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Alle radici dela nostra identità
 
Alle radici della nostra identità nazionale 
di Ninni Raimondi
 
Senza alcun dubbio, tra le grandi Nazioni europee l’Italia possiede l’identità nazionale più marcata e antica. Non si intende in questa sede affrontare la questione dell’origine storica dell’idea di nazione; la tesi secondo cui essa sarebbe una costruzione artificiale originatasi nella cultura borghese e poi romantica dei secoli XVIII e XIX è stata confutata dall’americano Walker Connor e dal britannico Anthony Smith, per i quali invece la realtà delle Nazioni costituisce una costante storica sin dall’antichità. In questo senso si può affermare che l’Italia, come Nazione unitaria, si è formata in un’epoca compresa tra la Coniuratio Italiae (32 a.C.) e la riforma politico-amministrativa della penisola a opera di Augusto (7 d.C.), cioè in un periodo storico in cui di tutte le altre Nazioni europee mancava persino il substrato etnico e culturale. Le basi di una comune nazionalità romano-italica erano state gettate alcuni decenni prima, con la Guerra Sociale (91-88 a.C.) durante la quale gli Italici avevano manifestato – seppure in opposizione a Roma – una comune coscienza nazionale, costituendosi in Lega Italica, e con la conseguente concessione della cittadinanza romana agli stessi Italici. Tale affermazione può essere armonizzata con la tesi di Gioacchino Volpe, secondo cui la Nazione italiana nasce nel Basso Medioevo, distinguendo ulteriormente una fase romano-italica (da Augusto al 476 d.C.) e una fase propriamente italiana (dal Basso Medioevo ai giorni nostri) della storia della nostra Nazione, legate tra di loro dalla fase di transizione alto-medievale. Del resto non vale la pena, in questa sede, di richiamare la vasta mole di dati archeologici, storici, linguistici, culturali e politici che possono confermare la formazione dell’idea d’Italia, come unitaria realtà geopolitica, linguistica e culturale, nell’antichità classica, nonché la continuità di tale idea – nell’accezione prevalente di Kulturnation propria della dottrina filologica tedesca, ma non solo, considerata l’importanza politico-istituzionale del concetto di Regnum Italiae nel periodo in questione – durante il periodo tra la fine dello Stato romano (476) e la nascita dello Stato unitario (1861). Tale continuità è evidente soprattutto dal punto di vista culturale, metapolitico e anche, come si vedrà in seguito, esoterico. 
 
Secondo il Mito, sul sacro colle del Palatino Giano, Dio degli inizi e iniziatore per eccellenza, rappresentato con la tradizionale iconografia dei due volti visibili simboleggianti il passato e il futuro, ma la cui essenza soprattutto è il volto invisibile e centrale, simboleggiante l’eterno presente, accolse Saturno fuggitivo in quell’Italia che per questo fu detta Saturnia Tellus. La discendenza saturnia si trasmise attraverso Pico, Fauno e Latino e si innestò nella gente troiana di Enea – la cui origine remota era dardanica e pertanto italica – da cui prese origine la dinastia di Alba Longa. Da questa progenie originò Romolo il fondatore, che fondò l’Urbe con il concorso delle tre tribù dei latini Ramnes, degli etruschi Luceres e dei sabini Tities, prefigurazione del destino manifesto di Roma, l’unificazione delle genti italiche e la sua missione di Imperium sine fine. 
 
I caratteri originari della civiltà proto-italica possono essere fatti risalire al secondo millennio a.C., anche se già nel II millennio a.C. la penisola era stata interessata dalle ondate indo-europee della Cultura di Remedello e della Cultura del vaso campaniforme.  I nostri più antichi progenitori di cultura italica erano indoeuropei provenienti dall’Europa centrale, penetrati in Italia in due grandi ondate successive e mescolatisi con le popolazioni mediterranee preesistenti (Liguri – peraltro già in buona parte celtizzati – Euganei, Sicani, Piceni, etc.). La prima ondata indo-europea, risalente alla prima metà del secondo millennio a.C., fu quella della Cultura delle Terramare, da cui si originarono le tribù Latini, dei Veneti, dei Camuni e dei Siculi. La seconda ondata indo-europa, nei secoli immediatamente precedenti il 1000 a.C., fu quella dei Villanoviani, che si stanziarono in alcune zone dell’Italia centro-settentrionale e contribuirono alla nascita della civiltà etrusca, e degli antenati di molte popolazioni centro-meridionali come gli Umbri, i Sabini, i Marsi, i Picenti, i Sanniti, i Lucani e i Bruzi. Fenomeno intermedio tra mondo celtico e italico fu la Cultura di Golasecca, che interessò le Alpi e l’area transpadana nella prima metà del primo millennio a.C. 
 
