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Diciamoci pure due parole: Addio
Diciamoci pure due parole: Addio Luglio, buon inizio di Agosto! 
di Ninni Raimondi
 
Altro che pace - La verità del mito - La richiesta di verità su Bibbiano 
 
 
 
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Così la Ue e l’Euro fanno rinascere i conflitti tra le nazioni 
L’antico sogno teutonico di dominio dell’Europa tutta si è realizzato con l’Unione Europea. Più precisamente, con la nuova Germania liberista, divenuta guida indiscussa di un’Unione Europa, nei cui spazi il martellante motto “più Europa” chiede di essere sempre ritradotto nell’implicita formula “più Germania”. A tal riguardo, Beck ha espressamente utilizzato, come titolo di un suo studio, la locuzione “das deutsche Europe”. La poc’anzi evocata formula del “più Germania”, a sua volta, poteva con diritto essere ancora più adeguatamente chiarita, spiegando che a beneficiare di tale dinamica era non già la Germania qua talis, concepita alla stregua di un organismo vivente e in sé unitario, bensì la classe dominante capitalistica operante in area teutonica. 
L’egemonia della Germania 
Per parte loro, le classi lavoratrici di Germania scontavano sulla loro carne viva, proprio come quelle greche o quelle spagnuole, le necessarie sofferenze del sistema dell’Unione Europea: sofferenze che si rivelavano perfettamente coerenti con un modello (il cosmopolitismo liberista) la cui genesi stessa si spiegava nel senso di una controrivoluzione delle classi dominanti d’Europa contro le classi lavoratrici europee complessivamente considerate. 
Ne offre una realistica testimonianza lo studio di Marcel Fratzscher, “Die Deutschland-Illusion” (2014), ove sono, tra l’altro, documentate le sofferenze delle classi lavoratrici tedesche. Queste ultime sono state sottoposte a processi di precarizzazione, desalarizzazione e supersfruttamento del tutto analoghi a quelli scontati dalle altre classi lavoratrici europee nell’ordine del nuovo turbocapitalismo liquido-finanziario. L’egemonizzazione teutonica dello spazio europeo, peraltro, si poneva come l’esito inconfessabile di una forse imprevedibile eterogenesi dei fini, in grazia della quale la simultanea cessione delle sovranità economiche nazionali aveva comportato, come conseguenza, l’egemonia di una Germania infinitamente potenziata da siffatto processo. 
La pressante morsa dell’Euro 
Coerente con questo paradosso, ve n’è un altro: la pressante morsa della moneta unica, scaturente dalle cessioni di sovranità degli Stati nazionali europei, ha favorito il rifiorire di conflittualità e tensioni tra le realtà nazionali (nel frattempo desovranizzate), la cui intensità non si registrava più dalla prima metà del Novecento. E, così, proprio mentre i pedagoghi dell’europeismo e i cantori ditirambici della desovranizzazione ripetevano senza posa la litania – vero asylum ignorantiae – secondo cui “dal dopoguerra, l’integrazione europea ci protegge dai conflitti”, il culmine di quei processi di integrazione, ossia l’Unione Europea, favoriva la rinascenza stessa delle conflittualità tra gli Stati membri dell’eurozona (tra la Grecia e la Germania, in primis). 
Ne scaturiva, appunto, un neonazionalismo puramente economico, mediante il quale la classe dominante di area tedesca aspirava a imporre il proprio dominio sull’Europa tutta, per il tramite della violenza economica e in assenza della potenza della statualità sovrana in grado di tutelare i propri spazi esposti al saccheggio predatorio della finanza cosmopolitica. 
In sostanza, la moneta unica detta euro, anziché unire i popoli e integrarli pacificamente, li ha divisi come mai prima del 1945: e ha trasformato l’Europa tutta in un campo di battaglia economico tra Stati creditori e Stati debitori, con ultimatum finanziari e colpi di Stato bancari (“governi tecnici”, secondo la neolingua liberista). 
In ciò sta l’essenza di quello che Gallino ha definito, senza perifrasi edulcoranti, “il colpo di Stato di banche e governi” e “l’attacco alla democrazia in Europa” . L’Unione Europea, che a giudizio dei suoi araldi dovrebbe proteggere dalle guerre, ne favorisce invece la rinascenza, sia pure sotto il mutato sembiante di una conflittualità primariamente economico-finanziaria. 
 
