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Kirkuk città aperta
Irak: Kirkuk, città aperta, si offre ai Curdi   
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L'antica base militare aerea di Kirkuk è molto più di una semplice installazione militare. Sulla pista, alcuni soldati curdi, un po’ assonnati e scanzonati come su una panchina, passeggiano all'ombra della vecchia carcassa di un Mig arrugginito.  
Tutto il resto è stato saccheggiato in questi ultimi giorni, grazie al caos nel nord dell'Iraq. La maggior parte delle armi si sono volatilizzate; prese da civili o confiscate dalle forze di sicurezza. Mobili e attrezzature sono state caricate su dei camion. Due o tre dozzine di carri armati, abbandonati dalla dodicesima divisione dell'esercito iracheno, sono stati presi in consegna dalle autorità curde. 
I Curdi di pattuglia intorno ai campi petroliferi sono, ancora, una forza speciale relativa al controllo di Baghdad. 
I Curdi sono lì da poco meno di tre anni, proprio nel campo base K1, dove c’erano oltre cinquemila soldati americani che erano stati un modello da seguire. Dopo la partenza delle truppe alla fine del 2011, la base di Kirkuk è stato oggetto di una intensa trattativa e finalmente è stata restituita all'esercito iracheno. Mercoledì 11 giugno, mentre gli jihadisti del sedicente “Stato Islamico in Iraq e del Levante” (EIIL o Da'esh) muovevano verso la città petrolifera, i soldati in uniforme irachena si ritiravano, come avevano già fatto a Mosul. 
 
Nell’immediato, tremila peshmerga hanno preso il loro posto,  con il controllo della città che è da sempre la culla della cultura e dell'identità dei curdi iracheni, . "Kirkuk è caduta nelle nostre mani e non rimarrà ai soldati iracheni", ha detto Jabbar Yawar con orgoglio, Segretario Generale del Ministero dei Peshmerga della regione autonoma del Kurdistan, all'indomani della vittoria di  guerra. La bandiera del Kurdistan è baciata dal sole, sull’armata basata a K1. 
L'obiettivo della conquista di  Kirkuk è stato porre un primo cordone avverso i jihadisti dell’EIIL. "Quello che è stato a Mosul non accadrà a Kirkuk", ha avvertito il Ministro dei Peshmerga. Diecimila dei suoi uomini, con non più di cinquemila agenti di polizia, sono stati schierati per proteggere la città, le centrali elettriche e gli impianti petroliferi. 
Dal 2003, la polizia irachena composta principalmente da curdi, ma anche da arabi e turchi, ha pagato un prezzo troppo pesante per cercare di salvaguardare la regione presa di mira dagli attacchi. L’8 e il 9 giugno trentotto persone sono morte a Jalawla e Tuz-Khurmatu nell'esplosione di alcune bombe contro i locali dell'Unione Patriottica del Kurdistan (PUK), il partito curdo del presidente iracheno Jalal Talabani, principale forza politica della zona di Kirkuk. 
 
"Il conflitto tra sciiti e sunniti non è mai veramente finito, fin dal 2003 e i vecchi baatisti [ex sostenitori di Saddam Hussein] sono i veri cervelli di questa offensiva", ha detto Karim Necmettin, governatore della provincia. 
Venticinque km a sud della città, nei distretti a maggioranza araba dove ci sono gli insorti dell’EIIL, diverse centinaia di soldati curdi sono stati inviati ad occupare le posizioni abbandonate dall'esercito di Baghdad.
"Lungo questa nuova linea del fronte, i colpi di mortaio, sono all’ordine del giorno", dice il colonnello peshmerga Talib Farouk, mentre salta su un grosso 4x4. "Da'esh ha tentato di prendere questo posto,  ma penso semplicemente che abbiano cercato di metterci alla prova ", dice. 
 
Dieci dei suoi uomini sono stati feriti in combattimento, mentre una ventina di militanti islamici sono stati uccisi. All'ultimo checkpoint su un piccolo tumulo di terra, utilizzato come posto di osservazione, il colonnello mostra i percorsi di pianura a sud e i villaggi in cui ora campeggia la bandiera nera della Jihad. "I Sunniti, di questi villaggi, sostengono l’EIIL, compreso Hawijah che è situata a pochi chilometri. Partiremo da qui, adesso è il Kurdistan.  
 
Considerata come la "Gerusalemme dei curdi", Kirkuk rimane ufficialmente fuori dalle frontiere della regione autonoma curda dell'Iraq. La città fa parte, come alcuni distretti della provincia di Ninive e Diyala, dei "territori contesi" tra il governo centrale e i curdi, fin dalla caduta di Saddam Hussein. Aree re invase, nei giorni scorsi, dai peshmerga. In realtà, però, questa è una riconquista indolore e irreversibile. E’ la terza volta, nella storia recente dell'Iraq, che Kirkuk viene “liberata” dalla morsa di Baghdad. 
Questo era nel 1991 prima guerra del Golfo, e nel 2003 quando i curdi sono entrati trionfalmente nella città liberata dalle truppe di Saddam Hussein, che non l’hanno mai veramente lasciata. Questa volta, con la minaccia di EIIL e con la sconfitta dell'esercito iracheno, i curdi sono in una posizione più favorevole. 
 
Nella città millenaria in mezzo a Kirkuk, secondo alcune tradizioni, ci sarebbe la tomba del profeta Daniele ai piedi di un minareto in mattoni del  VII secolo. "Adesso, qui, è il Kurdistan e tutto è molto migliore, compreso la sicurezza", proclama Farouk Mohammed, un turkmeno, la cui famiglia mantiene le chiavi della tomba da quattordici secoli. Parte della sua comunità, una importante minoranza di lingua turca della città, è stata posta sotto la protezione dei filo curdi. 
L'espansionismo curdo, però, desta una certa preoccupazione, come dice Ersad Salihi, il capo del Fronte Turkmeno Iracheno, che denuncia un "fatto compiuto".  
 
"Non vediamo affatto Kirkuk come parte del Kurdistan ", critica il leader nazionalista, che non vede alternative per stabilire la propria milizia. Il delicato equilibrio di Kirkuk etnica e religiosa sarà un ostacolo importante per i curdi. 
 
E’ tutto nel  gioco del petrolio che si detterà il futuro di Kirkuk, seduta su enormi giacimenti. 
Le pattuglie peshmerga girano attorno ai giacimenti petroliferi, ma sono anche una forza speciale di polizia legata al controllo di Baghdad.  
 
I curdi sono determinati a prendersi l’oro nero di Kirkuk, per esportarlo direttamente al terminale di Ceyhan, in Turchia 
 
                                                                                      
 
12/6/2014 di Ninni Raimondi 
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