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Beyoncé lancia “Black is king”, album pacchianissimo che celebra la cultura afro 
di Ninni Raimondi
 
Beyoncé lancia “Black is king”, album “pacchianissimo” che celebra la cultura afro 
 
Immaginate un cantante bianco che produce un disco con soli ballerini bianchi per celebrare la cultura bianca. Non ci riuscite? Sarà perché questa eventualità è diventata ormai pura utopia nel mondo del politicamente corretto e del pensiero unico. Del resto, è il mondo dei piagnoni di Black lives matter, quelli che abbattono le statue «razziste» e urlano fuck white people. L’operazione contraria, però, non solo è possibile, ma addirittura salutata con urla di giubilo. È questo il caso di Black is king, il nuovo album visuale lanciato da Beyoncé. 
 
Beyoncé e il re leone 
Il disco, realizzato in collaborazione con Disney+, è una specie di prosecuzione The Lion King: The Gift, la colonna sonora del remake del classico Disney Il re leone, uscito l’anno scorso. Anche questa colonna sonora era stata curata da Beyoncé, che aveva peraltro prestato la sua voce di doppiatrice a Nala, giovane leonessa e futura sposa del protagonista Simba. E pensare che, nonostante la Disney avesse riunito un cast di doppiatori multietnico, il film in live action de Il re leone era comunque stato accusato dal Washington Post di… razzismo! 
 
Razzista chi? 
E invece pare che l’aggettivo «razzista» si attagli meglio a Black is king, album per cui Beyoncé ha ingaggiato solo artisti neri. La storia, del resto, si svolge in Africa e ricalca la trama de Il re leone, con un giovane sovrano spodestato che – grazie all’aiuto dei suoi avi e dell’amore di gioventù – riesce a riconquistare il suo regno. Insomma, il disco è un’ode sperticata della cultura afro, che non permette «contaminazioni razziali» di alcun genere. Quelle vanno bene solo quando si tratta di far diventare neri Achille o Giovanna d’Arco. 
 
Ma è l’Africa o Harlem? 
Ad ogni modo, già spulciando le anticipazioni fatte dalla stessa Beyoncé, si nota la solita pacchianeria che contraddistingue gli afroamericani «che ce l’hanno fatta»: vestiti leopardati, patacche d’oro al collo, macchinoni fiammanti con colori dal dubbio gusto. Il Simba di Beyoncé, insomma, non è tanto una figura regale dell’Africa profonda, vera, radicata nella sua terra millenaria, quanto piuttosto lo scimmiottamento di qualche déraciné di Harlem che, invece di far ritorno a casa, è andato a ritirare il Grammy Award a bordo della sua Cadillac rosa. 
Licenza Creative Commons  6 Agosto  2020
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