È altresì solidamente attestato un afflusso in Italia di popolazioni indoeuropee provenienti dall’Anatolia. Il mito tramanda le migrazioni dei Tirreni dalla Lidia, dei Troiani di Enea nel Lazio e dell’eroe troiano Antenore in Veneto, dove fondò Padova.  In particolare il grande linguista bulgaro Vladimir Ivanov Georgiev, membro tra l’altro dell’Accademia delle Scienze di Mosca, in opere come Introduzione allo studio delle lingue indoeuropee (1966) e La lingua e l’origine degli etruschi (1979) mise in relazione l’etrusco con l’ittita, confermando l’origine indoeuropea anatolica dell’idioma tirrenico, la sua parentela con la lingua di Lemno e la stretta connessione intercorrente tra la realtà storica e il mito dell’emigrazione troiana verso le coste del Lazio e tirrenica dalla Lidia, che adombrerebbero un flusso migratorio dall’Anatolia all’Italia alla fine del II millennio a.C.. Infine, le ricerche del prof. Massimo Pittau dell’Università di Sassari hanno dimostrato che la lingua proto-sarda è ascrivibile all’indoeuropeo anatolico ed è strettamente imparentata con l’etrusco. I c.d. Shardana erano – al pari dei Shekelesh e dei Tursha (probabilmente gli etimi degli etnonimi dei Siculi e degli Etruschi), indoeuropei appartenenti ai c.d. Popoli del mare che aggredirono l’Egitto nel XIV sec. a.C. e di cui vi è ampia traccia nelle fonti egizie.  Al mondo etrusco era strettamente imparentata anche la civiltà sardo-nuragica, la cui matrice fortemente esoterico-iniziatica è evidente. La consacrazione augustea del Tempio del Sardus Pater ad Antas chiudeva così un cerchio tra l’Urbe e l’Isola nuragica, riannodando due tradizioni condividenti un’origine comune. L’origine etrusco-tirrenica di Pitagora è attestata da vari autori greci (Neante di Cizico, Aristosseno, Aristarco, Teopompo), mentre Giamblico riporta che molti Etruschi furono tra i primi discepoli di Pitagora.  
 
Secondo Plutarco, “Pitagora fu un etrusco; non per parte di padre, come taluni intendono, ma per essere egli nato, cresciuto ed educato in Etruria”. Questo legame ancestrale tra Roma e Tradizione pitagorica è ben ricordato da Arturo Reghini, secondo cui “il Pentalfa ed il Fascio Littorio (tra i quali passa più di un legame) sono i soli importanti simboli spirituali veramente occidentali. Il resto, buono o cattivo che sia, vien dall’Oriente”. Il Vate Virgilio, che più di tutti comprese e cantò il significato ultimo della Tradizione di Roma, era anch’egli discendente di una schiatta etrusca di Mantova. La sua Eneide a legittimo titolo è stata definita Libro sacro degli Italici. 
La presenza celtica nella pianura padana, fatta eccezione per la tribù dei Leponzi riconducibile alla Cultura di Golasecca, risale al V sec. a.C. ma non riveste importanza maggiore di quella delle popolazioni Liguri del nord-ovest e di quelle Venete (Civiltà atestina) del nord-est. Una forte presenza etrusca è attestata in buona parte della pianura padana, dove fiorì una dodecapoli etrusca padana di dodici città, tra le quali Mantova era la più importante, e fino al cuore delle Alpi con la civiltà reto-etrusca. In ogni caso, la romanizzazione della cosiddetta Gallia cisalpina produsse come esito finale una civiltà gallo-romana perfettamente inserita nella Res Publica. Fu proprio Cesare a conferire la cittadinanza romana agli abitanti della Gallia Cisalpina, di cui erano originari alcuni celebri Romani antichi come Plinio di Como, Virgilio di Mantova, Catullo di Sirmione e Tito Livio di Padova. Per mezzo della lingua, delle colonie, delle leggi, dell’amministrazione e della coscrizione militare, Roma fuse tutte le popolazioni italiche del nord, del centro e del sud in un blocco etnico, linguistico, culturale. Scipione, nel discorso alle truppe prima della battaglia di Zama (202 a.C.), poteva esortare i suoi soldati ricordandogli che era per l’Italia (e non solo per Roma) che andavano a combattere. 
 
