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Fondato e diretto, nel 2003, da Ninni Raimondi
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Clint Eastwood 
di Ninni Raimondi
 
Clint Eastwood, il regista più odiato dalle “signorinette” di Hollywood 
 
Clint Eastwood compie 91 anni. 
Un traguardo importante per il regista più odiato di Hollywood. A questo appuntamento Clint si presenta in buona forma, dopo aver licenziato la sua ultima fatica, Richard Jewell. Questa pellicola, basata su una storia vera e magistralmente recensita da Francesco Borgonovo sul Primato Nazionale dello scorso marzo, è una piccola ode al forgotten man, a quella categoria di «piccoli bianchi» che sono stati sacrificati dalle élite sull’altare della globalizzazione. È quell’esercito di white trash, «spazzatura bianca», che hanno trovato in Trump il loro portavoce e il loro rappresentante in un mondo liberal che li disprezza e li avvilisce. 
 
Da Nixon a Trump: Clint Eastwood il repubblicano 
Del resto, Clint Eastwood non ha mai nascosto le sue simpatie repubblicane, e questo già a partire dal 1968, quando Richard Nixon ottenne l’accesso alla Casa Bianca. Ma Clint è rimasto repubblicano anche quando a capo del Gop è arrivato uno come Donald Trump. Alla vigilia delle elezioni presidenziali del 2016, infatti, il regista si schierò apertamente dalla sua parte, giustificando così la decisione: «In segreto siamo tutti stanchi della correttezza politica. Oggi siamo nel pieno della generazione di leccaculo e di timorose fighette: questo non si può dire, questo non si può fare, tutto è proibito. Altrimenti piovono accuse di razzismo». In questo modo il «texano dagli occhi di ghiaccio» ha tenuto fede a quella tradizione di divi hollywoodiani che, come John Wayne e Charlton Heston, hanno tentato di raccontare l’altra faccia dell’America: quella che non vive negli attici newyorchesi o nelle gated community californiane, ma sputa sangue nelle periferie abbandonate e dilaniate da acutissimi scontri razziali. 
 
Un animo d’acciaio e una carriera insuperabile 
Al tema dell’America multirazziale – e multirazzista – Clint Eastwood ha infatti dedicato uno dei suoi film più riusciti da regista. Stiamo parlando di Gran Torino (2008), un piccolo gioiello in cui Clint ha affrontato un tema spinosissimo senza rinunciare alla complessità, senza scadere in moralismi o giudizi tagliati con l’accetta. Ne ha fatta di strada Clint, da quando fu fatto entrare nel gotha di Hollywood da Sergio Leone. E la sua è una carriera disseminata di successi forse immortali: dagli spaghetti western all’ispettore Callaghan («Harry la carogna»), dal sergente di ferro Gunny Highway al capolavoro assoluto degli Spietati (1992). A nominarli tutti, non basterebbe un volume intero. E così Clint ci ha regalato un cinema fatto di nervi tesi, pochi fronzoli e tanto testosterone. Un animo d’acciaio, quello del texano dagli occhi di ghiaccio. Lo stesso che pochi mesi fa, quando gli studi di Hollywood venivano evacuati per un incendio, lo ha fatto rimanere piazzato lì, impassibile, a lavorare alla sua nuova pellicola.  
 
A quasi 90 anni suonati, mentre le altre «signorinette» se la davano a gambe.  
«Sto bene. C’è un lavoro da finire», commentò con imperturbabile nonchalance.  
E allora tanti auguri, Clint, ultimo veterano con la schiena dritta in una Hollywood ormai schiava delle sue censure e delle sue utopie svirilizzanti. 
5 Giugno  2021