 
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La verità del mito: archeologi trovano la grotta di Circe narrata nell’Odissea 
Sin dall’antichità l’Italia è terra di dèi ed eroi.  
È la Saturnia tellus, la terra d’esilio del dio Saturno che qui inaugurò l’Età dell’oro. Ma è tutta la toponomastica italiana a parlare di miti antichi e verità sepolte dal tempo. Pensiamo solo a Palinuro, nel Cilento, che prende il nome dal nocchiero della flotta di Enea, o alla Miseno partenopea, così nominata in quanto luogo di sepoltura del trombettiere dell’esercito troiano (e anch’egli compagno di Enea). E pensiamo, infine, al Circeo, il promontorio che si erge sulle coste del Mar Tirreno e che richiama alla memoria Circe, la dea che, con l’inganno, tramutò in animali i compagni di viaggio di Ulisse. Ebbene, grazie a delle ricerche condotte da una squadra di archeo-speleologi, il mito sembra trovare conferma: è proprio nelle grotte del Circeo che possiamo individuare l’antro descritto da Omero nell’Odissea.    
 
Omero al Circeo 
La tradizione aedica, infatti, parla di «cave grotte» in cui i compagni di Ulisse devono tirare in secco le navi e nasconderne il carico, prima di dirigersi alla contigua reggia dell’ammaliatrice Circe. Ebbene, secondo gli studi sul campo del gruppo di archeo-speleologi, la Grotta Spaccata di Torre Paola sembra effettivamente corrispondere alla narrazione omerica: «Una cavità impressionante che squarcia la falesia come un enorme fulmine pietrificato, proprio a ridosso della fortificazione costiera edificata nel Cinquecento», racconta il ricercatore Lorenzo Grassi che ha partecipato alla spedizione. «Addentrandoci nelle oscure viscere della montagna, siamo riusciti a documentare quelle che con ogni evidenza sembrano essere le “cave grotte”», spiega l’archeo-speleologo. Che prosegue: «Anche considerando il livello del Mediterraneo all’epoca del viaggio di Ulisse, risulta possibile il ricovero delle navi e c’erano vasti ambienti ipogei dove poter mettere i carichi al sicuro». 
 
La reggia di Circe? 
Ma non è tutto. Scalando l’enorme parete rocciosa della caverna, i ricercatori sono giunti in un antro di dimensioni tali da poterlo identificare con la reggia di Circe: «Le pareti si perdono nelle fitte tenebre, mentre massi ciclopici testimoniano antichi crolli. E nella parte più interna, uno stretto cunicolo sembra risalire verso la superficie come antica via d’uscita per il monte», illustra sempre Grassi. Questo antro-salone misura 40 metri di lunghezza ed è alto più di 25 metri, per un totale di 30mila metri cubi. E ancora: queste grotte segrete sono abitate da una ricca colonia faunistica, soprattutto numerosissimi pipistrelli. Un altro riferimento ai malcapitati avventori trasformati in animali da Circe? 
 
 
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La richiesta di verità su Bibbiano non è strumentale, ma ha radici profonde 
C’è una lezione che si può trarre dalle vicende e dalle reazioni emotive di questi giorni: quando si violano i confini insorge mezza Italia, quando si toccano i bambini tutta Italia (o quasi) insorge. Quando la tedesca altoborghese Carola ha consapevolmente violato il confine di Stato, una maggioranza di italiani ha vinto il condizionamento mentale di decenni in senso apolide e ha reagito con sdegno. Purtroppo non vi è stata una reazione unanime, ancora molti hanno continuato a cullarsi nei sogni umanitaristi senza comprendere che lo slogan dei no border è solo una mossa della partita a scacchi di un imperialismo di tipo nuovo contro la sovranità nazionale. 
 