Tra le discipline tradizionali dell’Antichità, la geografia sacra considerava l’Italia un’unità sacrale denominata Saturnia Tellus. Augusto, avendo chiamato a raccolta le sue schiere italiche contro l’orientalizzante Antonio e contro l’egiziana Cleopatra, ricevette dai nostri progenitori la Coniuratio Italiae (“Tota Italia iuravit in mea verba”). Dopo la vittoria finale, Augusto rese l’Italia un’entità politica distinta dalle province, legata all’Urbe e governata direttamente dal Senato, divisa in undici regioni molto simili a quelle attuali e dotata di un diritto proprio: lo Ius italicum. Grande cantore dell’unità sacrale, politica e nazionale dell’Italia augustea fu Publio Virgilio Marone di Mantova, autore dell’Eneide e delle Georgiche, le quali nel libro II contengono l’importante Laus Italiae. 
Alla fine del III sec. d.C. Diocleziano istituì, nel quadro della sua riorganizzazione imperiale, la Diocesis Italiciana, con la quale Sicilia, Sardegna e Corsica furono politicamente e amministrativamente unite alla penisola, concludendo così un plurisecolare percorso di romanizzazione e italicizzazione. 
Sotto l’erulo Odoacre (476-493), sotto il regno ostrogoto fondato da Teodorico (493-553) e durante la lunga dominazione longobarda (569-774 d.C.), l’Italia costituì sempre un Regno unitario, ancorché amputato, in età longobarda, dei vasti possedimenti rimasti sotto Bisanzio. Gli invasori longobardi finirono per adottare la lingua italica, ebbero sovrani che si fregiavano del titolo di Rex totius Italiae e ammettendo gli Italici nell’esercito e ai matrimoni misti, alla vigilia della conquista carolingia finirono per fondersi con questi ultimi. Il regno longobardo, conquistato da Carlo Magno, entrò a far parte come Regno d’Italia del Sacro Romano Impero. Con la crisi dell’Impero carolingio, il Regno d’Italia fu assegnato a Lotario I e da questi a Ludovico II, incoronato Re d’Italia nell’844. Questo Regno comprendeva grosso modo la cosiddetta Longobardia Maior (odierna Italia centro-settentrionale), più il Ducato di Spoleto e alcune terre di confine con la Longobardia Minor dell’Italia meridionale. 
 
La feudalità italica, di origine prevalentemente longobarda o franca, ma ormai del tutto assimilata per lingua e cultura alla massa romano-italica del popolo, cominciò presto a manifestare un’embrionale coscienza politica nazionale. Essa elesse vari Re d’Italia, che perseguirono con coraggio e decisione l’obiettivo di un Regno d’Italia indipendente, seppure all’interno della cornice istituzionale del Sacro Romano Impero la cui corona peraltro fu spesso cumulata con quella d’Italia. Il primo grande Re d’Italia fu Berengario I del Friuli, che cinse la Corona Ferrea dei sovrani d’Italia dall’888 al 924 e quella di Imperatore del Sacro Romano Impero dal 915 al 924. Nel poema epico a lui dedicato, Gesta Berengarii Imperatoris, Berengario era connotato come eroe dell’indipendenza nazionale, heros italicus, contrapposto al contendente Guido di Spoleto, che in quanto di origine franca veniva appellato tyrannicus gallicus. Con Berengario II d’Ivrea, Re d’Italia dal 950 al 961, per la prima volta un capo politico italiano si scontrò con un Imperatore tedesco, Ottone I di Sassonia, che ebbe la meglio. Il controverso tema della Translatio Imperii ad Germanos, che da Carlo Magno in poi assunse il connotato sostanziale di un’usurpazione, si ripropose dopo circa quarant’anni con lo scontro tra Arduino d’Ivrea, eletto Re d’Italia dai feudatari italiani nel 1002, ed Enrico II di Sassonia, che dovette scendere in Italia nel 1004 e nel 1014, quando sconfisse definitivamente Arduino che si ritirò nell’abbazia di Fruttuaria. Da allora in poi il titolo di Re d’Italia perse ogni importanza politica effettiva, ma venne conservato come titolo spettante agli imperatori del Sacro Romano Impero, che fino alla dissoluzione di questo nel 1806 vennero incoronati con la famosa Corona Ferrea che ancor oggi è custodita a Monza. 
Soprattutto dopo l’anno Mille, la Nazione assunse sempre più i tratti che ancor oggi la contraddistinguono, tanto è vero che, come già ricordato, lo storico Gioacchino Volpe collocò la sua nascita proprio nei primi secoli del Basso Medioevo. Le sue energie esuberanti si sfogavano nell’espansione mediterranea delle Repubbliche Marinare di Amalfi, Pisa, Genova e Venezia: quest’ultima, affacciatasi sull’Adriatico orientale con il Doge Pietro Orseolo, Dux Dalmatiae et Histriae, avrebbe rinverdito le glorie di Roma facendo nuovamente del Mediterraneo un Mare Nostrum italico e inserendo l’ininterrotta latinità istriana e dalmata nella lingua e nella civiltà italiane. I Comuni italiani, schietti eredi della tradizione romana nella cultura, nel Diritto e fino nel nome dei magistrati civici, denominati Consoli, espressero grande vitalità in campo economico, politico-militare (Lega Lombarda) e culturale, preparando il terreno alla fioritura delle Signorie e dell’Umanesimo. In Sardegna i quattro Giudicati di Cagliari, Arborea, Torres e Gallura, schietti eredi della tradizione romana e bizantina, strinsero forti legami commerciali, culturali e politici con Genova e Pisa. Cagliari e la Gallura furono anche annesse da Pisa, prima che l’Isola venisse conquistata dall’Aragona tra il 1324 e il 1409. 
 
