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Dopo la negazione la revisione
Dopo la negazione la revisione: sulle foibe l’Anpi non riesce a dire la verità 
di Ninni Raimondi
 
L’Anpi e le foibe, una relazione da sempre complicata che in questi ultimi giorni ha raggiunto il parossismo. Il caso più eclatante a Rovigo dove le foibe sono state negate in un post su Facebook. Una discussione interna, si sono affrettati a dire i responsabili locali. Mica tanto, visto che a Parma, sempre in questi giorni, per il quattordicesimo anno consecutivo, sempre l’Anpi locale darà la sua adesione a un convegno dal titolo emblematico “Foibe e Fascismo”, durante il quale sarà diffuso il video “La foiba di Basovizza: un falso storico”. Basovizza non esiste, pare riecheggiare dal Veneto all’Emilia in casa Anpi. 
L’Anpi ha un problema, irrisolto, con la storia d’Italia e con quanto avvenne sul confine orientale? Non per la presidente nazionale Carla Nespolo. Il 29 gennaio, attraverso un comunicato della segreteria nazionale, l’Anpi prende le distanze, dalla “tragica vicenda delle foibe”. “Il post comparso sulla pagina Facebook dell’ANPI di Rovigo – si legge – è sbagliato e non rappresenta affatto la posizione della nostra associazione”. Un errore. Non una parola di censura. Compagni che sbagliano, nella migliore tradizione comunista. 
 
Anpi risponde a Salvini per salvare i contributi 
Ma le polemiche, montate una volta tanto vigorosamente, hanno richiesto una nuova puntualizzazione, dopo che Salvini ha parlato di dare un taglio ai contributi statali all’Anpi. Che come ha ricordato Il Giornale sono stati, senza considerare il 5×1000, solo per quanto riguarda il ministero della Difesa, 600mila euro in sei anni. Poi ci sono a pioggia i contributi a vario titolo da Regioni, Province e Comuni. Con le amministrazione di centrosinistra che aprono lietamente i cordoni e quelle di centrodestra, per non finire travolte della polemiche, pagano sospirando per non trovarsi la patata bollente di una polemica politica che, alla fine, statene certi, regalerebbe la patente di fascisti-razzisti-sessisti. 
E così l’Anpi, stavolta tramite la sua presidente, ha provato a chiarire che “le foibe sono state una tragedia nazionale, che copre un amplissimo arco di tempo e va affrontata senza alcuna ambiguità, contestualizzando i fatti. In molte realtà italiane l’ANPI ha collaborato con altre associazioni per ricordare questa pagina tragica della nostra storia. Gradirei molto che chi minaccia di cancellare i contributi alla nostra Associazione, abbia la doverosa curiosità di andare a leggere i documenti ufficiali da noi prodotti sul tema”. Detto fatto, siamo andati a vedere. 
 
Cosa dice delle foibe il sito dell’Anpi  
Sulla home page dell’Anpi è consultabile “Il confine italo-sloveno. Analisi e riflessioni”. Un lungo documento dove si ricostruisce la tragedia di quegli anni che sintetizza le posizioni della principale associazione dei partigiani. Non mancano le perle. Le proposte di legge dei parlamentari del centrodestra sull’argomento? “Il fine esplicito delle iniziative legislative sopra ricordate – si legge – era quello di pervenire ad una riabilitazione di italiani repubblichini e tedeschi impegnati a fronteggiare “l’invasione slava” in un territorio peraltro sottratto all’amministrazione del governo della Repubblica Sociale Italiana e governato direttamente da Berlino”. Con quale scopo? “L’appropriazione delle vittime in funzione di un progetto di rilegittimazione politica”. 
 
E le foibe?  
Una questione molto articolata: le foibe del 1943 sono diverse da quelle del 1945. In cosa, per chi ci sia finito dentro, resta un mistero. E’ chiaro invece che la Venezia Giulia è stata liberata (questo il verbo utilizzato) dalla Quarta Armata Jugoslava. Anche se si ammette che l’occupazione, definita amministrazione jugoslava di Trieste e Gorizia, ebbe “risvolti drammatici per la componente italiana”. Arresti, torture, esecuzione sommarie, campi di prigionia? L’Anpi ricorda che accanto ai collaborazionisti e delatori ne furono vittime anche antifascisti italiani e sloveni. “Era l’inizio di un dramma nel quale – si legge nel documento – all’inevitabile (avete letto bene inevitabile ndr) resa dei conti che poneva fine all’occupazione e alla dittatura, si sovrappose la prosecuzione di un conflitto nazionale, in cui la componente italiana dell’area giuliano-dalmata scontò pesantemente la precedente posizione di egemonia”. Una colpa atavica da espiare, insomma. 
Quanto all’esodo del dopoguerra, ecco come viene inquadrato. “Nella memoria postuma – si legge – l’esodo giuliano-dalmata fu inestricabilmente accostato alle foibe, offuscando così una seria contestualizzazione e la complessità del fenomeno. Questo binomio e il suo uso ipertrofico, come sottolineato nella relazione di Gloria Nemec, eclissavano sia la storia precedente che una miriade di altri fattori necessari per capire profondamente le dinamiche di un fenomeno che fu vasto e diversificato”.  
 
Chi partì, nella ricostruzione dell’Anpi, perché lo fece? “La nascita di uno Stato democratico italiano – si legge – divenne una forte attrattiva per quanti erano impauriti o più semplicemente non si riconoscevano nel nuovo cambiamento economico, caratteristico dei Paesi socialisti, che implicava una trasformazione anche nello stile di vita (avete letto bene: trasformazione dello stile di vita ndr). La percezione di una minaccia scaturiva dalle continue pressioni ambientali di una società non solo militarizzata, ma anche presidiata da polizie segrete”. 
 
Possiamo fermarci qui. 
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