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Shinzo Abe, il primo ministro che parlava alle anime dei caduti in battaglia 
di Ninni Raimondi
 
Shinzo Abe, il primo ministro che parlava alle anime dei caduti in battaglia 
 
“Sono qua per comunicare alle anime dei caduti che mi sono dimesso da primo ministro lo scorso 16 settembre”. Quando Shinzo Abe decise di dimettersi da primo ministro del Giappone, nel settembre 2020, evitò la magniloquenza. Su Twitter, dopo essersi recato in visita allo Yasukuni Jinjia, scrisse soltanto questo commento epigrafico. Si limitò a far sapere al suo popolo che si era recato al sacro tempio per riferire la sua scelta alle anime dei caduti in battaglia. Una semplice frase accompagnata da un’altrettanto spartana foto, che lo ritraeva dietro a un sacerdote shintoista in segno di rispetto e devozione. 
 
 
Alla voce degli spiriti eroici 
Ma no, allo Yasukuni Jinja, letteralmente “Santuario della pace nazionale”, non si va per commemorare “criminali di guerra” come sostengono i globalisti apolidi. Allo Yasukuni di Tokyo si va in punta di piedi, per onorare le anime di tutti i giapponesi morti in combattimento a partire dal rinnovamento Meiji. Per questo al suo interno è conservato il “Libro delle anime”, che contiene la lista di 2.466.532 uomini e donne che hanno dato la vita in battaglia per il Sol Levante. E’ più di un santuario shintoista lo Yasukuni, è il cuore che racchiude l’identità millenaria di un popolo. Per questo Sinzho Abe si recò lì, nonostante le critiche preventive (e stolte) di certi media internazionali, incapaci di cogliere anche solo minimamente il senso di un rito imperiale. Nell’era Reiwa (“ordine e armonia”) più che mai, per chi guida il Giappone l’importante è non voltare le spalle ai propri caduti, o meglio, per dirla con Mishima: alla voce degli spiriti eroici. 
 
Shinzo Abe, il politico che parlava ai caduti in battaglia 
Shinzo Abe adesso lotta tra la vita e la morte, raggiunto da colpi di arma da fuoco durante un comizio elettorale a Nara, antica capitale nipponica, oggi patrimonio dell’Umanità Unesco. Fiumi di parole si sprecheranno su quanto accaduto, sulla stampa spunteranno fior di ritratti apologetici di Abe, parole al miele di chi si era prima seduto a sentenziare e criticare, con il dito puntato contro il Sol Levante guidato da un aggressivo nazionalista. Perché di Abe, gli acrobati del politicamente corretto non apprezzavano nulla. Non riuscivano a spiegarsi come fosse possibile l’impressionante crescita economica giapponese, dettata da politiche non in linea con il monopensiero che attanaglia l’Occidente. L’Abenomics appunto, fondata su tre elementi cardine: aumento della spesa pubblica in deficit, politica monetaria espansiva, deprezzamento dello Yen. 
 
Gli stessi acrobati non si spiegano come sia possibile che da dieci anni il Giappone tenti di riscrivere la Costituzione – imposta dagli Stati Uniti – per volere proprio di Abe. Come sia possibile rivedere il Sol Levante di nuovo protagonista, anche militarmente, in una scacchiera che ci mostra un mondo sempre più avviato verso un controllo multipolare, dove Washington è sempre meno una superpotenza in grado di dettare la linea agli alleati. 
 
E come sia possibile che il Giappone rifiuti ancora di regalare cittadinanze e aprire le porte ai flussi migratori, ciononostante restando prospero. Durante gli ultimi venti anni di crisi economica i guru occidentali del libero mercato hanno sostenuto che il Giappone sarebbe stato costretto a rivedere le proprie leggi sull’immigrazione prendendo in considerazione il reclutamento di manodopera proveniente dall’estero. Il Paese del Sol Levante sinora non ha ceduto alle sirene degli economisti gaijin (letteralmente “persona esterna” al Giappone) temendo in particolare ripercussioni negative sull’ordine sociale e sul sistema economico. Lo si deve soprattutto a Shinzo Abe, il primo ministro che parlava ai caduti del Sol Levante e non ascoltava i pingui ventriloqui d’Occidente. 
8 Luglio  2022