Più ombre che luci ebbe la figura dell’Imperatore Federico Barbarossa, che nel 1155 prese le parti del Papa contro il Senato romano e Arnaldo da Brescia, che pure a lui si erano rivolti per restaurare la sovranità imperiale sull’Urbe. Il Barbarossa scontò con la sconfitta di Legnano a opera dei comuni lombardi (1176) l’incoerenza della sua linea politica. Con Federico II di Svevia, tedesco per parte di padre e siculo-normanno per parte di madre, ma italianissimo per nascita, lingua e cultura, Re d’Italia e Imperatore del Sacro Romano Impero dal 1215, al 1250, l’idea imperiale ghibellina assunse un carattere schiettamente romano-italico e italo-centrico, affrancandosi da qualsivoglia sudditanza nei confronti dell’elemento transalpino. Come ricordò il suo più grande biografo, l’ebreo tedesco Ernst Kantorowicz, l’obiettivo perseguito per tutta la sua vita fu “Roma capitale di un regno pan-italico e il regno pan-italico al centro dell’impero romano”. 
Come Virgilio fu il Vate di Augusto, così l’iniziato Dante Alighieri, Fedele d’Amore, fu il Vate di Federico II di cui cantò l’ideale ghibellino nella Divina Commedia, nel De Monarchia e nel De Vulgari Eloquentia. Proprio riferendosi al pensiero di Dante Alighieri, Renè Guénon ricordò che “senza dubbio alcuno, da Pitagora a Virgilio e da Virgilio a Dante la “catena della tradizione” in terra italiana non fu mai interrotta”. Nella Divina Commedia e nel De vulgari eloquentia, Dante Alighieri concepì un’idea dell’Italia ispirata al modello augusteo e ghibellino: delimitata nei suoi confini a nord, ovest ed est (“Suso in Italia bella giace un laco, a piè de l’Alpe che serra Lamagna sovra Tiralli, c’ha nome Benaco”; Inferno, XX, 61-63; “Si com’ad Arli ove Rodano stagna, si com’a Pola presso del Quarnaro, che Italia chiude e suoi termini bagna”; Inferno, III, 113-4); linguisticamente ripartita nei quattordici dialetti della lingua nazionale (De vulgari eloquentia, I, X) e di un Volgare illustre comune (De vulgari eloquentia, I, X); auspicabile sede di una Curia regia di tutti gli Italiani (De vulgari eloquentia, I, XVIII) e centro del potere imperiale (Purgatorio, VI, 76-114). La fioritura sveva fu spenta dall’immondo connubio tra il Papa e gli Angioini, che ebbero la meglio su Manfredi di Svevia a Benevento (1266).  
 
Nel 1273 fu un sovrano dell’infausta dinastia degli Asburgo, l’Imperatore Rodolfo, a liquidare le pretese del Sacro Romano Impero sull’Urbe, capitale naturale dell’Impero e del Regno Italico, a tutto vantaggio del Papa e contro l’autentica tradizione ghibellina imperiale del grande Federico II. 
Licenza Creative Commons  14 Agosto 2018