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La stagnazione secolare colpisce
La stagnazione secolare colpisce ancora: anche per quest’anno Italia a crescita zero 
di Ninni Raimondi
 
Niente da fare.  
Come da prassi degli ultimi anni, la revisione (sempre al ribasso) delle stime di crescita anche a questo giro ci tiene compagnia.  
Trascinando all’ingiù le stime di crescita sul Pil, che a consuntivo non dovrebbe far segnare più di un modesto, praticamente fermo, + 0,1%. 
Siamo lontani anni luce dalle ottimische previsioni di meno di un anno fa. In sede di finanziaria, il governo parlava di una crescita che avrebbe potuto raggiungere l’1%. Sono bastati pochi mesi (arriviamo ad aprile 2019) per ridimensionarla a +0,2% in sede di approvazione del Def. Più ottimista l’Istat, che poche settimane dopo arrotondava a +0,3%. 
 
Sempre di decimali, di zerovirgola, parliamo. Numeri incapaci di offrire il senso di una crescita che servirebbe decisamente più robusta per recuperare il tempo perduto. E invece, ultime previsioni alla mano, dobbiamo fare i conti con l’ennesima ritirata. Il secondo trimestre 2019 ha infatti restituto un tondo 0%. Stagnazione pura e semplice. Con effetti a cascata sulla performanche che, ai 12 mesi, dovrebbe chiudere come detto con una crescita non superiore al +0,1%. Dieci volte in meno di quanto stimato lo scorso autunno. 
 
La chiamano stagnazione secolare.  
Vi siamo invischiati dall’ingresso nell’euro.  
Due decenni di stagnazione, durante i quali l’Italia non ha prodotto alcuna ricchezza. Sono i terribili dati sulla nostra economia e sulla (non) crescita del Pil nazionale, che dal 2000 ad oggi è sostanzialmente fermo. 
Le statistiche, elaborate dalla Cgia di Mestre, parlano di una stagnazione che l’associazione definisce “secolare”. I numeri non lasciano scampo: dall’inizio del 2000 fino al 2017 la ricchezza nel nostro Paese è cresciuta mediamente di appena lo 0,15% ogni anno. 
 
Se fino al 2007 ancora potevamo vantare qualche segno moderatamente positivo, è da allora che, complice la crisi scatenatasi da oltreoceano, la situazione cambia drasticamente. Rispetto a quell’anno, infatti, “dobbiamo ancora recuperare 5,4 punti percentuali di Pil”, spiega la Cgia. “Tra le componenti che compongono quest’ultimo indicatore economico – aggiunge la nota dell’associazione degli artigiani mestrini – nel 2017 la spesa della Pubblica amministrazione presenta una dimensione inferiore a quella di 10 anni fa di 1,7 punti percentuali, la spesa delle famiglie di 2,8 punti e gli investimenti addirittura di 24,3 punti percentuali in meno”. Miracoli dell’austerità per salvare la moneta unica. 
Proprio a proposito di moneta unica, non sorprenderà una curiosa circostanza: il 1999 è l’anno in cui i primi undici paesi dell’Ue adottano ufficialmente l’euro. Dall’anno successivo la nostra crescita comincia ad arrancare. Solo una coincidenza? A ben vedere no, visto che nello stesso periodo in esame la crescita dei Paesi che più beneficiano del cambio fisso è stata in media quasi dieci volte superiore al nostro misero +2,6%: Germania +23,7%, Francia +21%, Paesi Bassi +25%. Prendendo poi come riferimento il 2007 l’Italia ha perso 5,4 punti di Pil, seconda solo al dramma della Grecia che ha lasciato sul terreno un quarto della propria ricchezza; +12% invece per la Germania, +7% la Francia e +9% nei dintorni di Amsterdam. 
 
Ma è solo una coincidenza.  
Ed è sempre una coincidenza che la manovra sedicente “del cambiamento” non abbia invertito di un mezzo decimale qualsiasi la rotta.  
Non poteva d’altronde essere altrimenti, visto che quella finanziaria ha proseguito sul cammino dell’austerità senza affrontare in alcun modo quelle storture (leggasi compressione della domanda interna, che può essere rianimata solo con politiche di alto deficit) che ci espongono a tutte le intemperie internazionali.  
 
Basta così un refolo di crisi – pensiamo alle tensioni commerciali tra Stati Uniti e Cina – per far crollare miseramente tutta l’impalcatura.  
L’Italia infatti non è da sola ma segue a ruota l’intera Unione Europea, che rallenta seguendo a sua volta la frenata della Germania (+0,5%, penultima in classifica) ipotecando in questo modo l’ennesimo anno di una crisi ormai “compagna di viaggio” all’interno dell’eurozona. 
Licenza Creative Commons  3 Agosto 2019
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