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Giovanni Falcone, Leoluca Orland
Giovanni Falcone, Leoluca Orlando e la sinistra smemorata 
di Ninni Raimondi
 
Leoluca Orlando, classe ’47 e sindaco “ribelle” di Palermo, attaccò ferocemente Falcone proprio qualche mese prima che il magistrato venisse assassinato dalla mafia.  
Lo stesso Orlando, dopo quasi 30 anni, rischia di diventare il nuovo leader nazionale di una sinistra ultra-radical-chic che dimostra, ancora una volta, di non avere né memoria storica né visione del futuro. 
Un attacco, quello di Orlando contro Falcone, che costrinse il magistrato ad una strenua difesa dinanzi al Consiglio Superiore della Magistratura e che non consentì allo stesso Falcone di conoscere l’esito di quel procedimento perchè la delibera di archiviazione giunse solo dopo la sua morte.  
Dalla ricostruzione di quei giorni effettuata, dopo la desecretazione degli atti avvenuta lo scorso anno, dal dott. Antonio Ardituro, già consigliere del Csm, si evince la tragicità di quei momenti e la lucidità della difesa di Falcone che merita di rimanere scolpita nella memoria collettiva. 
 
“Il 5 e l’11 settembre 1991 – scrive Ardituro – giunsero al Consiglio Superiore della Magistratura due esposti, uno a firma dell’avv.  
Giuseppe Zupo, l’altro a firma del prof. Leoluca Orlando, del prof. Alfredo Galasso e di Carmine Mancuso, contenenti critiche alla gestione delle indagini riguardanti la criminalità organizzata di tipo mafioso”, gli esposti di Orlando e compagni chiedevano al Presidente della Repubblica l’avvio di un’inchiesta sull’operato delle istituzioni giudiziarie e sui magistrati della Procura della Repubblica di Palermo.  
“Nello specifico – continua Ardituro – gli esponenti contestavano a Giovanni Falcone di non aver adeguatamente valorizzato, nei processi per i cosiddetti omicidi politici (Reina, Mattarella, La Torre e Dalla Chiesa), elementi documentali già in atti e di non aver approfondito filoni d’indagine in precedenza avviati dal defunto procuratore Costa e coltivati poi dal Consigliere Istruttore Chinnici, nonché di non aver attribuito la giusta valenza alle dichiarazioni eteroaccusatorie rese dai collaboratori di giustizia Pellegriti e Calderone, ai fini del disvelamento del contesto politico che faceva da sfondo alle più recenti evoluzioni dell’organizzazione criminale denominata Cosa Nostra”. 
Il 15 ottobre del 1991 Falcone è chiamato in audizione dinanzi alla Prima commissione.  
“Il clima è davvero teso, e l’audizione si svolge in modo concitato – racconta Ardituro – con l’incalzare delle domande dei commissari e una crescente insofferenza dell’audito, chiamato di fatto a discolparsi da accuse di avere tenuto le prove nei cassetti o, comunque, di aver fatto male le indagini.  
Il relatore definisce le accuse contenute negli esposti con la locuzione doveri trascurati”. 
Accuse gravissime rivolte contro l’eroe del maxiprocesso, che aveva inchiodato e fatto condannare centinaia di mafiosi a migliaia di anni di carcere, fendenti che giungevano quando Falcone era stato indebolito ed isolato da polemiche, accuse, guerre e torti provenienti da più settori ed anche da segmenti della magistratura.  
Da accusatore Falcone viene incredibilmente trasformato in accusato. 
“Falcone spiega nel dettaglio il perché di certe scelte investigative, rintuzza punto per punto il contenuto degli esposti che il relatore gli sottopone, fino a dichiararsi in alcuni passaggi dell’audizione sdegnato per certe accuse strumentali e in malafede degli esponenti – continua nel suo racconto della vicenda Ardituro – incalza, poi, le accuse di essere un insabbiatore, proprio lui che, invece, aveva consentito a tantissimi fatti oscuri di venire alla luce con le sue indagini e, soprattutto, con la più grande indagine bancaria mai fatta in un procedimento. Certo è – Ardituro riporta le parole di Falcone – che mi sento di respingere, con sdegno, che ci sia stata una differenza di intensità fra prima e dopo la sentenza del maxi processo”. 
 
Prima dell’audizione Falcone provò a difendersi dagli attacchi martellanti lanciati da Orlando sui media con una intervista rilasciata al quotidiano La Repubblica durante la quale rivolgendosi al suo accusatore disse: “Se il sindaco sa qualcosa faccia nomi e cognomi, citi i fatti, si assuma tutta la responsabilità di quello che ha detto.  
Altrimenti taccia: non è lecito parlare in assenza degli interessati…”. Orlando rispose con una intervista al quotidiano L’Unità dal titolo eloquente: “Indagate sui politici, i nomi ci sono”. 
Perchè Orlando attaccò così ferocemente Falcone? Secondo Claudio Martelli, ex Ministro della Giustizia, la spiegazione sta scritta nei verbali dell’interrogatorio al quale Falcone fu sottoposto al Csm. “E’ lo stesso Falcone a dare una spiegazione a quella insinuazione atroce rivolta verso il giudice che debellò la cupola mafiosa – spiega Martelli ad un convegno svoltosi a Palermo nel giugno del 2017 – lo dice chiaro e tondo: «Forse il sindaco di Palermo non ha sopportato che io indagassi su grandi appalti che riguardano l’illuminazione e le fognature di una grande città, perché ci sono appalti e appalti: i piccoli e quelli miliardari. E io indagando su quelli miliardari, nel caso di Paermo ho scoperto che con Orlando sindaco, Ciancimino era tornato a imperare».  
Eravamo nel 1991 – conclude Martelli – e si voleva considerare Ciancimino fuori dai giochi, ma non era così. Questa era la cosa che fece impazzire di rabbia Orlando. L’accusa rivolta a Falcone sarebbe una ritorsione polemica”. 
 
La storia ha consacrato Giovanni Falcone istituzionalizzando il suo modello con la nascita delle Direzioni distrettuali e della Procura nazionale antimafia e con la ricerca di sempre maggiore specializzazione, coordinamento investigativo, priorità e cultura della prova. A sinistra, invece, santificano Orlando. 
Licenza Creative Commons  6 Gennaio 2019
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