programma di governo, su cui il Quirinale non può mettere bocca. 
Stavolta è diverso. Malgrado i depistatori vari sostengano il contrario, stavolta Mattarella non ha opposto un veto ad personam e la scelta di Salvini e Di Maio non va letta come un’impuntatura sul singolo ministro: se Conte avesse proposto una rosa di venti nomi, tutti con le stesse idee di Savona, Mattarella li avrebbe bocciati tutti e venti. E questa cosa ha un nome: eversione. L’eversione vera, non quella del solito gruppuscolo estremista di tanto in tanto sbattuto in prima pagina come pericolo per l’ordine costituito. Mattarella ha sancito un principio istituzionale inedito, che non sta nella Carta, per quanto la si legga e la si rilegga: quello secondo cui la linea politica del governo la decide lui. 
 
Qual era la posizione che il Presidente della Repubblica ha giudicato irricevibile? L’uscita dall’Euro. Il che è già grave, perché si può essere favorevoli o contrari all’abbandono della moneta europea, ma si dovrebbe essere tutti d’accordo nel ritenere che essa non sia un dogma istituzionale sottratto all’intervento della politica. Mattarella, però, ha detto anche qualcosa di peggiore: non solo non si può avere un governo anti-Euro, ma non si può avere nemmeno un governo che dia ai mercati l’impressione di essere tale, anche se non lo è. Né Savona, né Conte e, se è per questo, Di Maio o Salvini avevano mai detto di voler uscire dall’Euro. Ma il fatto di aver dato questa idea ai mercati è bastato a sbarrare loro la strada. La discrezionalità del Quirinale sul governo si fa quindi assoluta: non basta garantire di non volere una cosa, perché magari i mercati pensano che tu quella cosa la vuoi lo stesso e allora sei fuori lo stesso.  Questo è lo stato della democrazia italiana a maggio 2018. 
Certo, si poteva scaricare Savona e accettare Giorgetti, il leghista che piace agli americani (il che la dice lunga, comunque, sulle poste in gioco reali della questione, ben oltre lo specchietto per le allodole dell’Euro). Mattarella, secondo indiscrezioni mai smentite, avrebbe fatto più volte pressioni per l’esponente del Carroccio. Il che contraddice di nuovo la Carta: se il veto del Quirinale ai ministri è al limite del  dettato costituzionale (vi può rientrare, ma non con le motivazioni usate da Mattarella), il fatto che sia il Capo dello Stato a proporre, se non a imporre, i ministri al presidente del Consiglio, è fuori da ogni legalità e sfidiamo chiunque a trovare mezza riga della Costituzione che giustifichi questa cosa. Ed è, soprattutto, un commissariamento di fatto del governo da parte del Quirinale e di quelle forze nazionali e internazionali di cui il Quirinale si è fatto garante. 
 
Questa è la verità. Tutto il resto è cinema. A cominciare dalle argomentazioni pro Mattarella da parte di certi editorialisti. Il Quirinale, dicono, non si è opposto alla volontà popolare, perché l’alleanza fra Lega e M5s non era stata proposta in campagna elettorale, né in quella circostanza era stato fatto il nome di Savona. Ed ecco, quindi, che quelli pronti a irridere chi parlava di “premier non eletti dal popolo” (“siamo in una repubblica par-la-men-ta-re”, scandivano), si scordano ora del Parlamento e della libertà insindacabile degli eletti, sostenendo che “dovevano dirlo prima”. Se i grillini propongono il vincolo di mandato sono degli analfabeti funzionali, se i giornalistoni sostengono che puoi fare solo le alleanze che hai dichiarato in campagna elettorale, che è un altro modo per dire vincolo di mandato, sono dei geni. È così che va. Almeno finché è possibile tirare la corda. Poi, a un certo punto, quando nessuno più se l’aspetta, la corda si rompe. E allora che succede? 
Licenza Creative Commons  29 Maggio  2018
2013
2014
2015
2016
2017
2018