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Come la scuola italiana sta dist
Come la scuola italiana sta distruggendo la tradizione classico-umanistica 
di Ninni Raimondi
 
Non c’è dubbio che il nuovo saggio di Ernesto Galli della Loggia intitolato “L’aula vuota. Come l’Italia ha distrutto la sua scuola” (Masilio, 2019) sia un saggio in assoluta controtendenza e quindi controcorrente rispetto al pensiero dominante che si è consolidato nella scuola a partire dagli anni settanta.  
Vediamo, se pure in breve, di evidenziare alcune criticità della scuola italiana rilevate dall’autore, criticità largamente condivisibili partendo dalla seconda parte.  
Per quanto riguarda una delle più profonde innovazioni della scuola e cioè quella dell’autonomia, questa – a causa delle innumerevoli deficienze strutturali delle istituzioni scolastiche – si sta trasformato in una vera e propria anarchia, in una vera e propria utopia pedagogica e didattica. Inoltre, con l’introduzione dell’autonomia scolastica, la scuola non è più al servizio della nazione ma al servizio del territorio e quindi delle logiche clientelari della politica italiana. 
 
Guerra alla tradizione classico-umanistica 
Per quanto riguarda la didattica delle competenze, voluta dall’Unione Europea e quindi dai tecno-burocrati di Bruxelles, questa sta gradualmente distruggendo la tradizione classico-umanistica del sistema scolastico italiano, a favore di una visione pratico-sperimentale dell’istruzione.  
Infatti, quali competenze può produrre la conoscenza della storia, della letteratura italiana o del latino e del greco? Discorso altrettanto critico deve essere rivolto alle indicazioni nazionali per la scuola media del 2003, indicazioni che elencano una serie di competenze mirabolanti, di traguardi fantastici.  
Tuttavia il pericolo maggiore, secondo l’autore, è relativo all’incasellamento a priori di ciascun individuo nel proprio destino. Mentre infatti il voto di profitto certificava esclusivamente il grado di apprendimento, ora al contrario la didattica delle competenze implica una certificazione che anno per anno certifica ciò che il giovane ha imparato a fare, prefigurandone in modo inevitabile il destino lavorativo. 
 
Didattica delle competenze e interessi commerciali 
Insomma, la didattica delle competenze nega la poliedrica versatilità dell’individuo.  
La tendenza oramai è quella della misura standardizzata degli studenti con la quale siamo, sottolinea l’autore, all’anticamera di un mondo orwelliano.  
Poiché si tratta di testare, quantificare (come si fa con un veicolo) le competenze non cognitive di ogni studente. Ebbene, la principale responsabilità di questa impostazione quantitativa e standardizzata, è da un lato del Centro di ricerca innovazione educativa della OCSE e dall’altro dei numerosi lobbisti delle multinazionali informatiche presenti a Bruxelles. A tale proposito non deve sorprendere che la volontà di introdurre gli smartphone all’interno delle aule scolastiche sia stata promossa anche dalla Samsung, come dimostra il finanziamento dato da questa al saggio intitolato “Smarth future” ed edito nel 2014 dall’editore Franco Angeli. 
 
Una delle conseguenze di questa impostazione, almeno per quanto riguarda l’Italia, è la nascita della didattica digitale che non solo non ha migliorato il livello e la qualità dell’apprendimento, ma semplicemente ha favorito le multinazionali (Google, Microsoft e Samsung in particolare) consentendo di piegare la scuola agli interessi commerciali.  
Le conseguenze devastanti della scuola digitale vengono agevolmente indicati dall’autore: non solo finirà per tecnicizzare l’istruzione secondo formati prestabiliti, ma trasformerà l’insegnante in un facilitatore con lo scopo di plasmare la nostra mente secondo un’impostazione logico-computazionale utile al mondo delle imprese. 
Licenza Creative Commons  21 Giugno 2019
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