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Napoleone è vivo e lotta insieme a noi 
di Ninni Raimondi
 
Napoleone è vivo e lotta insieme a noi 
 
Nel bicentenario della sua morte, il Bonaparte è finito nel mirino della «cancel culture». È arrivato il tempo di rileggere la storia europea con occhi nuovi (e nuove categorie) 
 
Quando si parla di Napoleone, tutto diventa più difficile. Nel 1969, in occasione del bicentenario della sua nascita, la Francia era appena uscita con le ossa rotte dal Sessantotto. Inoltre, il «napoleonico» Charles de Gaulle si vide costretto a rassegnare le dimissioni subito dopo la sconfitta allo storico referendum del 27 aprile, cioè a pochi mesi dal fatidico 15 agosto, il genetliaco dell’empereur. Questo impedì che le celebrazioni si svolgessero con la dovuta solennità. Nonostante tutto, si trattò comunque di una buona occasione per riflettere sul lascito politico del Bonaparte, che ovviamente è tuttora assai cospicuo, e non solo in terra di Francia. 
 
Napoleone misogino e razzista 
Ad ogni modo, l’atmosfera non tardò molto a guastarsi. Già nel 2005, per esempio, Jacques Chirac non se la sentì di festeggiare il bicentenario della battaglia di Austerlitz, la più brillante vittoria militare delle armate napoleoniche. Il motivo? Le lobby antirazziste si erano ribellate contro colui che, nel 1802, aveva ristabilito la schiavitù nelle colonie francesi d’oltremare. Nel 2021 poi, con gli antirazzisti sempre più (pre)potenti, le cose sono definitivamente degenerate. Non è un caso che, a una manciata di mesi dal 5 maggio, il governo di Emmanuel Macron abbia subito messo le mani avanti: commemorando il bicentenario della sua morte, Parigi guarderà a Napoleone «con gli occhi spalancati», ossia non dimenticando i «momenti più difficili» e le «scelte che oggi appaiono contestabili». Questo è stato l’annuncio di Gabriel Attal, portavoce dell’esecutivo transalpino, che ha tentato così di spegnere sul nascere qualsiasi polemica. 
Ma, di questi tempi, le contestazioni sono comunque arrivate, e anche ai più alti livelli della politica francese. L’ex ministro degli Esteri Hubert Védrine, ad esempio, ha lanciato il motto «commemorare, ma non celebrare». In effetti, ha spiegato, «è giusto ricordare Napoleone perché le sue gesta sono esistite, ma non si deve celebrarlo perché si celebra ciò di cui si è fieri, con le nostre mentalità attuali». Insomma, ci dice l’ex diplomatico di Mitterand, la Francia non può essere fiera del Bonaparte. Molto peggio ha però fatto Élisabeth Moreno, attuale ministro per le Pari Opportunità. Stando a quanto sostiene la signora (di origini capoverdiane), non va infatti dimenticato che «Napoleone è stato uno dei più grandi misogini della storia». Procedendo su questa china, forse l’empereur verrà presto accusato anche di pappagallismo, o catcalling, com’è di moda dire oggi con un inutile anglicismo. Ma del resto, si sa, è questo il livello della discussione politica ai tempi di Aurora Ramazzotti.    
 
Combattere la cancel culture con le giuste armi 
Il vero deliro, però, ci è giunto da oltre Atlantico, ossia dalla patria stessa della cancel culture. […] Ora, fatta questa breve rassegna di deliri politicamente corretti, la discussione non può certo esaurirsi con una risata e una pernacchia. Anche perché la «cultura della cancellazione» è un’ideologia che, per quanto grottesca, sta conquistando un’egemonia notevole sia negli Stati Uniti che nel Vecchio continente. Insomma, non è possibile cavarsela con una pur sana perculatio, ma è necessario prendere la cancel culture molto seriamente. Di più: se questa deriva talebana ha un risvolto positivo, è proprio per il fatto che ci impone di rileggere la nostra storia con occhi diversi. Ora, questa lettura retrospettiva della nostra eredità è stata finora impostata in due modi diversi nella forma, ma uguali nella sostanza. Gli iconoclasti di Black lives matter e globalisti vari hanno fatto… 
 
6 Maggio 2021