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Trieste la frontiera dimenticata
 
Trieste, la frontiera dimenticata. 
di Ninni Raimondi
 
Negli ultimi giorni il dibattito politico riguardante l’immigrazione è tutto concentrato sulla questione “Diciotti” così come in precedenza lo era per l’ormai nota nave “Aquarius”.  
 
Porti chiusi o porti aperti?  
Non è un dilemma scespiriano quanto l’unico argomento finora affrontato dal Governo in tema di arrivi.  
Ma è questo l’unico di cui bisognerebbe occuparsi? Indubbiamente no.  
Il tema degli arrivi via mare, lungi dall’essere il più significativo, è però il più appariscente e quello maggiormente seguito.  
Basti guardare il sito del Ministero dell’Interno per notare che nella sezione “Dati e Statistiche” compare la voce “Sbarchi e accoglienza dei migranti” come se questo fosse l’unico dato rilevante.  
Quello che ancora non è noto, o lo è ma ignorato, è quanto accade in Friuli Venezia Giulia ed in particolar modo a Trieste. 
 
Una Regione molto spesso ignorata dai media e dalla politica, ma che ad oggi risulta un vero e proprio “colabrodo”.  
Abbiamo sentito parlare della chiusura del Brennero, del ping-pong a Ventimiglia con la polizia francese, dei respingimenti via mare di cui accennavo prima.  
Ma nulla o quasi si legge su Trieste, vero e proprio crocevia della rotta balcanica.  
Basterebbe infatti passare qualche giorno a qua, nell’estremo confine nord-orientale, per rendersi conto di quanto l’azione del Governo sia limitata a ciò che si vede, a ciò che fa scalpore e non, invece, a quello che realmente è il problema. La conformazione del capoluogo giuliano è il luogo ideale per arrivare in Italia: molti confini non sono sorvegliati, altri corrono lungo passi e sentieri del carso, altri ancora, invece, tagliano a metà i piccoli paesini della provincia triestina. Ed è così che facendo un giro per la Val Rosandra, per la pista ciclabile Cottur (che comincia nel cuore di Trieste per arrivare senza alcun controllo direttamente in Slovenia), per il Lazzaretto di Muggia, per Crevatini, per Monrupino, per Fernetti, per Opicina e per Pesek lo spettacolo davanti al quale ci ritroviamo è quello di un via vai di immigrati inesorabile. 
 
I vestiti lasciati dai clandestini lungo il percorso per l’attraversamento della frontiera triestina 
Accade, quindi, che i cittadini provenienti da Paesi del Medio-Oriente quali Siria, Pakistan, Afghanistan e Iran, riescano a passare indisturbati per uno di questi confini. Arrivati in Italia, molto spesso tra i boschi del carso e della Val Rosandra, evidentemente “aiutati” da qualcuno, riescono a cambiarsi d’abito abbandonando dietro di sé i vestiti ormai lerci delle centinaia di chilometri effettuati. Da qui poi, la strada è tutta in discesa: ancora pochi chilometri fino alla stazione centrale di Trieste pronti per muoversi liberamente in Italia. E nel caso dovessero essere scoperti? Basterebbe dire di essere arrivati via mare; grazie alle regole di Dublino, significherebbe diventare un richiedente asilo in Italia, ossia il paese (a loro dire) di prima accoglienza. Intanto resta alta è l’attenzione per 177 immigrati fermi al largo della Sicilia. Ma altrettanti ne passano indisturbati ogni settimana lungo il confine orientale. 
E tra loro è possibile che ci sia qualche presunto terrorista.  
 
Badate bene, non è un’ipotesi così remota perché è già successo.  
Il primo caso fu quello di Qari Khesta Mir Ahmadzai, afghano arrestato a Bari con l’accusa di terrorismo internazionale.  
Lo jihadista, infatti, durante alcuni “sopralluoghi” compiuti in preparazione di attentati terroristici, aveva scattato una foto proprio nel centro di Trieste.  
Il secondo, invece, molto più drammatico, fu quello di Ahmed Hassan, un diciottenne iracheno poi responsabile dell’attentato, rivendicato dall’Isis, alla Metropolitana di Londra.  
Anche lui, prima di arrivare in Inghilterra era passato per Trieste.  
Di questo non si parla.  
 
TV e giornali tacciono.  
Che alcuni terroristi siano passato per Trieste, e che molti altri ne potrebbero passare vista la totale assenza di controlli, non si dice nulla.  
Il problema restano i 177 della Diciotti. 
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