La Grande Madre 
Nel caso di Bibbiano qualcosa di diverso è accaduto: una sollevazione popolare, tramite lo strumento dei social, ha vinto la sostanziale reticenza dei media televisivi. Di Bibbiano, dei bambini violati, dei focolari domestici devastati si è cominciato a parlare “a furor di popolo”. Viene il sospetto che in un Paese da sempre definito come “mammista” si sia ridestato qualcosa che junghianamente potrebbe essere interpretato come l’Archetipo della Grande Madre, di colei che protegge la vita e in senso individuato i bambini, che nutre la vita proteggendo tutto ciò che, attraverso la famiglia naturale, consente la perpetuazione della vita stessa. Questo archetipo così potente nella tradizione italiana inorridisce per le violenze esercitate sui bambini strappati al padre e alla madre. 
 
Vita, prosperità e difesa dello spazio con solide mura 
Possibile che questa energia profonda della nazione italiana si sia incarnata anche nella figura di una cantante pop come Laura Pausini? Suscita ilarità pensarlo in senso astratto, ma un archetipo, se è efficiente, non può che rivelarsi in personaggi in un certo senso popolari, legati al comune sentire. Ma non è soltanto Laura che stavolta c’è (per citare un altro cantante che ha detto la sua). Il tema di Bibbiano mobilita le coscienze, vince le ritrosie, suscita una reazione dall’Italia profonda, quell’Italia che appunto viene raffigurata da secoli come una florida donna dispensatrice di vita e prosperità. Particolare significativo, questa iconografia che molto deve al culto antico di Cibele raffigura la Madre Italia con una corona turrita: la civiltà italiana (come ogni civiltà) nasce da una delimitazione di confini, da una difesa dello spazio con solide mura… D’altra parte anche in ambito cattolico uno dei culti più popolari, quello della Beata Vergine del Rosario (originariamente Beata Vergine della Vittoria), si lega a una difesa armata dello spazio e a una battaglia vinta contro i turco-islamici come quella di Lepanto, combattuta tra le onde del Mediterraneo. 
 
Anima di popolo 
Ha accarezzato e approfondito con rispetto questo mistero del Femmino arcaico italico Alessandro Giuli in un libro dal titolo dannunziano Venne la Magna Madre. Giuli ricorda che furono i Libri Sibillini e l’Oracolo di Delfi a “consigliare” ai Romani l’accoglimento della grande madre Cibele nell’Urbe. L’operazione, ai tempi della seconda guerra punica (218-202 a.C.), aveva l’obiettivo strategico di sventare l’appello di Annibale a una grande coalizione tra popoli italici e Cartaginesi sulla base di un unico collante: la comune opposizione a Roma, “l’anti-romanismo” per così dire. A quell’appello Roma rispose evocando una figura primigenia che rappresentasse a sua volta un collante tra l’Urbe latina e gli altri popoli italici, appunto una figura materna, che poi con la sua immagine sarebbe diventata l’espressione iconografica dell’anima di popolo italiana. 
 
Una forza ancora vigente? 
Fu Traiano il primo a far imprimere la raffigurazione dell’Italia turrita sull’Arco che porta il suo nome a Benevento. E Adriano ordinò l’emissione di una moneta con l’immagine della Donna-Italia con la cornucopia, il corno dell’abbondanza. A lei evidentemente pensava Dante quando, in una terzina dolente, richiama l’Italia al suo rango di “donna di provincie”. A lei si ispirava Petrarca quando parlava di una “Madre benigna e pia”. La gran Donna turrita balena nelle vicende del Risorgimento, nella Grande Guerra talvolta in audaci raffigurazioni liberty. La ritroviamo sulla scheda del referendum istituzionale del ’46 come simbolo della Repubblica in alternativa allo Scudo Crociato sabaudo (sino ad allora simbolo ufficiale dello Stato unitario). Solo una cartolina del tempo che fu? E se fosse una forza vigente? E se chi ha allungato le proprie mani sozze sui bambini italiani dovesse cominciare a temerne l’ira? E se chi ama la Patria potesse evocare e confidare in questa forza materna? 
 
Buon inizio di Agosto 2019 
Ninni Raimondi 
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