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Fondato e diretto, nel 2003, da Ninni Raimondi
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L’hijab “per uomini” 
di Ninni Raimondi
 
L’hijab “per uomini” di Ghali non è islamico: obbedisce alla religione del globalismo 
 
Era stata annunciata più di un mese fa, ma se ne è iniziato a parlare solo ieri, all’indomani — guarda caso — del grottesco teatrino avuto luogo allo stadio di San Siro con il leader della Lega Matteo Salvini: parliamo della collezione di abbigliamento «street» firmata dal rapper Ghali, uscita prepotentemente allo scoperto ieri per l’hijab «unisex» (ma indossato da un uomo) che figura tra i capi di vestiario proposti. 
 
L’hijab unisex di Ghali  
benetton hijab ghali 
«L’hijab è un pezzo unico che ho voluto molto — sottolinea Ghali ad AdnKronos — non c’è stata resistenza da parte dell’azienda per inserirlo nella collezione. Quando ero piccolo venivo preso in giro a scuola, non c’era nessuno che mi rappresentasse mentre ora è la normalità». In che senso «veniva preso in giro»? Ghali alle elementari indossava un hijab femminile? C’è qualcosa che — a tratti ridicolmente — non torna nella presentazione di questo capo. O forse Ghali si è semplicemente espresso molto male? (per rendersene conto basta ascoltare le sue canzoni, del resto). Una cosa è sicura: alla Benetton si stanno fregando le mani per il guadagno che frutterà da questo bel pastrocchio, che riesce nell’incredibile impresa di offendere in un colpo solo cultura europea e quella allogena. Intanto i centri di cultura islamica tacciono, di solito così attenti nello stigmatizzare ogni refolo di vento ideologico che non soffi nella direzione da loro stabilita e approvata. 
 
La collezione 
Ma guardiamo un po’ la collezione: capi colorati, di taglia unica XXL e soprattutto rigorosamente «genderless»: a voi diranno che l’industria del vestiario si adegua allo spirito fluido e senza etichette (sic) proprio degli adolescenti negli anni ’20 dei Duemila. In realtà, per le aziende produttrici è un affarone: disegnare e produrre capi informi, senza differenziazione tra maschile e femminile dimezza i costi di produzione e fa alzare il fatturato: basta appiccicarci l’etichetta di «fluido» e il ragazzino milanese si compra anche un sacco di iuta con i buchi per le braccia e la testa. 
 
Il globalismo è grande e Ghali è il suo profeta 
«Vivo tra due culture, orientale ed europea, e in questa collezione ho voluto metterle insieme. Ho sempre cercato di mescolare questi due mondi in modo coerente», spiega ancora Ghali. Che con questa collezione si conferma essere — se ci fosse stato bisogno di una conferma — l’emblema dell’espiantato senza radici di seconda o terza generazione — nonostante lui rivendichi ossessivamente le proprie origini nordafricane per vender dischi — che oltre a schifare e voler vedere decostruita e meticciata la cultura che lo ha accolto, non è nemmeno in grado di tenersi cara la propria. Se ci tenesse veramente, alla propria cultura, sicuramente non proporrebbe l’hijab maschile. Che di islamico non ha proprio niente. Ghali è infatti adepto di un’altra religione: il Globalismo apolide è grande e Ghali il suo profeta. 
11 Novembre  2021